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Svizzera-UE: la via bilaterale in pericolo?

I sindacati temono pressioni sui salari Keystone

L’opposizione contro l’allargamento della libera circolazione delle persone potrebbe mettere in pericolo il pacchetto di bilaterali tra Svizzera ed Unione europea.

Nelle prossime due settimane, il parlamento si occuperà di questo tema carico di emozioni.

La parola chiave è “dumping salariale”. Negli ultimi mesi i media svizzeri hanno portato alla luce tutta una serie di esempi di persone provenienti da Stati membri dell’Unione impiegate in Svizzera a salari minimi.

Queste vicende hanno generato timori ed insicurezze tra i lavoratori svizzeri. E così, contro la progressiva introduzione della libera circolazione, hanno reagito in maniera particolarmente dura i sindacati, che, temendo abusi e riduzioni salariali, minacciano ora di indire un referendum contro l’allargamento dell’accordo ai nuovi membri dell’UE.

In questo modo, nel tentativo di ottenere più ampie garanzie, giocano consapevolmente con il fuoco: un eventuale no popolare manderebbe a gambe all’aria l’intero primo pacchetto di accordi bilaterali, accettato dal popolo nel 2000.

Misure accompagnatorie

Dal primo giugno 2004, i cittadini svizzeri che intendono soggiornare o lavorare nei 15 Stati che già facevano parte dell’Unione prima dell’allargamento a 25 (avvenuto il primo maggio 2004) beneficiano delle medesime condizioni dei cittadini europei.

I sindacati ritengono tuttavia che l’estensione dell’accordo ai nuovi membri possa essere accettabile soltanto in presenza di adeguate misure accompagnatorie. Ad esempio l’introduzione di contingenti, la definizione di salari minimi o l’applicazione di misure di controllo supplementari.

“O i cantoni agiscono per evitare il dumping salariale oppure lanceremo il referendum”, sottolinea Vasco Pedrina, co-presidente del nuovo grande sindacato UNIA.

Opposizioni a destra e a sinistra

Recentemente, il fronte sindacale è stato rinforzato dalle piccole e medie imprese. Anch’esse temono l’arrivo in massa di concorrenti stranieri e pretendono adeguate misure di protezione.

Ma la questione della libera circolazione non suscita dubbi ed incertezze soltanto nel mondo del lavoro. Pure l’Unione democratica di centro (UDC) e l’Azione per una Svizzera neutrale ed indipendente (ASNI) minacciano di brandire l’arma del referendum.

Le due organizzazioni di destra paventano l’invasione della Svizzera da parte di lavoratori stranieri poco qualificati e la conseguente perdita di posti di lavoro. Secondo molti osservatori, dietro questi argomenti si nasconde la volontà di attaccare frontalmente qualsiasi avvicinamento all’UE.

Referendum sì, referendum no

Giochi, speculazioni e strategie in questo ambito sono tuttavia pericolosi. Con l’opposizione ad un singolo dossier si rischia infatti di far naufragare l’intero primo pacchetto di accordi bilaterali.

Un referendum contro l’allargamento della libera circolazione ai nuovi Stati dell’UE rimetterebbe dunque tutto in questione.

In effetti, un eventuale no del popolo svizzero all’estensione dell’accordo, potrebbe essere interpretato dall’Unione come un inaccettabile discriminazione dei nuovi membri. E dunque, secondo la cosiddetta “clausola ghigliottina”, l’intero pacchetto potrebbe venir disdetto.

“Nel caso in cui gli ottimi risultati raggiunti percorrendo la via bilaterale dovessero essere cancellati, non è possibile immaginare quanto la Svizzera sarebbe penalizzata nella sua collaborazione con l’Europa”, scrive Peter Hasler, direttore dell’Unione padronale svizzera, sulle colonne della “Neue Zürcher Zeitung”.

“Chi pratica queste manovre pone in grave pericolo l’economia elvetica”, aggiunge Hasler.

E, paradossalmente, l’opposizione alla via bilaterale potrebbe anche rivelarsi un’arma a doppio taglio per gli euro-scettici. Se l’opzione bilaterale dovesse essere bruscamente interrotta, l’unica alternativa rimanente sarebbe infatti quella di aderire a pieno titolo all’Unione.

swissinfo, Christian Raaflaub
(traduzione: Marzio Pescia)

Un protocollo aggiuntivo del primo pacchetto di negoziati bilaterali firmati nel 1999 prevede che la libera circolazione delle persone sia allargata progressivamente anche ai nuovi 10 paesi membri entrati a far parte dell’Unione europea il 1° maggio 2004.

Questo protocollo aggiuntivo dovrebbe entrare in vigore nel 2005. Il parlamento è chiamato a discuterne durante questa sessione d’autunno.

Con la minaccia del referendum, i sindacati vogliono controlli più severi per proteggere il mercato del lavoro interno. Così mettono però in pericolo tutto il dossier libera circolazione.

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