Centro svizzero di Milano: non fu corruzione, ma forse truffa

L'estate scorsa da un'indagine giornalistica era nato il sospetto che nel 1978 l'amministrazione svizzera delle finanze avesse corrotto le autorità fiscali italiane per ottenere una riduzione delle imposte a carico del Centro svizzero di Milano. L'avvocato Paolo Bernasconi, incaricato di un'indagine amministrativa sul caso, esclude però ora la corruzione e ipotizza piuttosto una truffa ai danni della Confederazione.
«Con una probabilità che rasenta la certezza», l’avvocato Paolo Bernasconi esclude che nel 1978 il Dipartimento federale delle finanze (DFF) abbia corrotto funzionari del Fisco italiano per farsi ridurre le imposte del Centro svizzero di Milano. Bernasconi, incaricato dal DFF di un’indagine amministrativa, scagiona pure Kurt Hauri, allora capo del Servizio giuridico del Dipartimento e attuale presidente della Commissione federale delle banche.
Risulta tuttavia un ammanco non chiarito di 468’000 franchi, versati dall’allora presidente del Centro svizzero, nel frattempo deceduto, indica venerdì Bernasconi in un comunicato. Su richiesta dell’ex procuratore pubblico sottocenerino, che ipotizza piuttosto una truffa ai danni della Confederazione, il capo del DFF Kaspar Villiger ha trasmesso il fascicolo alla Procura federale allo scopo di far luce sul motivo del pagamento e sugli aspetti penali della vicenda.
L’inchiesta amministrativa affidata a Bernasconi è nata da uno «scoop» della «SonntagsZeitung», pubblicato lo scorso 4 giugno. Secondo il domenicale zurighese, nel 1978 l’Amministrazione federale delle finanze (AFF) venne invitata dalle autorità italiane a versare 4,6 milioni di franchi di imposta comunale sull’incremento del valore immobiliare (INVIM) del Centro svizzero.
Berna, che non si aspettava una tassa così alta, sarebbe riuscita a parare il colpo concordando con l’amministrazione fiscale l’annullamento della pendenza in cambio del pagamento immediato di 700 000 franchi. Basandosi su una nota interna del DFF, la «SonntagsZeitung» ipotizzava che l’accordo fosse stato raggiunto corrompendo funzionari italiani.
«Dopo aver sentito numerose persone e compulsato voluminosi documenti» in parte messi a disposizione dal settimanale, Bernasconi è giunto «alla conclusione che la Svizzera non ha trattato scorrettamente il fisco italiano».
A quanto appurato, l’importo di 4,6 milioni non rappresentaval’imposta dovuta, ma il valore fiscale dell’immobile. L’inchiesta ha inoltre evidenziato che i circa 700’000 franchi sono la somma di diversi importi. Con un versamento di 244’000 franchi è stata saldata l’imposta regolarmente accertata dall’autorità fiscale milanese, «per cui la Svizzera ha soddisfatto i suoi obblighi verso lo Stato italiano».
«Problematica – scrive Bernasconi – è per contro la ricostruzione dei rimanenti 468’000 franchi (valore convertito)», versati dall’allora presidente del Centro svizzero, nel frattempo deceduto.
«Tutti gli indizi, compresi due moduli falsificati intestati alle autorità fiscali milanesi, fanno piuttosto pensare che il ‘Centro svizzero’ di Milano, rispettivamente la Confederazione siano stati oggetto di truffa», prosegue l’avvocato, secondo il quale «eventuali violazioni degli obblighi di servizio» da parte elvetica sono ormai caduti in prescrizione.
Bernasconi rileva che «nessun funzionario del DFF attualmente in carica è responsabile dei pagamenti in questione o di un’eventuale insufficiente sorveglianza». Il suo rapporto evidenzia inoltre che l’operazione fu decisa e ordinata dall’allora presidente del Centro svizzero di Milano di comune accordo con l’allora direttore dell’AFF e con il competente Servizio di cassa, senza nessuna partecipazione del capo del servizio giuridico Kurt Hauri. Questi è dunque «completamente scagionato».
In conclusione, Bernasconi non propone quindi misure di diritto amministrativo, ma raccomanda di trasmettere il fascicolo al Ministero pubblico della Confederazione. Per due motivi: in primo luogo, perché riguardo al pagamento di 468’000 franchi sul quale non è ancora stata fatta luce «potrebbero risultare elementi con rilevanza penale»; in secondo luogo, perché non è da escludere che, divulgando i documenti finiti in mano alla «SonntagsZeitung», un ex funzionario abbia violato il segreto d’ufficio.
La richiesta di Bernasconi è stata immediatamente accolta dal ministro Villiger, che in una nota manifesta «grande sollievo» per l’esito dell’indagine.
swissinfo e agenzie

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