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Iraq un anno dopo: in 3000 a Berna per la pace

Un anno fa erano accorse 40'000 persone, quest'anno Berna ne ha viste sfilare 3000 swissinfo.ch

In una cinquantina di paesi i movimenti contrari alla guerra hanno manifestato sabato contro l’occupazione dell’Iraq, un anno dopo lo scoppio del conflitto.

Come previsto dagli stessi organizzatori della manifestazione, in Svizzera la mobilitazione è stata contenuta. L’unità di un anno fa non è più in voga.

Vi ricordate il 20 marzo dello scorso anno? Tre giorni dopo lo scoppio dell’offensiva anglo-americana in Iraq, oltre 30 mila persone manifestarono a Berna.

Un mese prima, la mobilitazione era stata ancora più imponente: 40 mila persone contrarie alla guerra lo affermarono nelle strade e nelle piazze della capitale federale, dopo averlo detto nelle settimane precedenti in tutte le principali città della Confederazione.

Ad un anno di distanza, le cose sono andate diversamente. L’organizzatore della manifestazione nazionale di quest’anno, la Coalizione contro il razzismo, contava sulla partecipazione di qualche migliaio di persone. Sono arrivati in 3’000, secondo la polizia, in 6’000, secondo gli organizzatori.

Una situazione complessa che scoraggia la massa

“Prima della guerra e dopo l’inizio delle ostilità, la gente aveva una buona ragione per scendere in strada. Si trattava di manifestare il proprio rifiuto della guerra”, sostiene Josef Lang, deputato ecologista zughese al Consiglio Nazionale.

“Oggi la situazione in Medio Oriente richiede una risposta più complessa. Non è sufficiente chiedere il ritiro dall’Iraq delle truppe d’occupazione”, aggiunge il parlamentare dell’Alternativa socialista verde (SGA).

Movimento diviso

Per Josef Lang “attualmente le divergenze e le diverse componenti si confrontano, ma il movimento non ha perso la sua dinamica innovativa”.

La scarsa affluenza alla manifestazione è dovuta in parte anche alla decisione della sinistra istituzionale, Verdi esclusi, di non sostenerla e di distanziarsi dalla Coalizione contro la guerra.

“Non sosteniamo la manifestazione perché gli organizzatori non condannano chiaramente né gli attentati suicidi né le organizzazioni che li perpetrano”, dichiarava alla vigilia della manifestazione Cyril Mizrahi, portavoce di Gioventù socialista svizzera.

L’impatto di Madrid

In Europa la risposta è stata più decisa, complice forse l’attentato dell’11 marzo a Madrid. A Parigi la gente è scesa in piazza contro la guerra, gli attentati terroristici e le violenze contro i civili”. Un’occasione per “rendere omaggio anche alle vittime del terrorismo internazionale”, come ha dichiarato Christophe Ventura d’ATTAC Francia.

Molti pacifisti ritengono insufficente condannare la guerra in Iraq, la violenza va combattuta in tutte le sue forma, anche in quella del terrorismo di matrice islamica. “Bisogna attaccarsi alle radici della violenza, sia degli americani sia degli attentatori. Per farlo bisogna capire il fattore scatenante della violenza politica”, sentenzia Josef Lang.

Ma per la Coalizione contro la guerra il punto principale restano le responsabilità degli Stati uniti. “Certo che condanniamo il terrorismo, ma diciamo anche che i più grandi terroristi sono gli USA” ha affermato Paolo Gilardi, portavoce della Coalizione contro la guerra.

Posizioni contrastanti

L’invocazione corale della pace dell’anno scorso sembra dunque definitivamente essere acqua passata. Le divisioni all’interno del movimento si fanno sempre più evidenti man mano che il dibattito e la riflessione politica vanno avanti.

Al momento, come rileva il politologo Ahmed Benani, sembra regnare una certa confusione: “In Svizzera, alcuni militanti invocano la disperazione delle popolazioni palestinese ed irachena per giustificare il ricorso al terrorismo, confondendo i sentimenti della popolazione con le strategie perseguite dai gruppi islamici radicali”.

“Ma nello stesso Medio Oriente il dibattito non è più fermo a questo punto. Per esempio molti palestinesi considerano perdente la scelta militare. Una critica lanciata anche da un numero crescente di soldati israeliani nei confronti del loro governo”, aggiunge Ahmed Benani.

Una ragione per la quale il politologo losannese preconizza la via del dialogo: “Le organizzazioni svizzere, simpatizzanti dell’uno e dell’altro campo, dovrebbero favorire la costruzione di un’alternativa alla guerra e non rinchiudersi sulle proprie posizioni”.

swissinfo

Il 20 marzo 2003 la coalizione anglo-americana lancia un’offensiva terrestre contro il regime di Saddam Hussein, dopo una notte di bombardamenti.

Prima dello scoppio, questa guerra ha suscitato oceaniche manifestazioni pacifiste in numerosi Paesi, tra i quali la Svizzera.

Ad un anno dall’inizio dell’occupazione militare dell’Iraq, i movimenti contro la guerra di una cinquantina di Paesi hanno nuovamente chiamato a raccolta la gente.

In Svizzera, la manifestazione nazionale si è tenuta a Berna ed è stata indetta dalla Coalizione contro la guerra.

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