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L’Islam in Indonesia, un caso da studiare

Fedeli riuniti alla moschea Istiqlal di Giacarta, la più grande del sud-est asiatico Keystone

L'Indonesia è il più grande paese musulmano del mondo: qui la minaccia dell'estremismo islamico sembra sotto controllo. Swissinfo ne ha discusso con il gesuita tedesco Magnis Suseno, professore di filosofia e residente da quarant'anni in Indonesia.

Nel 2009, la Segretaria di Stato americana Hillary Clinton ha affermato: «Chi vuole capire se l’Islam, la democrazia e la modernità e i diritti delle donne possono convivere, vada in Indonesia».

In questo immenso Stato – 230 milioni di abitanti, buona parte dei quali di confessione musulmana – non si sono infatti più verificati incidenti di rilievo dopo i sanguinosi attentati di Bali del 2002.

In seguito a quell’evento, il governo ha infatti agito su più fronti, varando programmi di lotta alla povertà e di sostegno all’educazione che hanno consentito di diminuire il potenziale d’influenza dei gruppi musulmani più estremisti. Va poi segnalata la presenza di un forte movimento femminista tra le donne musulmane.

Oltre a questi fattori c’è tuttavia dell’altro, come spiega Padre Franz Magnis Suseno, uno degli intellettuali più stimati dell’Indonesia, di cui ha ottenuto la nazionalità nel 1977.

swissinfo.ch: In quale modo l’Indonesia ha deciso di lottare contro la minaccia dell’estremismo islamico?

F. M. S.: Più che lottare contro l’estremismo islamico, dopo l’apertura democratica l’Indonesia ha tentato di contenerlo. L’islam più radicale è infatti sempre stato presente in Indonesia, ma non è mai riuscito a penetrare nell’islam indonesiano.

Questo per tre motivi: in primo luogo, il fatto che l’islam indonesiano è caratterizzato da una forte componente identitaria. La maggioranza dei musulmani indonesiani è molto patriota e rifiuta le correnti estremiste che disconoscono il concetto di appartenenza nazionale.

Secondariamente, va sottolineato che la cultura indonesiana è fondamentalmente aggregativa: anche se i musulmani possono avere delle reticenze nei confronti delle altre religioni, vi è l’idea che l’Indonesia appartiene a tutti.

Infine, le due maggiori organizzazioni islamiche del paese – Nadlatul Ulama e Muhammadiyah – considerano gli estremisti come avversari. Gli indonesiani non apprezzano il linguaggio bellicoso e le minacce di violenza da parte dei gruppi radicali. D’altronde, i partiti politici islamici non hanno mai ricevuto più del 42% dei voti alle elezioni nazionali (27% in quelle del 2009).

swissinfo.ch: Quali aspetti del modello indonesiano potrebbero essere utili in altri Stati musulmani, quali Egitto, Pakistan, Arabia Saudita?

F. M. S.: Un aspetto che può essere imitato è la comunicazione soddisfacente tra i gruppi religiosi, segnatamente musulmani e cristiani. Questi contatti si sono sviluppati soprattutto nel corso dell’ultimo trentennio.

In particolare, esistono numerosi forum di discussione in cui i rappresentanti delle diverse comunità religiose si incontrano e dialogano in merito ai loro rispettivi problemi. È inoltre fondamentale il fatto che le minoranze sono state integrate nelle discussioni concernenti le questioni di interesse nazionale, per esempio la lotta per l’indipendenza, l’economia, la cultura.

Durante il periodo di Suharto, è stata anche sviluppata una rete di organizzazioni non governative nell’ambito della quale musulmani e cristiani hanno collaborato attivamente.

swissinfo.ch: In Indonesia vi è una maggiore separazione tra Stato e religione rispetto ad altri paesi musulmani?

F. M. S.: È così. Nel paese vi è un consenso diffuso in merito al fatto che l’Indonesia non è uno Stato islamico, ma un Stato religioso. Ciò significa che la religiosità è considerata uno dei valori più elevati della nazione.

L’Islam non ha un ruolo speciale nella costituzione indonesiana, ma la gente si aspetta comunque che lo Stato prenda in considerazione le necessità della religione. In quest’ottica, esiste un Ministero della religione, con dipartimenti dedicati all’Islam, al cattolicesimo, al protestantesimo, all’induismo, al buddismo e al confucianesimo.

swissinfo.ch: Lo scorso anno, la maggioranza dei cittadini svizzeri ha deciso di vietare la costruzione di nuovi minareti nella Confederazione. Questa scelta ha suscitato reazioni in Indonesia?

F. M. S.: Non vi è stata una grande reazione dal momento che i minareti non hanno mai costituito un problema o un tema scottante in Indonesia, sia per i musulmani che per i non-musulmani. L’esito della votazione è stato visto come una manifestazione di ristrettezza mentale tipica del modo in cui gli occidentali di vedute limitate considerano l’Islam.

swissinfo.ch: In molti paesi europei – Svizzera compresa – vi sono discussioni in merito al velo islamico e alla possibilità di proibirlo. Quale è la situazione in Indonesia?

F. M. S.: Anche se nessuno lo direbbe, molti musulmani indonesiani sono decisamente contrari alla copertura totale del volto. Si tratta di una pratica che non è mai stata diffusa nel paese; soltanto da un decennio a questa parte si notano persone con il visto coperto, segnatamente nelle università.

Si tratta di una manifestazione dell’islam più radicale che non piace alla maggioranza dei musulmani indonesiani. Ciò è oltretutto amplificato dal fatto che tutte le mogli dei terroristi indonesiani avevano il volto integralmente coperto.

Vi sono persino professori universitari musulmani che non tollerano studenti con il viso completamente coperto alle loro lezioni: hanno infatti il diritto di sapere chi si reca ai corsi.

Andrea Clementi, swissinfo.ch

Circa l’85% della popolazione indonesiana è musulmana. Quasi il 10% è di confessione cristiana, di cui due terzi protestanti. La maggior parte dei cristiani indonesiani discende da popolazioni evangelizzate nella seconda metà del XIX secolo da luterani tedeschi.

L’1,5 % della popolazione è indù, mentre il restante appartiene a religioni indigene e alla comunità buddista, costituita prevalentemente da cinesi.

Lo Stato indonesiano poggia sulla Pancasila, i cinque principi formulati originariamente da Sukarno (primo presidente): fede in un solo Dio, un umanesimo giusto e civilizzato, nazionalismo, orientamento verso il popolo e giustizia sociale.

Durante il suo recente viaggio in Indonesia, la presidente della Confederazione svizzera Doris Leuthard ha incontrato vari rappresentanti islamici locali.

Proveniente da una famiglia della nobiltà tedesca, Franz Magnis – nato nel 1936 – è entrato nell’ordine dei gesuiti e ha studiato filosofia all’Università di Monaco.

Dopo la laurea torna in Indonesia, dove aveva soggiornato in precedenza; nel 1977 diventa cittadino indonesiano, scegliendo il nome di Suseno. Insegna filosofia in diversi atenei, mettendo l’accento sul dialogo interreligioso tra musulmani e cristiani.

Franz Magnis Suseno ha ricevuto numerose onorificenze in Indonesia, in Germania e all’estero. Tra queste, il dottorato honoris causa della facoltà di teologia dell’Università di Lucerna nel 2002.

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