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Egitto: Mubarak, lascerei ma temo il caos; regime cerca dialogo

(Keystone-ATS) “Mi dimetterei se potessi, ma temo il caos. Dopo 62 anni al servizio del pubblico ne ho abbastanza. Voglio andarmene”: così il presidente Hosni Mubarak ha detto alla rete americana ABc, ribadendo di “non aver mai avuto intenzione di scappare, né che (il figlio) Gamal diventasse presidente dopo di me”.

Intervistato da Christiane Amanpour, alla presenza anche di Gamal, Mubarak ha sostenuto di “non pensare agli insulti” che la piazza gli rivolge, perchè – ha detto – “mi importa del mio Paese, mi interessa dell’Egitto”. “Morirò in questa terra”, ha ribadito l’anziano rais.

Il presidente ha parlato nel giorno in cui, attraverso il suo numero due Omar Suleiman, il regime ha aperto nuovamente alle opposizioni cercando il dialogo. Al tempo stesso assedia la piazza, che continua a mantenere le posizioni, in attesa di domani, ‘giorno della partenza’, quando sono state indette nuove imponenti manifestazioni per chiedere ancora una volta che il rais se ne vada.

In vista di domani è continuata con rinnovata veemenza la caccia ai giornalisti occidentali accusati dai miliziani pro Mubarak di alimentare una campagna antiregime per scatenare il caos. Un giornalista svedese è stato accoltellato alla gola. Numerosi i casi di intimidazioni, aggressioni e arresti di inviati, soprattutto televisivi e fotografi. Fra di essi anche l’inviato della RSI Gianluca Grossi. Colpiti anche le organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch.

La giornata si è aperta con la conta delle vittime delle sparatorie che sono infuriate per tutta la notte sulla piazza e che hanno causato la morte di otto, secondo altre fonti dieci, manifestanti e circa ottocento feriti.

Inascoltati gli appelli a lasciare la piazza, che Suleiman ha rinnovato anche in serata al termine di una lunga intervista alla tv di Stato egiziana. Al punto che per svuotarla le forze di sicurezza stanno tentando tutte le strade anche quella di impedire il rifornimento di viveri e bevande. In giornata sono partiti colpi di arma da fuoco di cecchini appostati sui tetti degli edifici attorno a piazza Tahrir.

Nel tentativo di riprendere l’iniziativa dal punto di vista politico, Suleiman ha fatto un’apertura ai Fratelli Musulmani, partito da decenni bandito in Egitto ma tollerato, riuscendo a fare eleggere una ottantina di deputati alle scorse elezioni legislative. Ma nelle ultime la confraternita è rimasta fuori dal Parlamento, in elezioni fortemente contestate dalle opposizioni con l’accusa di frodi e brogli massicci.

“Ho chiesto loro di dialogare ma esitano, È nel loro interesse farlo”, ha detto Suleiman in televisione, dopo avere incassato un nuovo no al dialogo non solo dei Fratelli Musulmani ma, in mattinata, anche di Mohamed el Baradei e del partito liberale Wafd. Suleiman ha giocato la carta del complotto internazionale di paesi stranieri che stanno alimentando il caos anche grazie ad agenti infiltrati nella folla.

Il primo ministro Ahmed Shafik ha adottato un tono più conciliante chiedendo scusa per le violenze di piazza ieri e promettendo una inchiesta sugli scontri e sulle carenze nella sicurezza che hanno consentito i supporter di Mubarak di entrare nella piazza simbolo della rivolta affrontandosi per ore con pietre, bottiglie molotov, coltelli e bastoni.

Il procuratore generale ha deciso il divieto all’espatrio e il congelamento dei fondi di tre ex ministri, incluso il contestato ex titolare degli Interni, Ahmed el Adly e di Ahmad el Ezz, uno dei più importanti industriali dell’acciaio del paese oltre ad essere stato una delle colonne portanti del partito del rais.

Man mano che le violenze si intensificano aumenta la pressione internazionale perché i giornalisti non vengano minacciati e vengano lasciati liberi di svolgere il loro lavoro.

Sul fronte delle comunicazioni è scoppiato anche il caso della Vodafone Egypt, che ha accusato il regime di averla costretta ad inviare sms patriottici e di sostegno a Mubarak, mentre incombeva il blackout totale di sms imposto dal primo venerdì di collera la scorsa settimana.

In giornata sono continuate le evacuazioni di stranieri. Oggi è stata la volta del personale dell’ONU che ha trasferito una parte dei suoi funzionari e delle loro famiglie a Cipro.

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