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Espulsioni forzate: i medici prendono le distanze

Questo contenuto è stato pubblicato il 25 marzo 2011 - 17:02
(Keystone-ATS)

I medici prendono le distanze dalla collaborazione nelle espulsioni forzate dei richiedenti l'asilo respinti, in particolare riguardo alla loro presenza sui voli speciali dell'Ufficio federale della migrazione (UFM). Occorre avere molta esperienza in questo genere di situazione e conoscere a fondo le condizioni del "paziente", sottolineano ricordando il caso del nigeriano morto durante l'espulsione il 17 marzo del 2010 a Kloten.

L'UFM - ha spiegato all'ATS la portavoce Marie Avet - lavora con un gruppo di una decina di medici, sia indipendenti sia impiegati di una struttura sanitaria, come ad esempio SOS médecins di Ginevra, che ha partecipato a diverse espulsioni forzate.

"Ci sono troppe incertezze sulle persone da espellere e sui rischi che corrono", afferma in un'intervista al quotidiano "Le Temps" il cardiologo Michel Romanens, presidente dell'associazione VEMS (etica e medicina). "Il medico del penitenziario - spiega - è tenuto a rispettare il segreto professionale e quindi non trasmette tutti i dati al dottore e ai funzionari che devono seguire le espulsioni". "In queste condizioni - aggiunge - un professionista non può assumersi tale responsabilità". Inoltre a suo parere un medico non può lavorare al tempo stesso per le autorità e a favore delle persone da espellere.

La stessa posizione è condivisa anche dal presidente della Federazione dei medici svizzeri (FMH), Jacques de Haller, che però non si spinge fino a proibire la partecipazione dei dottori alle espulsioni. "Il problema deve essere gestito con grande rigore. Se i medici partecipano alle espulsioni forzate devono attenersi a delle regole ben precise che si trovano in un annesso al codice di deontologia medica", spiega all'ATS. Se l'autorità non tiene conto dell'avviso del medico accompagnatore, quest'ultimo "deve allora liberarsi dalla procedura".

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