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Divieto del burka: una dittatura della maggioranza?

Con il sì del 57,5% dei votanti e di 22 cantoni su 26, il 29 novembre 2009 gli svizzeri hanno approvato l'iniziativa per proibire la costruzione di nuovi minareti in Svizzera. Nella foto uno degli unici quattro minareti che vi sono in Svizzera, quello a Wangen bei Olten, nel cantone di Soletta. 13 Photo

I divieti dei minareti, della macellazione rituale e del burka sono stati decisi in Svizzera attraverso votazioni popolari. La democrazia diretta discrimina le minoranze religiose? La proposta sconcertante di un politologo.

Questo articolo fa parte di #DearDemocracy, la piattaforma di swissinfo.ch sulla democrazia diretta.

Dal giugno 2016 in Ticino è vietato portare un velo che copra la faccia. Lo hanno deciso in votazione popolare i cittadini del cantone. Un comitato sta raccogliendo firme per estendere il divieto anche a livello nazionale.

Nel 2009 una votazione popolare ha vietato la costruzione di minareti in Svizzera. E già nel 1893 i cittadini svizzeri avevano deciso di proibire la macellazione rituale praticata dagli ebrei, vale a dire l’uccisione senza anestesia degli animali attraverso il taglio della giugulare e il dissanguamento. Tutti questi divieti colpiscono solo i musulmani e gli ebrei, vale a dire delle minoranze religiose.

Il politologo Adrian Vatter è professore all’università di Berna. zvg

Anche altre religioni si sono confrontate con la volontà popolare. I cattolici hanno dovuto lottare a lungo nei cantoni protestanti (e viceversa) per ottenere un riconoscimento giuridico della loro confessione. L’ordine dei gesuiti era fuorilegge in Svizzera fin dal XIX secolo e solo nel 1973 una votazione popolare ha abrogato il bando.

La democrazia diretta conduce quindi alla dittatura della maggioranza sulle minoranze? Il politologo svizzero Adrian Vatter si è occupato della questione e ha pubblicato un libro sull’argomento (v. riquadro). La sua opinione è chiara: «Le minoranze religiose si trovano in posizione difficile in una democrazia diretta.» Più difficile di quella di altre minoranze, quali le minoranze linguistiche o i disabili, che hanno maggiori possibilità di veder riconosciute le loro esigenze in una votazione popolare. In una posizione ancora più difficile rispetto alla minoranze religiose si trovano i migranti. «Poiché il 90% dei musulmani in Svizzera è di nazionalità straniera, per loro gli effetti raddoppiano.»

Religione non è uguale a religione

Nel loro progetto di ricerca, Vatter e i suoi collaboratori hanno messo a confronto le decisioni del parlamento svizzero con le decisioni prese con gli strumenti della democrazia diretta. «Le decisioni popolari vanno più spesso a sfavore delle minoranze religiose», dice Vatter. «Ma questo non vale per tutte le religioni!»

Minoranze religiose e democrazia diretta: un libro

Gli autori del libro Vom Schächt- zum Minarettverbot (Dal divieto della macellazione rituale a quello dei minareti) si chiedono se la democrazia diretta offra una protezione alle minoranze religiose o se al contrario comporti piuttosto una discriminazione. Per farlo analizzano sistematicamente tutte le votazioni cantonali e federali che riguardano le comunità religiose. Il libro è edito solo in tedesco.

Secondo Vatter c’è un’enorme differenza se una minoranza religiosa è percepita come gruppo socialmente ben integrato con valori culturali analoghi a quelli della maggioranza o come gruppo estraneo. «La minoranza ebraica nel XIX secolo era percepita come gruppo separato e si trovava perciò in difficoltà quando questioni che la riguardavano erano decise nelle urne.»

Oggi è diverso, la minoranza ebraica è considerata parte della società elvetica. «La minoranza islamica invece viene vista da una maggioranza come un corpo estraneo, che non condivide i valori dell’occidente cristiano.» Nelle votazioni che la riguardano si trova perciò in una posizione difficile.

Anche gli eventi internazionali possono pesare. Secondo Vatter, il divieto di costruire nuovi minareti in Svizzera è stato approvato non da ultimo a causa degli accadimenti mondiali. «Non è stato un voto contro il singolo musulmano, ma contro l’islam come movimento politico.» Quando una religione aumenta dal punto di vista numerico, ciò che è il caso per l’islam, questo ha un effetto anche sulle votazioni popolari. Le piccole comunità religiose come i vecchi cattolici o le chiese libere non sono considerate una minaccia.

I parlamentari sono più aperti dei votanti?

Se si guarda all’esempio del divieto del burka si può osservare che anche in Francia e in Belgio sono stati vietati il burka e il burkini (il costume da bagno che copre tutto il corpo). Le minoranze religiose non sembrano necessariamente più protette nelle democrazie rappresentative. Tuttavia Vatter non ritiene che tale argomento sia valido: «Bisognerebbe fare un paragone quantitativo». Analisi di questo tipo però non esistono.

Altri sviluppi

Vatter spiega perché non cambia opinione: «In una democrazia rappresentativa a decidere è un’élite politica, vale a dire i parlamentari e il governo. Non sono uno specchio della popolazione, bensì di regola persone con un più alto grado di formazione.» Per questo le decisioni parlamentari relative alla concessione di diritti alle minoranze religiose generalmente sono più aperte rispetto alle decisioni popolari. Ma anche nelle democrazie rappresentative le decisioni politiche esprimono il punto di vista della popolazione. «Sono entrambe democrazie e quindi rispecchiano le preferenze della popolazione.»

Collisione di valori

In Svizzera di solito si arriva al contrasto quando la libertà religiosa collide con altri valori o diritti. Alcuni esempi:

•  Circoncisione: In Svizzera la circoncisione delle ragazze è vietata, mentre quella dei ragazzi è permessa, anche se è controversa. L’organizzazione Pro Kinderrechte Svizzera conduce una campagna veemente per il divieto di circoncisioni dei ragazzi quando non vi sono ragioni mediche per farlo. La circoncisione sarebbe una violazione dell’integrità fisica e dei diritti umani.

•  Macellazione rituale: Mentre il divieto della macellazione rituale del 1893 fu approvato almeno in parte per motivazioni antisemite, oggi si mantiene il divieto per ragioni di protezione degli animali. In Svizzera gli animali possono essere dissanguati solo sotto anestesia, pratica che molti ebrei e musulmani respingono per motivi religiosi. Si riforniscono di carne all’estero, ma anche questa è una soluzione controversa.

•  Educazione sessuale: Alcuni gruppi cristiani respingono la teoria dell’evoluzione e non vogliono che i loro bambini ricevano un’educazione sessuale a scuola. La maggioranza delle svizzere e degli svizzeri ritengono però che l’educazione sessuale sia importante per proteggere i bambini dagli abusi sessuali e dalle gravidanze indesiderate.

Chi deve poter decidere in questi casi? È la maggioranza che deve decidere in votazione popolare oppure le minoranze necessitano di una particolare protezione e di privilegi che difendano i loro interessi, così come accade con il federalismo?

Vatter è dell’opinione che non debbano decidere né la maggioranza né la minoranza. Sia per la popolazione che per il parlamento è difficile valutare se sia più importante la protezione dei bambini e degli animali oppure la difesa della libertà di religione. Il politologo propone perciò un approccio completamente diverso: «Nel caso ideale un tribunale competente dovrebbe compiere una valutazione sulla base dei diritti fondamentali stabiliti dalla costituzione.»

Dal punto di vista democratico è una proposta sconcertante. I tribunali sono composti di poche persone. Un dominio dei giudici dovrebbe dunque sostituirsi alla dittatura della maggioranza? Una proposta che difficilmente in Svizzera troverà molti sostenitori.

A vostro avviso chi dovrebbe decidere in caso di conflitto tra la religione e altri valori? Discutete con noi nei commenti!

(Traduzione dal tedesco: Andrea Tognina)

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