RUAG vittima delle intemperie

Il gruppo tecnologico e di armamento svizzero ha registrato nel 2005 una perdita di 19 milioni di franchi, soprattutto a causa delle gravi inondazioni estive.
È la prima volta che l’impresa bernese, interamente in mano alla Confederazione, si ritrova nelle cifre rosse. In futuro vorrebbe un’apertura progressiva del suo capitale.
Le inondazioni dell’agosto 2005 e la ristrutturazione del sito di Thun (Berna) hanno fatto scivolare la RUAG nelle cifre rosse.
Il gruppo tecnologico e di armamento bernese, controllato al 100% dalla Confederazione, ha registrato l’anno scorso una perdita secca di 19 milioni di franchi (2004: + 26 milioni).
Per il 2006, i vertici di Ruag sono comunque ottimisti e prevedono risultati in crescita.
Inondazioni estive
La perdita subita l’anno scorso, la prima del gruppo, si spiega con le intemperie del 22 e 23 agosto scorso, che hanno danneggiato il sito di Altdorf, nel canton Uri, e causato sinistri per 150 milioni di franchi, ha precisato venerdì la società.
In una conferenza stampa, il direttore generale, Toni Wicki, ha spiegato che la catastrofe naturale estiva e la ristrutturazione del sito di Thun hanno pesato rispettivamente con 35 e 7 milioni di franchi sui risultati.
L’utile prima della deduzione di interessi e imposte (EBIT) è così sceso da 54 a 19 milioni (-64%). Senza questi oneri straordinari, l’utile operativo sarebbe stato di 61 milioni di franchi, ovvero 8 milioni in più rispetto al 2004, ha rilevato Wicki.
Grosso calibro poco proficuo
Le cifre rosse si spiegano anche con la perdita di 16 milioni di franchi del settore delle munizioni di grosso calibro. La RUAG ha comunque già annunciato che abbandonerà questa attività deficitaria entro la metà del 2007.
Nel 2005, tale settore ha pesato anche sulle vendite del gruppo, diminuite dello 0,7% a 1,194 miliardi.
I settori dell’industria aeronautica e spaziale e delle munizioni di piccolo calibro sono invece riusciti a mantenere i livelli di crescita dell’esercizio precedente.
Apertura del capitale
La parte del giro d’affari conseguita in Svizzera ammonta al 47% (48% nel 2004).Con una quota del 39% (90% nel 1999), il Dipartimento federale della difesa si conferma il cliente più importante.
Le commesse in portafoglio si sono contratte l’anno scorso del 5,5% a 699 milioni, mentre le entrate di nuovi ordinativi hanno segnato una progressione del 7,4% a 1,230 miliardi. Lasciano ben sperare anche le commesse recenti come quella nuova – per 30 milioni – del costruttore europeo Airbus, già cliente di RUAG.
Rimane sul tappeto la questione di un’apertura del capitale di RUAG . Per Toni Wicki, è chiaro che la decisione spetta alla Confederazione, attuale proprietario unico dell’azienda. Ma una liberalizzazione progressiva gli appare ormai sempre più auspicabile, nella misura in cui si fondi su criteri economici e non politici.
Nel 1999, quando è nata, Ruag aveva in organico 3800 dipendenti in Svizzera. Tali effettivi sono rimasti stabili da allora, ma il gruppo si è fortemente sviluppato grazie ad acquisizioni all’estero, occupando così (nel 2005) 5640 persone.
swissinfo e agenzie
Il gruppo tecnologico e di difesa RUAG è stato creato nel 1999 a partire da imprese di armamento della Confederazione.
È totalmente controllato dalla Confederazione; la questione di un’apertura progressiva del suo capitale è però periodicamente sollevata.
Da qualche anno, le relazioni commerciali che RUAG intrattiene con il Ministero elvetico della Difesa sono in continua diminuzione, a profitto di terzi e del settore civile (l’aeronautica in particolare).
Il gruppo si è d’altronde fortemente sviluppato grazie ad acquisizioni all’estero, soprattutto in Europa, dove realizza oltre la metà del suo fatturato.
RUAG ha registrato un deficit di 19 milioni di franchi nel 2005.
Nel 2004, ha invece presentato un utile di 26 millioni.
Il calo si spiega in gran parte con i danni causati dalle intemperie dell’estate scorsa.
Il gruppo occupa 5640 persone, di cui circa 3800 in Svizzera.
Il 53% della sua cifra d’affari è realizzato all’estero, in particolare con i Paesi dell’Ue (43%).

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