Cernobyl addio: cala il sipario sulla centrale nucleare ucraina
Cernobyl chiude per sempre. L'Ucraina abbandona la centrale atomica, diventata famosa in tutto il mondo per il grave incidente del 1986. Le ricadute di radioattività colpirono anche la Svizzera, riaprendo il dibattito sull'energia atomica.
Il 26 aprile 1986 un gravissimo incidente si verificò nella quarta unità della centrale nucleare di Cernobyl, in Ucraina. Swissinfo ricorda quei giorni assieme a Ferruccio Ferroni, esperto che lavora nel campo delle centrali nucleari. “Fu un incidente definito di criticità. L’immissione di un’eccessiva quantità di materiale radioattivo provocò una dispersione di combustibile con conseguente esplosione di vapore, rottura della guarnizione di tenuta del reattore e scoppio di gran parte del combustibile in atmosfera. Ulteriori fall-out avvennero nei dieci giorni successivi.”
Il fall-out radioattivo contaminò pesantemente Ucraina, Bielorussia e Russia. La nube toccò i Paesi scandinavi, la Polonia, la Germania, la Grecia, l’Italia, la Svizzera, l’Austria e la Cecoslovacchia, dove fu registrato un notevole incremento dei livelli di radioattività. Vennero toccati dalla nube anche Gran Bretagna, Belgio, Irlanda e Francia sud-occidentale. Arrivò fino alla Turchia. Aumenti dei livelli di radioattività furono evidenziati anche in aree geografiche molto lontane dall’incidente come Cina, Giappone, India, Canada, USA.
Cernobyl assicurava il 5 percento della produzione di energia. Il conto della sua chiusura definitiva è salato. Kiev ha accettato la condanna a morte della centrale più temuta al mondo sotto enormi pressioni internazionali ma soprattutto in cambio dell’aiuto dei sette Paesi più industrializzati, un aiuto pari ad oltre 2 miliardi di dollari. Aiuti economici e progettuali vengono anche dal fondo multilaterale per Cernobyl, allestito dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERD). I fondi serviranno a costruire in Ucraina due reattori più moderni, a finanziare programmi sociali e ad aumentare la sicurezza nelle altre 4 centrali nucleari del Paese.
“Saggia decisione”, decreta la Svizzera, la cui politica di aiuto allo sviluppo va dall’economico al sociale, passando per il culturale. “La chiusura di Cernobyl era attesa da tempo” ha dichiarato Pierre Multone, consulente scientifico dell’Ufficio federale degli affari energetici. “Ma non dobbiamo dimenticare che il problema sicurezza tocca numerosi altri Paesi dell’Est europeo, in particolare la repubblica Ceca.” Ferruccio Ferroni esclude in linea di massima altri incidenti causati dalla stessa dinamica. “In Russia sono ancora attivi una decina di reattori simili a quello di Cernobyl, tuttavia la situazione è maggiormente sotto controllo, ci sono stati progressi.” Ferroni esorta in ogni caso a non abbassare la guardia, anche in Occidente, sottolineando come la sicurezza deve essere ai massimi standard.
Il post-Cernobyl
Il processo di smantellamento della centrale nucleare sarà lungo. Oltre alla chiusura della centrale, bisogna tenere sott’occhio il sarcofago che racchiude il quarto reattore che sta cedendo in seguito all’infiltrazione di acqua all’interno dello stesso. La Svizzera all’inizio di novembre ha aumentato di 7 milioni di franchi l’aiuto destinato a rafforzarne la sicurezza.
La zona resta pesantemente contaminata. Il 70 percento della radioattività si è abbattuto sulla Bielorussia, dove attualmente i livelli di contaminazione sono al di sopra della norma. In costante aumento i casi di cancro, compromesse aree boschive e coltivabili, così come la produttività e la riproduzione del bestiame.
Le ricadute di Cernobyl
Un bilancio sovietico dell’epoca elencava 31 morti in seguito all’esplosione. Da parte sua Kiev ha recentemente contato 15mila morti correlate alle ricadute di Cernobyl. 3 milioni di ucraini soffrirebbero di problemi di salute legati alla tragedia. In Svizzera non si è registrato un aumento di tumori correlati a Cernobyl, per l’Ufficio federale di sanità pubblica. In Ticino, nel sud dei Grigioni e nel Giura vodese, le regioni svizzere più toccate nell’86, pesci, funghi e selvaggina hanno registrato per lungo tempo dosi radioattive superiori alla norma. Mario Camani, capo della sezione protezione aria e acqua del Cantone Ticino conferma che “la nube radioattiva ha contaminato in modo abbastanza pesante certi alimenti in Ticino. Tuttavia la gente avrebbe dovuto mangiarne ingenti quantità per avere eventuali problemi.” Nel 1986 il panico era incontrollato. “Oggi sappiamo, continua Mario Camani, che la radioattività in quel periodo c’era in modo marcato, ma non ha mai costituito un reale pericolo per la gente.”
Allarmismo ingiustificato?
No, concordano Mario Camani e il dottor Marco Maurizio, membro dell`Associazione medici per l’ambiente. La gente ha fatto bene ad avere paura, agendo di conseguenza. Per Mario Camani i provvedimenti adottati hanno tenuto basso il rischio di radiazione. Per il dottor Maurizio inoltre, “era giusto dire alla gente di avere paura, aprendo gli occhi sui rischi dell’atomo e delle centrali atomiche. Ora si è più coscienti. Prendiamo l’esempio del recente naufragio del sottomarino nucleare russo, ora nessuno esita a dire che la zona è una fogna di bombe atomiche.” Mario Camani sottolinea anche le difficoltà organizzative e di informazione all’epoca. “Cernobyl ha aiutato a migliorare l’organizzazione a tutti i livelli.”
Il dibattito sull’energia nucleare
Per Greenpeace le autorità hanno mancato l’occasione per una riflessione approfondita sulle centrali nucleari svizzere. Malgrado lo choc suscitato, la catastrofe di Cernobyl non ha affatto intaccato la politica energetica svizzera. Il 40 percento della produzione di elettricità viene fornito dalle centrali nucleari. Dall’86 le autorità elvetiche organizzano periodicamente esercitazioni che simulano un incidente nucleare in Svizzera. “I controlli di sicurezza nelle centrali elvetiche minimizzano la soglia di rischio” afferma Hansjörg Ruth, segretario generale aggiunto dell’Aspea. Greenpeace e altre organizzazioni non governative nutrono dubbi.
Negli ultimi tempi la sicurezza nucleare è stata al centro di una particolare attenzione in Europa. In seno ai 15 la produzione di energia elettrica con impianti nucleari rappresenta attualmente il 34 percento dell’energia totale prodotta da 132 centrali di 6 Stati membri. Nel prossimo futuro gli impianti nucleari continueranno a rappresentare un’importante fonte energetica soprattutto perché garantiscono l’indipendenza delle forniture energetiche da paesi terzi. Ciò che si riscontra è l’esigenza di avviare una strategia a livello comunitario che comprenda tutti i tipi di scorie radioattive, compresi i rifiuti industriali e sanitari prodotti fuori dal ciclo del combustibile nucleare. Tale strategia deve porsi come obiettivo generale la protezione dell’ambiente, dei lavoratori e della popolazione fino alle prossime generazioni.
Maddalena Guareschi
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