Chi viene curato e chi viene lasciato morire in Svizzera?
In Italia i reparti di terapia intensiva sono talmente oberati da casi di coronavirus che il personale ospedaliero deve decidere chi curare e chi lasciare morire, proprio come in guerra. Ciò potrebbe presto accadere anche in Svizzera. Quali sono i criteri utilizzati dai medici per decidere in casi simili?
Nella crisi provocata dalla pandemia di Covid-19, i pazienti giovani devono essere trattati in priorità e quelli più anziani devono essere lasciati morire? Le mamme e i papà di bambini piccoli devono avere la precedenza per il respiratore, in modo da non lasciare orfani? Un novantenne non dovrebbe essere curato in terapia intensiva perché non ha comunque più molto tempo da vivere?
Altri sviluppi
Coronavirus: la situazione in Svizzera
In Italia, in questo momento i medici si disperano di fronte a dilemmi così drammatici. Nel Paese vicino, solo un paziente su quattro che necessita di respirazione artificiale può essere collegato a una macchina. Per questo motivo i medici sono costretti trattarne una parte solo in modo palliativo.
L’Accademia svizzera delle scienze mediche (ASSM) ritiene che la velocità con cui il virus si diffonde in Svizzera porterà a intoppi analoghi anche nei reparti di terapie intensive degli ospedali elvetici.
La Svizzera ha troppo pochi letti, troppo pochi respiratori e troppo poco personale per il numero previsto di pazienti affetti da coronavirus. È quindi solo questione di tempo prima che anche il personale ospedaliero svizzero debba prendere decisioni difficili.
Decisione eticamente giustificabile
In una nota pubblicata sul sito web il 10 marzo, l’ASSM fa riferimento alle sue direttive medico-etiche sui “provvedimenti di medicina intensiva”, che sono applicabili anche alla situazione della pandemia di coronavirus. Queste descrivono i criteri secondo i quali deve essere effettuato un triage dei pazienti eticamente giustificabile, “in caso di risorse esigue o carenti”.
Le linee guida stabiliscono chiaramente che l’età, il sesso, lo status sociale, la nazionalità, la religione o la disabilità non devono avere un ruolo nella decisione.
“Se in situazioni di catastrofe, come ad esempio in caso di pandemia, non è più possibile trattare in medicina intensiva tutti i pazienti, occorre accertarsi che il triage avvenga secondo principi etici. I criteri applicati devono essere motivati in modo oggettivo ed essere trasparenti”, si legge nelle direttive dell’ASSM, nelle quali si precisa che la procedura deve essere imparziale e “avvenire sotto la direzione di persone affidabili ed esperte, tenute a rendere conto del proprio operato”.
Un 70enne senza altre malattie concomitanti, con buone possibilità di sopravvivenza in terapia intensiva, va collegato al respiratore, mentre una madre di 27 anni, con una prognosi negativa a breve termine a causa di una grave malattia concomitante, va lasciata morire.
Decisiva la prognosi a breve termine
In una situazione di catastrofe come quella che ci si attende con la Covid-19, secondo le linee direttive dell’ASSM, “hanno priorità assoluta i pazienti la cui prognosi è buona con trattamento intensivo, ma sfavorevole senza di esso”, mentre i pazienti con prognosi sfavorevole, che in circostanze normali sarebbero trattati in terapia intensiva, vengono trattati al di fuori del reparto. In altri termini, questi ultimi ricevono trattamenti palliativi.
In questo contesto, per la valutazione della prognosi “sono determinanti le probabilità di sopravvivenza a breve termine al trattamento intensivo”. Non rientra invece nei criteri di decisione l’aspettativa di vita a medio o più lungo termine, puntualizzano le direttive.
Tradotto in altre parole, ciò significa che un settantenne senza altre malattie concomitanti, con buone possibilità di sopravvivenza in terapia intensiva, va collegato al respiratore, mentre una madre di 27 anni, con una prognosi negativa a breve termine a causa di una grave malattia concomitante, va lasciata morire.
(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)
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