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Gaza: rappresaglie Israele, otto uccisi, 4 civili

(Keystone-ATS) Quattro civili palestinesi, tra cui due ragazzi, sono caduti vittima oggi a Gaza del fuoco israeliano in una giornata di rappresaglie in serie all’escalation recente di tiri di razzi e bombe di mortaio da parte dei miliziani islamici: giornata rivelatasi alla fine tra le più sanguinose dall’offensiva Piombo Fuso di due anni fa.

La spirale di violenze, che negli ultimi giorni ha di nuovo visto scorrere ripetutamente il sangue nelle aree a ridosso del confine tra Israele e la Striscia, è stata punteggiata da scambi di colpi e da qualche raid aereo. Fino all’incursione serale compiuta da un drone israeliano (velivolo senza pilota), un cui missile ha centrato a Gaza City, nel quartiere di Zeitun, un commando di miliziani della Jihad Islamica impegnato a lanciare razzi verso la città di Ashqelon, uccidendone quattro.

L’episodio più sconcertante è stata tuttavia alcune ore prima l’uccisione dei quattro civili palestinesi avvenuta al culmine di una sequenza di scontri che sin dallo scorso sabato, dopo decine di colpi di mortai sul territorio israeliano, hanno contrapposto le milizie radicali palestinesi alle forze armate d’Israele. Fino a sfociare la scorsa notte in una ondata particolarmente intensa di raid notturni dell’aviazione con la Stella di David contro campi d’addestramento di miliziani, tunnel per il contrabbando di armi e altri obiettivi, conclusasi con un primo bilancio d’una ventina di feriti.

Nell’odierno più cruento incidente una cannonata sparata dall’esercito israeliano in replica agli ultimi tiri di razzi sul Neghev – che non hanno causato vittime – ha colpito una casa nel rione di Shajaiyeh, a est di Gaza City, uccidendo quattro persone, tre delle quali della stessa famiglia, e ferendone altre dieci almeno. Le vittime accertate sono Mohammed Jihad Al-Hilu di 11 anni, il fratello Yasser Ahed Al-Hilu di 16, Yasser Hamer Al-Hilu di 50 e Mohammed Saber Harara di 20.

Israele ha ammesso “l’errore” e ha manifestato in serata “rammarico” sia in un comunicato del premier Benyamin Netanyahu, sia per bocca del ministro della Difesa, Ehud Barak, in visita negli Stati Uniti. Rammarico – espresso in precedenza anche da un portavoce militare, il quale ha riconosciuto apertamente come le vittime fossero civili non coinvolti in un alcun tipo di attività armata – che non manca però di far ricadere la responsabilità ultima per l’uccisione degli innocenti su Hamas: accusato di sparare in modo deliberato da aree densamente abitate da civili, trasformati così di fatto in “scudi umani”.

Israele, ha assicurato comunque Netanyahu, “non vuole un inasprimento della situazione”. La stessa cosa aveva detto il giorno prima pure Hamas, evocando la possibilità di tornare a una fase di tregua. Intenzioni che tuttavia non hanno finora evidentemente avuto pratica applicazione. E su cui pesa adesso anche la minaccia di Hamas di vendicare “la strage” di Shajaiyeh: “Un crimine di guerra che non resterà impunito”.

Israele e Hamas si scambiano del resto da giorni accuse sulla responsabilità di questa recrudescenza delle violenze, che avviene sullo sfondo d’una possibile visita nella Striscia del presidente moderato dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen: la prima da quando Hamas estromise la stessa Anp dall’enclave nel 2007. Visita ipotizzata come un passo verso il rilancio del dialogo fra le fazioni palestinesi rivali, ma che secondo alcuni analisti interpellati a Ramallah sembra inquietare tanto il governo israeliano, quanto i settori più oltranzisti del movimento islamico al potere a Gaza.

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