
L’oppio dei popoli?
In che cosa il calcio assomiglia a Dio? Nella devozione che gli portano molti credenti e nella sfiducia che ne hanno molti intellettuali.
Nel 1902, a Londra, Rudyard Kipling si burlò del calcio e delle “piccole anime che possono essere saziate dagli infangati idioti che lo giocano”. Un secolo più tardi a Buenos Aires, Jorge Luis Borges fu più sottile: tenne una conferenza sul tema dell’immortalità lo stesso giorno, alla stessa ora, in cui la nazionale argentina giocava la sua prima partita del Mundial del 1978.
Il disprezzo di molti intellettuali conservatori si fonda sulla certezza che l’idolatria del pallone è la superstizione che il popolo si merita. (…) In cambio, molti intellettuali di sinistra squalificano il calcio perché castra le masse e devia la loro energia rivoluzionaria. (…)
Quando il calcio smise di essere una cosa da inglesi e da ricchi, nel Rio de la Plata nacquero i primi club popolari, organizzati nelle officine delle ferrovie e nei cantieri navali dei porti. In quel frangente, alcuni dirigenti anarchici e socialisti denunciarono questa macchinazione della borghesia destinata a evitare gli scioperi e mascherare le contraddizioni sociali. (…) Tuttavia, il club Argentinos Juniors nacque chiamandosi club Martiri di Chicago in omaggio agli operai anarchici impiccati un primo maggio, e fu sempre un primo maggio il giorno scelto per dare vita al club Chacarita, battezzato in una biblioteca anarchica di Buenos Aires. In quei primi anni del secolo, non mancarono intellettuali di sinistra che celebrarono il calcio invece che ripudiarlo come anestetico delle coscienze. Tra loro il marxista italiano Antonio Gramsci che elogiò “questo regno della lealtà umana esercitata all’aria aperta”.
Testo estratto da “Splendori e miserie del gioco del calcio”, di Eduardo Galeano

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