Ticinogate. Verda, un giudice in lacrime

«Mi dispiace che questa vicenda abbia avuto un effetto destabilizzante sulla magistratura, ma io pagherò». L'ex giudice Franco Verda chiede scusa al Ticino e scoppia in lacrime. Un pianto, soffocato a fatica, che tradisce la tensione accumulata nel corso del dibattimento, apertosi una settimana fa a Lugano, che lo vede sul banco degli imputati con l'accusa di corruzione, insieme a Gerardo Cuomo, presunto boss napoletano del contrabbando.
Il processo è ormai alle battute finali. Mercoledì la Corte si riunisce in camera di consiglio. La sentenza potrebbe essere emessa già nel tardo pomeriggio. Intanto Verda ha sentito il bisogno di scusarsi. Alzatosi in piedi, lo ha fatto pubblicamente, forse dopo aver riflettuto sul rimprovero mossogli l’altro giorno dal procuratore pubblico.
Luciano Giudici, al termine di sei ore di requisitoria, aveva proprio lamentato la mancanza di parole di scusa da parte di Verda nei mesi di indagini sul Ticinogate. «Provo vergogna e contrizione – ha detto l’ex presidente del Tribunale penale cantonale – per gli errori commessi in un momento difficile della mia vita. Difficoltà che mi hanno impedito di riconoscere gli sbagli, che ho sottaciuto inizialmente anche al mio avvocato».
Un momento di pausa. Verda riprende a parlare con la voce rotta dall’emozione. «Mi assumo le mie responsabilità – ha aggiunto -. Ho sbagliato, ne sono consapevole, ma non per un tornaconto personale. In 30 anni di carriera ho sempre dato tutto me stesso. Non mi sento un giudice corrotto. Spero che questo calvario possa finire al più presto».
Diverso invece lo stato d’animo di Gerardo Cuomo. Il presunto boss ha soltanto detto che attende serenamente la sentenza. «Ho molta fiducia in questa Corte – ha precisato -. Ringrazio la presidente e i giurati».
Poco prima delle dichiarazioni dei due imputati, la parola era tornata all’accusa e alla difesa. Repliche, in pratica schermaglie giuridiche, che non hanno aggiunto molto alla requisitoria e alle arringhe dei giorni precedenti. Secondo il procuratore Giudici, la prova della corruzione, contestata da Mauro Mini, legale di Cuomo, è molto chiara. E coincide, a suo parere, con la telefonata fatta a Monte Carlo dal presunto boss a Francesco Prudentino, considerato dagli inquirenti italiani un esponente di spicco della Sacra Corona Unita, sui suoi beni confiscati.
Cuomo chiede di dare “in beneficenza” metà della somma che sarebbe stata dissequestrata dalla magistratura ticinese. I soldi, intorno a cui ruota tutta la vicenda, sarebbero serviti per salvare dal crac finanziario Desirée Rinaldi, moglie di Verda. «Ma c’era un modo molto semplice per uscire da quella difficile situazione – ha aggiunto Giudici -. Bastava chiedere un prestito in banca».
L’avvocato Mini ha ribadito che non si può procedere nei confronti di Cuomo per complicità in corruzione. L’ipotesi di reato possibile è accettazione di doni, imputazione però che non prevede la complicità. Dunque Cuomo non è punibile.
Il legale di Verda ha sottolineato la regolarità dell’iter seguito per il dissequestro dei beni di Prudentino. «Oltre il 90 per cento delle procedura di confisca – ha detto l’avv. Mario Molo – vengono risolte con transazioni». In altre parole, per la difesa la sentenza sul dissequestro dei beni di Prudentino, firmata da Verda, non è stata “aggiustata”.
Elisabetta Pisa

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