Prospettive svizzere in 10 lingue

Ma che lingua parli?

A Firenze, tra le mura dell'Accademia della Crusca, si è discusso di "italiano e scienze". swissinfo.ch

Credevamo di parlare italiano e invece parliamo politichese, medicese o svizzero. E ci piace l'inglese.

Capirsi in questa babele d’italiani non è sempre facile, soprattutto quando a parlare sono le scienze.

Firenze, Accademia della Crusca. Fisici, chimici, biologi, medici, linguisti: insieme per un convegno che, come ci dice Tullio De Mauro, professore alla Sapienza di Roma e già ministro italiano dell’istruzione, «vuole essere una messa a punto, come si fa nelle navigazioni, una rilevazione del punto in cui stanno le cose per quanto riguarda l’uso dell’italiano in Italia e fuori d’Italia e l’uso dell’inglese nelle comunità scientifiche internazionali».

L’inglese come problema, dunque, ma anche preoccupazione per il fatto che molto spesso, anche quando sono espressi in italiano, i concetti scientifici sembrano arabo alla maggior parte delle persone.

Il tema è di quelli che scottano. La lingua è pur sempre parte integrante della vita di una persona e contribuisce a forgiarne le conoscenze. È comprensibile quindi che ci si preoccupi per il suo stato di salute o più semplicemente che ci si interessi alle sue particolarità.

Sembra uguale ma non lo è

Si spiega così, con il naturale interesse per le cose che ci riguardano, il successo riscosso nella Svizzera italiana da un libricino come «Lo svizzionario» che, in tono scherzoso, tratta delle particolarità dell’italiano svizzero.

Gli svizzeroitaliani insomma si sono divertiti a scoprire che un napoletano resterà perplesso se gli si chiede di prendere l’autopostale, un mezzo di trasporto tipicamente svizzero.

Le differenze tra due varietà d’italiano regionale possono essere anche molto marcate. Nel caso dell’italiano parlato in Svizzera si aggiungono tutta una serie di termini che hanno origine dal particolare assetto istituzionale della Confederazione e dal plurilinguismo che caratterizza il paese.

Dottore (mi) guarisca

L’amico napoletano in visita in Svizzera si abituerà presto all’autopostale. Ma che dire delle schiere di cittadini – e in questo caso la provenienza geografica dei parlanti non conta – confrontati con dei linguaggi settoriali che non sono in grado di capire?

«Lei ha una poliuria». Se mi avesse detto che faccio troppa pipì avrei capito meglio. «Ah, vedo un’IVAR!» No, non è un amico russo del medico, è un’infezione delle alte vie aeree, un mal di gola, per parlarci chiaro.

Il linguaggio medico è forse, tra quelli tecnico scientifici, il più importante per il quotidiano delle persone. Eppure è uno di quelli più restii alla traduzione nelle parole «che mamma ci ha dato». Questione di prestigio. «I medici, ma anche i traduttori, i giornalisti, gli insegnanti – che dovrebbero fare da mediatori e rendere accessibili i contenuti del discorso medico al pubblico – si crogiolano nel prestigio che nasce dall’usare parole difficili» fa notare Silvia Morgana, dell’Università di Milano.

In questo modo ci si disinteressa della sorte dei destinatari del messaggio. E quel che è peggio li si spinge a riprodurre termini ed espressioni di cui ignorano il significato.

Dottore, lasci perdere l’inglese

Come tutti gli altri linguaggi scientifici, anche quello medico è costantemente confrontato con lo strapotere dell’inglese. Forse perché l’inglese sembra più prestigioso, più scientifico, molti termini provenienti da questa lingua sono entrati nel linguaggio comune del medico.

Con effetti a volte disastrosi (quando non ridicoli): «Ci sono dei termini stranieri» dice Italo Farnetani dell’Università di Milano Bicocca «che sono incomprensibili per la gente comune, incomprensibili a volte persino per la gente di madre lingua e il cui reale significato è spesso ignorato persino dal medico che li usa».

È successo a una signora inglese che ha partorito in Italia. «Vuole il rooming-in?» le ha chiesto l’infermiera. Vista la perplessità della paziente l’infermiera ha poi «tradotto»: «Vuole tenere il bambino in camera?»

Più triste ancora è il caso del medico che usa una parola che non conosce. «Booster» è il termine inglese per designare quello che in italiano è il «richiamo» di un vaccino. Imperversa ormai in tutti i manuali, negli ospedali e nei foglietti illustrativi dei medicinali. Italo Farnetani ha chiesto ad un gruppo di specializzandi in pediatria di tradurlo. Solo il 30% ha dato la risposta corretta, vale a dire «richiamo», un altro 30% era convinto si trattasse dell’«attacco», vale a dire della prima dose di vaccino.

Dottori, mettetevi d’accordo

Un altro problema di comunicazione tra medici e pazienti è dato dall’uso di sinonimi. Non per tutti è evidente che la malattia di Gaucher è la stessa cosa del morbo o della sindrome di Gaucher. E chi si è preso un’infezione da funghi in piscina potrebbe rimanere perplesso nello scoprire che l’antifungino di cui gli ha parlato il medico è l’antimicotico che gli porge il farmacista.

A volte la confusione può rasentare l’assurdo. È il caso della «fibrosi cistica» che, individuata per la prima volta nel 1936 nel pancreas, venne inizialmente battezzata «fibrosi cistica del pancreas». Nel 1944 si passò a «mucoviscidosi». In seguito si optò per «fibrosi cistica». Ma nel 1992 il legislatore italiano stabiliva che chi era affetto da «fibrosi cistica del pancreas» aveva diritto ad una rendita d’invalidità superiore a chi era ammalato di «mucoviscidosi». Il termine scelto, non la malattia, ha letteralmente dettato legge.

I problemi che affliggono il linguaggio della medicina sono diffusi anche in altri ambiti scientifici specializzati. Per tentare di risolverli basterebbe a volte che i «tecnici» facessero un po’ più d’attenzione a come comunicano con chi non è addetto ai lavori. Per evitare di fare la fine di Talete che, tutto proteso a capire i fenomeni del cielo e dimentico di quanto gli stava intorno, cascò in una pozza.

swissinfo, Doris Lucini, Firenze

Autopostale, attinente, fuoco (nucleo famigliare): tre dei circa 40 elvetismi accolti dal vocabolario Zingarelli
I termini tecnico-scientifici rappresentano il 45% delle parole registrate nel Grande dizionario italiano dell’uso
Il 13,7% dei termini scientifici proviene dal settore della medicina
Segue a ruota la chimica con il 13,32%
Più lontane fisica (3,73%) e linguistica (2,18%)

La chiarezza terminologica è essenziale per migliorare la comunicazione, soprattutto quando degli specialisti si rivolgono a delle persone che non hanno conoscenze specifiche in un dato campo.

Per promuovere l’italiano è inoltre necessario prestare molta attenzione alle traduzioni da lingue straniere. Un lavoro non da poco, se si pensa, ad esempio, che il 90% dei documenti tecnico-scientifici della Commissione europea sono redatti in inglese.

Gli specifici meccanismi comunitari stanno dando luogo ad una grande attività neologica: l’italiano si rinnova.

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