
11/9: due guerre costose, conti pubblici Usa in ginocchio
(Keystone-ATS) La ‘guerra globale al terrore’ mette in ginocchio i conti pubblici americani: è costata 2.000 miliardi di dollari, ovvero il doppio della guerra del Vietnam. E ha fatto esplodere il debito che rappresenta – secondo l’ammiraglio Mike Mullen, capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Usa fino al primo ottobre – la maggiore minaccia alla sicurezza nazionale in assoluto.
Dagli attacchi dell’11 settembre lo stato di salute dell’economia americana è cambiato in modo radicale: nel 2001 c’era un surplus di bilancio e gli Usa stavano uscendo dalla bolla dot-com. Dieci anni dopo il deficit statunitense dovrebbe toccare i 1.580 miliardi di dollari, il maggiore della storia, l’economia è in difficoltà mentre le forze armate americane e i servizi segreti sono impegnati su più fronti: dall’Afghanistan al Pakistan, dall’Iraq allo Yemen. Una lotta senza confine contro al Qaida, responsabile per gli attacchi dell’11 Settembre, che presenta un conto sempre più salato.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha raccolto dal suo predecessore George W. Bush un’eredità difficile: due guerre, finanze pubbliche in profondo rosso e la crisi finanziaria. Il buco di bilancio aperto dalle guerre e accentuato dalla crisi mette a rischio il ruolo degli Stati Uniti nel mondo, cambiando gli equilibri globali, con l’Asia e la Cina che diventano motori dell’economia. Pechino è il maggiore creditore estero americano, con 1.000 miliardi di dollari di titoli di stato statunitensi. E secondo alcuni osservatori le tre parole più importanti dell’ultimo decennio non sono ‘guerra al terrore’ ma ‘Made in China’. E nei prossimi 10 anni ‘owned by China’ (di proprietà della Cina). Dal cemento alle uova, gli Stati Uniti sono stati superati dalla Cina.
L’economia americana cresce lenta, la disoccupazione è alta e le difficoltà politiche di Obama, con il dibattito sull’aumento del tetto del debito che ha esacerbato le tensioni, rendono difficile un rilancio degli Stati Uniti. Il dollaro indebolito dalle politiche della Fed spinge le esportazioni ma a un ritmo non sufficiente.
Le difficoltà europee però fanno apparire gli Stati Uniti come un luogo sicuro, e i rendimenti dei titoli di stato americani scendono ai minimi degli ultimi 60 anni. Il timore di una nuova recessione globale affonda i mercati ma gli investitori continuano a scommettere sugli Stati Uniti, forti di una sola voce ‘politicà a differenza di un’Europa frammentata che conta solo sulla banca Centrale Europea (Bce). Ma la strada per l’economia americana è lunga: la riduzione delle spese prevista e l’elevato debito legano le mani su nuovi aiuti. L’incertezza condiziona il settore privato, che attende una schiarita e una definizione delle strategie politiche da seguire.