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Una Miss mulatta per una Svizzera multiculturale?

La ginevrina Nancy Kabika, originaria del Congo, è in lizza per la corona di Miss Svizzera Keystone

Per le loro origini portoghese, turca o congolese, numerose candidate a Miss Svizzera sono un vero e proprio simbolo di una realtà demografica multiculturale. Una prospettiva che però non piace a tutti. Opinioni a confronto di un sociologo e di uno specialista della comunicazione.

Basta dare un’occhiata alle 16 finaliste per accorgersi che la piccola Heidi non può più pretendere di rappresentare, da sola, la tipica bellezza svizzera. Le pretendenti al titolo non sono più tutte bionde e campagnole, ma ragazze dai capelli castani, carnagione mulatta e provenienti dalla città, a testimonianza dell’evoluzione demografica della Svizzera contemporanea.

Resta ancora da capire fino a che punto la popolazione elvetica si riconosca nell’immagine che scaturisce da questi appuntamenti glamour. La scelta della prossima miss – in diretta televisiva sabato sera sulle tre reti nazionali – potrà darci un primo segnale in questo senso, visto che spetterà anche ai telespettatori scegliere la prossima reginetta.

“È una battaglia simbolica tra un’incantevole giurista bionda e zurighese (Katja Diethelm) e una non meno ammaliante venditrice ginevrina (Nancy Kabika), originaria di Kinshasa”, spiega Klaus J. Stöhlker, esperto in comunicazione aziendale. Senza dimenticare che la zurighese ha accusato le sue avversarie di essere … incolte.

Una Svizzera globalizzata

Klaus J. Stöhlker ritiene che sul concetto di identità nazionale, la Svizzera continui ad essere profondamente divisa. “Il nostro paese si è trasformato in una nazione multiculturale. Un aspetto che non pone alcun problema per gli svizzeri più globalizzati. Ma esiste anche una parte più nazionale, se non addirittura nazionalista, per cui questa multiculturalità è ancora problematica”.

“Questo concorso rappresenta un segnale chiaro per una classe media ancora molto conservatrice, soprattutto nella Svizzera tedesca, più omogenea in termini di popolazione rispetto alla Romandia”, rileva Klaus J. Stöhlker.

Opinione condivisa anche dal sociologo ginevrino Sandro Cattacin. “La tendenza all’apertura o alla chiusura verso l’altro varia a seconda delle epoche e del clima economico. Negli anni Ottanta la Svizzera ha dato prova di una grande apertura, mentre oggi il clima si è notevolmente irrigidito”.

Il razzismo non è ancora vinto

Non tutto era però così roseo nemmeno negli anni Ottanta, sottolinea Klaus J. Stöhlker. “Era l’epoca dell’Apartheid. Durante un incontro a Zurigo tra il presidente sudafricano Pieter Botha e alcuni dirigenti svizzeri e statunitensi, un partecipante aveva esclamato: ‘È bello qui … non ci sono neri’. E uno dei principali rappresentanti dell’economia svizzera aveva risposto: ‘Da noi, non c’è bisogno di un Apartheid, tutto viene regolato semplicemente con il costo della vita”.

Una mentalità razzista che non è scomparsa del tutto. “Nei villaggi, soprattutto di lingua tedesca, i giovani sono ancora molto conservatori e gli immigrati africani sono spesso vittime di aggressioni”, ricorda Klaus J. Stöhlker.

“Se si escludono le città romande – Ginevra in primis – le persone di origine africana sono ancora poco visibili in Svizzera rispetto ad altri gruppi di stranieri”. Per questo, il fatto che la stampa abbia dato così tanto peso alla candidatura di Nancy Kabika non è certo da sottovalutare, sottolinea Sandro Cattacin. “Tutte le manifestazioni pubbliche che promuovono un’immagine positiva della diversità favoriscono una convivenza pacifica”.

Che si tratti della nazionale di calcio o della squadra svizzera ai giochi olimpici, il loro ruolo è fondamentale secondo il sociologo ginevrino perché “mostrano sportivi di origini diverse, fieri di essere svizzeri o di difendere i colori elvetici”. “Questi appuntamenti permettono così di dimostrare che è possibile convivere e aiutarsi reciprocamente per far fronte a una sfida comune”.

Differenti, ma uniti

L’evoluzione della Svizzera verso la multiculturalità alimenta tuttavia i timori di un indebolimento dell’identità nazionale e di una perdita dei valori tradizionali.

Un aspetto che non sembra però preoccupare Sandro Cattacin. “Siamo in una società pluralista, più che multiculturale”, spiega il professore. “Si creano così delle relazioni fondate sul rispetto e non sull’influenza di un individuo sull’altro, perché siamo coscienti che queste differenze ci portano a interpretazioni nuove e a riforme favorevoli per tutta la società”.

Un esito positivo che si ripercuote soprattutto sull’economia svizzera, secondo Cattacin. “In un mondo caratterizzato da un’economia flessibile e da continue innovazioni, la differenza è considerata come un valore aggiunto. È d’altronde l’elemento dominante di questa Svizzera pluralista e d’avvenire”.

swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(Traduzione e adattamento di Stefania Summermatter)

Nel corso del 20esimo secolo, la popolazione straniera in Svizzera ha subito importanti fluttuazioni, dovute in particolare alla situazione economica e politica.

Inizio secolo. La proporzione di stranieri in Svizzera era già del 14,7% nel 1910. Un valore superato nel 1967.

In crescita. Ad eccezione della diminuzione registrata nel periodo tra il 1975 e il 1979 e più tardi nel 1983, la proporzione di stranieri ha subito una crescita costante negli anni, per attestarsi al 21,1% nel 2007.

Cause. La Svizzera è tra i paesi europei con il tasso più alto di popolazione straniera. Una situazione dovuta principalmente alle importanti ondate migratorie, a una politica restrittiva in materia di naturalizzazioni e a un alto tasso di natalità – combinato con una mortalità più ridotta – tra gli stranieri.

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