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Il voto anti-minareti? Una «lezione di civismo»

Oskar Freysinger Keystone

Due settimane dopo l’accettazione da parte del popolo svizzero dell’iniziativa per vietare la costruzione di minareti, Oskar Freysinger fornisce la sua chiave di lettura. Il deputato dell'Unione democratica di centro ricusa la tesi di un sì dettato dall’ignoranza e deplora gli attacchi contro la democrazia diretta.

Diventato il portavoce dei sostenitori dell’iniziativa contro i minareti nel mondo francofono, Oskar Freysinger è molto sollecitato negli ultimi tempi.

Recentemente è stato invitato perfino all’emittente araba Al Jazeera a difendere durante una trasmissione televisiva la decisione espressa dal 57,5% dei cittadini svizzeri di vietare la costruzione di minareti.

swissinfo.ch: Il voto contro i minareti è stato abbondantemente commentato e criticato, sia in Svizzera che all’estero. Cosa l’ha colpita di quello che è stato detto e scritto?

Oskar Freysinger: Sono rimasto stupito da come il dibattito sia rapidamente scivolato dai minareti alla democrazia diretta. Si affrontano due campi. Da un lato le élite, secondo cui la democrazia diretta è antidemocratica e contraria ai diritti dell’uomo, ciò che rappresenta il paradosso più totale. Dall’altro i difensori dei diritti popolari. Pur riconoscendo che questo sistema non è ideale, pensano che sia il migliore possibile, poiché permette alla gente di sentirsi implicata e di avere un canale attraverso il quale esprimersi.

In Europa la gente ci invidia. Ho ricevuto moltissimi messaggi dalla Francia e da altrove. Molte persone rimpiangono di non avere a disposizione strumenti attraverso i quali esprimere la loro volontà. La Svizzera, nel cuore dell’Europa, ha dato un’incredibile lezione di civismo contro il politicamente corretto, contro le élite e i media e contro una pressione monumentale del pensiero unico. Ciò potrebbe far nascere delle idee ai popoli che ci attorniano ed è qualcosa di cui l’intelligentsia europea ha paura.

swissinfo.ch: Ma il popolo ha veramente sempre ragione? Non può sbagliarsi anche lui?

O.F.: È un po’ come il dogma dell’infallibilità del Papa. Il Papa ha sempre ragione nelle questioni legate alla fede, non in assoluto. Il popolo ha sempre ragione perché è il sistema a dargli ragione. Determinare chi ha ragione e chi ha torto è sempre complesso. Come politico ho perso non poche votazioni davanti al popolo. Bisogna prenderne atto e gestire la situazione, anche se ciò è molto difficile, come oggi con la libera circolazione delle persone.

swissinfo.ch: Si è spesso parlato di un voto della paura. Qual è la sua chiave di lettura?

O.F.: Se mi baso sulle migliaia di messaggi e reazioni che ho ricevuto, ho notato due tendenze. Durante tutta la campagna, non è stata la paura a dominare, bensì una riflessione distaccata, relativamente concreta e neutra nei toni, su ciò che è l’Islam e sulla sua incompatibilità dottrinale con il nostro Stato di diritto. Ho anche ricevuto alcune informazioni che mi sono state utili nei dibattiti. Non si tratta quindi di un voto puramente irrazionale e dovuto a una mancanza di informazioni, come spesso è stato detto.

Hanno votato “sì” coloro che ritengono che la nostra identità debba essere protetta in un momento contraddistinto dall’apertura delle frontiere e dall’impossibilità di regolare i flussi migratori. Vi è poi stato il “sì” dei cattolici, che non hanno per nulla seguito le loro élite e anche il “sì” delle donne. Molte di loro mi hanno detto di non aver mai votato UDC, ma che su questo soggetto si sono sentite minacciate da una religione particolarmente patriarcale.

swissinfo.ch: Sono state fatte diverse proposte per cercare di “correggere” questo voto, come la creazione di una Corte costituzionale o un nuovo articolo sulla tolleranza. Cosa ne pensa?

O.F.: La decisione del popolo ha forza di atto di legge. Se tra qualche anno si vorrà cambiare questo articolo perché l’Islam non pone più nessun problema, solo il popolo potrà modificare la decisione. Sostituire questo voto con un articolo ‘guazzabuglio’, che avrebbe lo svantaggio di penalizzare tutte le religioni, significa spalancare porte aperte, poiché la tolleranza è già iscritta nella Costituzione e nelle leggi svizzere.

Per quanto concerne la Corte costituzionale, ritengo che sia un sistema immaginabile nei paesi in cui è solo il parlamento a elaborare le leggi. In Svizzera il popolo è sovrano. Introdurre un simile sistema significherebbe mettere la museruola al popolo. Perché i giuristi sarebbero più competenti per distinguere il bene dal male rispetto ai semplici cittadini?

swissinfo.ch: Cosa risponde a coloro che vi rimproverano di aver preso il rischio, con questa iniziativa, di far deviare l’integrazione tranquilla dei musulmani in Svizzera, la maggioranza dei quali non sono praticanti, verso una dinamica comunitarista?

O.F.: È un rimprovero infondato. Tra i musulmani distinguo tre categorie. I non praticanti, che per definizione sono emancipati dalla religione e quindi indifferenti alla presenza o meno di un minareto o anche di una moschea. In seguito quelli che vivono la religione come una scelta individuale e un fatto privato. Questi ultimi oggi pagano per la terza categoria, ossia coloro che non accettano che la legge civile primeggi sul dogma religioso. Finanziata dall’Arabia Saudita o dalla Turchia, questa frangia ha anche le sue responsabilità nel risultato di questo voto.

swissinfo.ch: All’indomani del voto diversi partiti politici d’estrema destra in Europa hanno salutato la vostra iniziativa. Quali sono le affinità ideologiche o le divergenze del vostro partito con questi movimenti?

O.F.: Da molto tempo vi è questa confusione con l’estrema destra e i fascismi. Le differenze però sono importanti. La prima è che l’Unione democratica di centro difende la democrazia e lo Stato di diritto assolutamente senza restrizioni. Un’altra differenza è che noi riteniamo non si debba rifiutare l’altro semplicemente perché è altro. Sarebbe del razzismo e della xenofobia.

Per contro, ci interpella il comportamento di una persona che viene in Svizzera. Siamo tacciati di razzisti perché combattiamo i comportamenti disfunzionali importati nell’ambito dell’immigrazione. Fustighiamo però il comportamento e non il colore della pelle e il luogo d’origine.

Carole Wälti, swissinfo.ch
(traduzione di Daniele Mariani)

Il 29 novembre 2009 popolo e cantoni hanno accettato l’iniziativa contro la costruzione di nuovi minareti in Svizzera.

L’articolo costituzionale è stato accettato dal 57,5% dei votanti. Solo in quattro cantoni (Basilea Città, Ginevra, Vaud e Neuchâtel) l’iniziativa è stata respinta.

L’iniziativa è stata lanciata da un comitato costituito da membri dell’Unione democratica federale (destra cristiana) e dell’Unione democratica di centro (destra nazional-conservatrice).

Il governo, la maggioranza del parlamento e le chiese avevano raccomandato di votare ‘no’.

In Svizzera quattro moschee hanno anche un minareto (Ginevra, Zurigo, Wangen e Winterthur). A Langenthal, nel canton Berna, la costruzione di un minareto ha ricevuto il nullaosta, ma non si sa ancora se potrà essere edificato visti i risultati del 29 novembre.

La comunità musulmana in Svizzera non è per nulla omogenea. Negli anni ’70 era composta essenzialmente da turchi, mentre oggi soprattutto da cittadini della ex Jugoslavia. I musulmani che vivono nella Confederazione sono originari di un centinaio di paesi differenti.

Oskar Freysinger è stato eletto in parlamento federale nel 2003.

In Vallese, dove abita, ha fondato la sezione cantonale dell’UDC nel 1999.

Le sue priorità politiche sono la difesa dei diritti popolari, le naturalizzazioni votate dal popolo, la sicurezza attraverso l’espulsione dei criminali stranieri, la lotta contro la legalizzazione delle droghe e l’abrogazione della norma penale antirazzismo.

Oltre alla sua attività di consigliere nazionale, Oskar Freysinger è docente al liceo di Sion.

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