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Facebook vale 75 miliardi, azioni a ruba

(Keystone-ATS) La marcia di Facebook non si ferma. Gli investitori istituzionali si accodano per accedere alle azioni del social network, la cui valutazione è balzata a 75 miliardi di dollari dai 50 miliardi di dollari stimati a gennaio con l’accordo con Goldman Sachs. Alla metà del 2009 Facebook era valutata circa 10 miliardi di dollari.

E la corsa non sembra fermarsi sulla scia delle indiscrezioni che Facebook possa concedere ai propri dipendenti la possibilità di vendere azioni per 1 miliardo di dollari così da aumentare la loro liquidità. Le azioni in vendita sarebbero ordinarie e con un unico diritto di trasferimento, ovvero i possessori non possono rivenderle a meno che la società non sia quotata. La nuova ondata di società web – riporta il Wall Street Journal – attira milioni di utilizzatori, a differenza del boom delle dot-com di un decennio fa.

E questo si traduce in ricavi dalla pubblicità online e in un aumento sostenuto delle loro valutazioni pur non trattandosi di società quotate. Il boom attira gli investitori, che vogliono spartirsi una fetta della torta prima dell’ipo, e desta l’attenzione delle autorità sul mercato delle azioni delle società non quotate. La Sec negli ultimi mesi ha avviato un’indagine per chiarire il funzionamento del settore e rintracciare eventuali punti di criticità, come la possibilità di un conflitto di interesse.

Pur trattandosi di aziende private, queste società hanno azioni che dipendenti e investitori ricevono in premio e che vogliono scambiare con contanti. Le esigenze di venditori e acquirenti vengono conciliate attraverso accordi privati o scambi. La legge federale impone che un’azienda con 500 o più azionisti o investitori si registri presso la Sec e renda pubblico il proprio bilancio.

Secondo indiscrezioni Facebook alla fine dello scorso anno aveva meno di 500 azionisti e quest’anno dovrebbe superarli per sbarcare in Borsa nell’aprile 2012. Le norme attuali per le società non quotate, che fissano a 499 il numero massimo di investitori per evitare la quotazione in Borsa e la comunicazione del bilancio, risalgono al 1964 e sono il motivo per cui Google è stata costretta all’initial public offering nel 2004, avendo superato il numero dei 500 azionisti.

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