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Bolivia: indios in capitale dopo marcia protesta 610 km

(Keystone-ATS) Una folla ha atteso acclamando l’arrivo dei duemila indios in marcia da settanta giorni, attraverso 610 chilometri di territorio impervio, passando dai 38 gradi della selva alle rigide temperature andine, per difendere i diritti della Pachamama (madre terra) e opporsi alla realizzazione di una strada che spezzerebbe in due la riserva amazzonica dell’Isoboro Securè.

Tra le scritte su cartelli e striscioni si legge: “Siamo tutti del Tipnis” (Territorio Indigena y Parque Nacional Isiboro Securè. “Viva la marcia indigena” e ancora, “Benvenuti a La Paz”. Sul volto dei nativi delle Terre basse, passati dai 700 metri di altitudine della selva amazzonica ai 3600 della capitale boliviana, incrociando tratti di strada che hanno superato i 4500 metri, la fatica ed il freddo si mischiano alla soddisfazione. Con i sandali consumati alcuni accompagnano l’arrivo col rullo di improvvisati tamburi. E man mano che la colonna umana avanza verso piazza San Francesco, dove si tiene una prima cerimonia ufficiale, la folla cresce.

Oggi è il giorno della dignità, con una messa per celebrare la meta raggiunta: il dialogo col presidente Evo Morales che ha ufficialmente invitato i nativi del Tipnis nella casa del governo, dovrà attendere fino a domani. E c’è già qualcuno che prima di tutto vorrebbe si facesse chiarezza sulle effettive responsabilità per la violenta repressione del settembre scorso, con la polizia armata di manganelli e gas lacrimogeni contro donne e uomini inermi, le cui immagini avevano fatto il giro del mondo, suscitando riprovazione dentro e fuori il Paese.

Anche allora era stato il sostegno della gente a permettere agli indigeni di proseguire fino alla capitale, quando gli abitanti dei paesi erano intervenuti in prima persona liberandoli e mettendo in fuga le forze dell’ordine.

Quello che ora più di tutto i rappresentanti dei popoli delle Terre basse vogliono, è che il progetto del tratto di strada da Villa Tunari (Cochabamba) a San Ignacio de Moxos (Beni), già sospeso sotto l’onda d’urto delle polemiche per la repressione, sia definitivamente cancellato. Sono arrivati fin qui perchè i loro diritti siano rispettati: il parco Isoboro Securè, infatti, era stato dichiarato territorio indigeno nel 1990 dal governo Jaime Paz Zamora, dopo una marcia simile a quella replicata in questi mesi, anche allora fu “per la dignità, la terra ed il territorio”.

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