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I politici svizzeri non vogliono bruciarsi le dita

I negoziati con l'UE su nuovi accordi bilaterali si trovano da anni in una fase di stagnazione Keystone

L’UE ha inasprito le sue condizioni per la conclusione di nuovi accordi bilaterali. I negoziati saranno quindi difficili per il governo svizzero, chiamato da una parte a rispondere alle esigenze di Bruxelles e dall’altra a preservare la sovranità nazionale.

Il governo svizzero spera di poter soddisfare solo con piccole concessioni le richieste dell’UE in ambito istituzionale. Bruxelles vuole istituire un’entità sovranazionale per sorvegliare l’applicazione degli accordi bilaterali e risolvere eventuali contenziosi. Berna intende invece attribuire questo compito ad un’autorità nazionale indipendente.

I Ventisette pretendono inoltre che la Svizzera riprenda automaticamente gli adeguamenti del diritto comunitario. Il governo elvetico è disposto a riprendere le normative europee, ma senza automatismi e nel quadro del processo democratico in vigore in Svizzera.

Queste posizioni sono contenute nei principi guida, presentati in aprile dal Consiglio federale e sottoposti attualmente all’esame dei Cantoni, delle parti sociali e delle Commissioni di politica estera del Parlamento. Al termine della procedura di consultazione, il governo svizzero presenterà le sue proposte all’UE per giungere a soluzioni sul piano istituzionale.

Proposte insufficienti

Finora Bruxelles non ha  commentato i principi guida varati dal Consiglio federale. L’ambasciatore dell’UE a Berna, Richard Jones, ha tuttavia già dichiarato che il modello formulato dal governo svizzero “non è sufficiente”.

Il Consiglio federale considera sicuramente “serie” le sue proposte, ritiene il politologo Laurent Goetschel. “Dapprima si tenta di avviare dei negoziati partendo dalle proprie posizioni, pur essendo consapevoli che non susciteranno un grande apprezzamento da parte dell’altro partner contrattuale”.

Posizione difficile

Nel 1992, l’Unione democratica di centro (UDC) era riuscita, sola contro tutti, a far bocciare dal popolo svizzero la proposta di adesione allo Spazio economico europeo (SEE). Dopo questa vittoria, il partito di destra ha continuato a lottare contro ogni tentativo di avvicinamento all’UE. Puntando sull’antieuropeismo e sul freno all’immigrazione, l’UDC è diventata da allora il maggiore schieramento politico nazionale.

Ancora oggi, la politica europea del governo non soddisfa l’UDC: secondo il deputato del partito di destra Hans Fehr, il Consiglio federale si sta piegando al volere dell’UE e non difende gli interessi della Svizzera. “Il governo sta cedendo e vuole soddisfare in qualche modo l’UE. Dovrebbe invece rendersi conto, una volta per tutte, che siamo un paese sovrano”.

A detta di Michael Fust, segretario generale del Nuovo movimento europeo svizzero (NOMES), il governo si trova in una posizione difficile. “Ogni passo che compie viene giudicato insufficiente o eccessivo da una parte e dall’altra”. Per questo motivo, secondo Michael Fust, il Consiglio federale “ha raccolto soltanto un consenso minimo, che non potrà soddisfare l’UE”.

Passo non attraente

Il compito del governo appare alquanto arduo: oltre a dover essere adottata dalla maggioranza del Parlamento, una proposta di soluzione dovrebbe essere eventualmente sottoposta anche all’approvazione del popolo svizzero. Da diversi mesi la questione dei rapporti con l’UE non è quasi presente nel dibattito pubblico.

“Nell’anno elettorale 2011, molti partiti hanno preferito tenere un profilo basso su questo tema: appariva già chiaro che la Svizzera sarà costretta a compiere un grande passo, se vorrà estendere il suo accesso privilegiato al grande mercato unico europeo”, osserva Michael Fust. “Questo passo non è molto attraente, dal momento che ci lega ancora maggiormente all’UE, senza però poter partecipare alle decisioni prese dai Ventisette”.

Secondo il segretario generale di NOMES, non sarà facile cercare di spiegare tutto questo all’opinione pubblica. “Credo che diversi politici abbiano paura di bruciarsi le dita di fronte a questo tema poco popolare”.

Politica dei piccoli passi

Se il Consiglio federale preferisce evitare di rimettere in discussione tutta la politica europea è anche perché “molti settori che toccano direttamente la Svizzera sono già regolati dagli accordi bilaterali attualmente in vigore”, afferma Laurent Goetschel. La Svizzera ha infatti firmato con l’UE un centinaio di trattati bilaterali, tra cui sulla libera circolazione delle persone, l’adesione allo spazio di Schengen, il commercio, i trasporti e la ricerca.

Ciò significa che una soluzione duratura per ancorare i rapporti con l’UE rischia di essere posticipata ancora per molto tempo. “È quanto la Svizzera sta già facendo dal ‘no’ al SEE nel 1992. E credo che continueremo in questo modo ancora a lungo, a meno che non sorgano grandi problemi con gli accordi attuali o scenari economici così catastrofici da spingerci a rilanciare le nostre riflessioni”, aggiunge il politologo.

Le relazioni bilaterali consistono nel “dare e ricevere”, dichiara da parte sua Hans Fehr, ricordando che la Svizzera sta già dando molto all’Europa con la costruzione della Nuova trasversale ferroviaria alpina lungo l’asse del San Gottardo, del costo di 30 miliardi di franchi. “Non abbiamo inoltre bisogno di nuovi accordi, né a corto né a medio termine”.

Nel 1992, il popolo svizzero ha respinto la proposta di adesione allo Spazio economico europeo. In seguito a questa decisione, le autorità elvetiche hanno deciso di seguire la via degli accordi bilaterali con l’UE.
 
Nel 1999 la Svizzera e l’UE, formata allora da 15 paesi, hanno concluso un primo pacchetto di accordi bilaterali, destinati innanzitutto a garantire una reciproca apertura dei mercati.

Gli accordi bilaterali I, entrati in vigore nel 2002, concernono i seguenti settori: libera circolazione delle persone, appalti pubblici, agricoltura, ricerca, trasporti terrestri e trasporto aereo.

Nel 2004 Berna e Bruxelles hanno concordato un secondo pacchetto di accordi bilaterali, volti a rafforzare la cooperazione in altri settori.

Gli accordi bilaterali II, entrati in vigore tra il 2005 e il 2008, riguardano l’adesione della Svizzera ai trattati di Schengen e Dublino, la fiscalità del risparmio, i prodotti agricoli trasformati, i media, l’ambiente, la statistica, la lotta contro la frode, le pensioni, nonché l’educazione e la formazione professionale.

Dopo l’approvazione da parte del popolo svizzero del protocollo aggiuntivo sulla libera circolazione delle persone, gli accordi bilaterali sono stati estesi nel 2006 anche ai 10 paesi che hanno aderito all’Unione europea nel 2004.

Nel 2009 il popolo svizzero ha accettato il rinnovo dell’accordo sulla libera circolazione, giunto a scadenza il 31 maggio di quell’anno, e la sua estensione a Romania e Bulgaria, diventati membri dell’UE nel 2007.

Attualmente sono ancora in corso negoziati nei seguenti campi: elettricità; agricoltura, sicurezza alimentare e dei prodotti, sanità pubblica; sistema di radionavigazione e di posizionamento via satellite (GALILEO ed EGNOS); commercio dei diritti d’emissione di gas a effetto serra (ETS); cooperazione tecnica con l’Agenzia europea di difesa (AED); cooperazione tra autorità in materia di concorrenza

Traduzione e adattamento di Armando Mombelli

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