Iracheno sospettato di torture sfugge a procedure penali
Un iracheno sospettato di crimini di guerra sfuggirà, almeno per il momento, ad un perseguimento penale in Svizzera. Il Tribunale amministrativo federale (TAF) ha rifiutato di accordargli l'asilo, ma l'uomo beneficia di un'ammissione provvisoria perché rischierebbe di essere ucciso se rinviato in patria.
La vicenda, rivelata oggi dai giornali "La Liberté" e "Le Courrier", riguarda un quadro delle forze di sicurezza sotto l'era di Saddam Hussein, che faceva peraltro parte delle persone vicine al figlio del dittatore, Udai. Nel 2006 l'iracheno ha chiesto l'asilo, che gli è stato rifiutato.
La decisione è stata confermata dal TAF con una sentenza dell'11 maggio 2010. Lo statuto di rifugiato non può essere accordato alle persone seriamente sospettate di aver commesso un crimine contro l'umanità, spiega in sostanza il TAF. L'uomo ha lavorato per svariati anni alla Direzione della sicurezza generale, un'"agenzia statale reputata e temuta per i suoi metodi d'investigazione brutali e per il frequente ricorso alla tortura".
Dal suo arrivo in Svizzera, l'individuo si è inoltre dimostrato violento nei riguardi dei famigliari: nel 2008 è stato condannato a sette mesi di carcere con la condizionale per aver picchiato la moglie e insultato i figli.
Per il TAF, questi indizi concreti sono sufficienti per negargli l'asilo. Secondo la magistratura vodese, che si occupa del caso, ciò non basta invece per avviare nei suoi confronti una procedura penale: "non dispongo né di persone lese, né di testimoni", spiega all'ATS il procuratore Jean Treccani.
Le nuove basi legali relative ai crimini di guerra, introdotte il 1. gennaio 2011, "ci consentono ormai di perseguire la tortura alla stessa stregua di un crimine contro l'umanità", osserva Treccani. "Non sono tuttavia applicabili in modo retroattivo e sono comunque di competenza delle autorità federali."