MO: Stato palestinese provvisorio, sì di Peres e Barak
TEL AVIV - Uno stato palestinese provvisorio in mezza Cisgiordania in tempi ristretti, combinato con serie garanzie internazionali ai palestinesi che entro due anni al massimo sarà raggiunto un accordo su un assetto definitivo di pace con Israele. E quel giorno il loro Stato si estenderà su un'area equivalente a quella della Cisgiordania e di Gaza prima della guerra dei sei giorni del 1967. Questi - secondo il quotidiano Maariv - gli elementi centrali di un piano ancora in fase di elaborazione, discusso privatamente dal Capo dello stato Shimon Peres con interlocutori degli Stati Uniti, dell'Anp e del mondo arabo.
Il ministro della difesa Ehud Barak, secondo Maariv, è in piena sintonia con Peres. Il premier Benyamin Netanyahu "é tenuto informato, non si oppone". E anche il numero due di Kadima (opposizione) Shaul Mofaz ha presentato dieci giorni fa un suo piano personale fondato su concetti analoghi. Ieri lo ha illustrato a funzionari governativi statunitensi che, ha detto Mofaz, "hanno reagito con vivo interesse". Da parte sua Netanyahu - secondo la 'colomba' Yossi Beilin - si accinge ad annunciare presto una "moratoria" di dieci mesi nei progetti edili ebraici in Cisgiordania.
Ma il mini-Stato in Cisgiordania con una 'protesi' a Gaza alquanto problematica (per il forte rancore persistente fra al Fatah e Hamas) non sembra accendere interesse fra i palestinesi. Mentre Gerusalemme moltiplica i propri 'ballon d'essaì, venti chilometri più a nord, a Ramallah, regna un senso di sfiducia quasi abissale. Ancora oggi, in una intervista dal carcere alla agenzia di stampa Reuters, il dirigente di al-Fatah Marwan Barghuti sostiene che le trattative con Israele vanno considerate fallite e che è opportuno tornare alla lotta di popolo contro le colonie, contro la barriera di sicurezza e contro la "ebraicizzazione" di Gerusalemme.
Lo stesso presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas) si è retoricamente chiesto: "se nemmeno il presidente degli Stati Uniti riesce a congelare la colonizzazione israeliana, come potrei riuscirci io ?". In una intervista televisiva Abu Mazen ha ribadito di essere determinato a non ricandidarsi più alla guida dell'Autorità nazionale palestinese. "Nessuno è insostituibile se gli israeliani vogliono procedere seriamente nel processo di pace, parlino pure col mio successore" ha tagliato corto, proseguendo dall'Egitto i propri itinerari internazionali verso il Brasile.
Toni demoralizzati caratterizzano ormai Abu Ala e Saeb Erekat, i più noti negoziatori palestinesi. Intanto il premier Salam Fayad punta alla edificazione delle infrattrutture dello stato palestinese al di fuori da intese particolari con Israele.
Malgrado l'atmosfera negativa, dietro le quinte procedono le trattative per uno scambio di prigionieri fra Israele e Hamas. Da ieri si è diffuso un cauto ottimismo. Detenuto a Gaza dal giugno 2006, il caporale israeliano Ghilad Shalit potrebbe essere condotto presto ad el-Arish (Sinai egiziano) per essere esaminato da medici israeliani. Allora - sostiene il giornale palestinese al-Manar - Israele rilascerebbe 450 detenuti palestinesi responsabili di gravi attentati. Grazie a Hamas, secondo il giornale, lo stesso Barghuti sarebbe rilasciato. Per il ministro Benyamin Ben Eliezer (laburista) proprio Barghuti potrebbe essere il migliore successore di Abu Mazen: "E' un leader autentico che gode anche del sostegno di Hamas. Sa distinguere fra sogni e realtà. Io vorrei 'fare affari' appunto con persone dure come lui".