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Crash del dollaro? “È assolutamente possibile”, dice esperta

Keystone-SDA

Un crash del dollaro, con conseguenze a cascata per gli investimenti della Banca nazionale svizzera (BNS), è assolutamente possibile: lo afferma Carmen Reinhart, professoressa ad Harvard (Usa) ed ex capo economista della Banca Mondiale.

(Keystone-ATS) “La questione centrale per me è l’aumento dell’incertezza”, afferma in un’intervista pubblicata oggi dalla Neue Zürcher Zeitung (NZZ) l’accademica specializzata nello studio delle crisi finanziarie. “Nelle fasi turbolenti molte cose sembrano improvvisamente instabili. In un mondo del genere, le persone non sanno più come orientarsi. Una situazione simile si è verificata negli anni 70, quando l’alta inflazione ha portato a una grave perdita di fiducia. Ma allora c’era una differenza: il debito era solo una frazione di quello attuale”.

“Ciò che rende il debito odierno così pericoloso è che negli ultimi decenni il mondo ha beneficiato della cosiddetta ‘grande moderazione’: non solo le fluttuazioni economiche sono state più moderate, allo stesso tempo i tassi di interesse sono diminuiti in modo massiccio”, prosegue la 69enne. “Di conseguenza, il debito ci è costato sempre meno”.

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“All’inizio degli anni 80 abbiamo vissuto un’epoca di alta volatilità dei mercati e di basso indebitamento, poi siamo entrati in una fase di calo della volatilità, ma di aumento del debito. Ora, invece, la volatilità sta aumentando insieme al debito: una tale combinazione è predestinata a provocare incidenti e shock economici. A ciò si aggiunge la crescente ostilità a livello geopolitico, che mi preoccupa molto”.

La situazione negli Stati Uniti è resa ancora più difficile dalla nuova legge di bilancio voluta dal presidente americano Donald Trump. “Questo è altamente problematico. Il governo dovrebbe in realtà pensare a come ridurre l’onere del debito. Ma è ben lontano dal farlo: la legge non riconosce nemmeno l’urgente necessità di almeno stabilizzare il debito. È inoltre preoccupante che il governo consideri le entrate doganali come una fonte sostanziale di finanziamento per il bilancio nazionale, anche se non è ancora del tutto chiaro quale sarà l’ammontare effettivo di tali entrate”.

“Il debito ci costa un’enorme quantità di denaro”, insiste la specialista. “L’anno scorso il governo degli Stati Uniti ha speso il 12% del suo bilancio per il pagamento degli interessi. Si tratta della percentuale di gran lunga più alta tra i paesi occidentali. Per trovare un onere altrettanto elevato dobbiamo guardare alla situazione della Grecia dieci anni or sono. Anche se gli Stati Uniti godono di una maggiore prosperità, questo sviluppo non è gratuito, alla fine qualcuno dovrà pagarlo”.

“La ribellione dei mercati può anche portare a una brusca svalutazione della moneta”, mette in guardia l’economista. “Prendiamo il Giappone. L’indebolimento dello yen nel 2022 ha soddisfatto la definizione di Reinhart-Rogoff di un crollo valutario: la perdita in un anno è stata superiore al 15%. La reazione dei mercati ai piani tariffari di Trump in aprile è stata simile: normalmente il denaro affluisce negli Stati Uniti in caso di incertezza, in questo caso invece gli investitori hanno ritirato i loro capitali. Nell’attuale contesto dobbiamo aspettarci un accumulo di tali incidenti”.

“È possibile un crollo del dollaro? Assolutamente sì. Un tale crollo significherebbe che il dollaro perderebbe anche il suo status di valuta di riserva globale? Chiaramente no”, prosegue la madre di famiglia con origini cubane. “Prendiamo ad esempio il crollo del sistema di Bretton Woods: l’ordine monetario creato dopo la Seconda Guerra mondiale con il dollaro come valuta di riferimento e il gold standard è crollato bruscamente all’inizio degli anni 70. All’epoca gli Stati Uniti soffrivano anche di un forte deficit delle partite correnti. Il dollaro perse metà del suo valore in pochi anni. Il suo dominio globale non è però cambiato, perché nessun’altra valuta può offrire una liquidità paragonabile”.

Al giornalista che ricorda come la BNS abbia investimenti americani per 300 miliardi di dollari (244 miliardi di franchi al cambio attuale) e che chiede se in un tale contesto non potrebbe subire pesanti perdite, l’esperta risponde: “Beh, avete chiesto come ridurre il debito. La risposta è semplice: erodendo il suo valore. Per la popolazione nazionale, questo può avvenire tramite l’inflazione; per i creditori stranieri, invece, la svalutazione della moneta è un metodo collaudato. Le due cose vanno spesso di pari passo”.

Gli sconvolgimenti economici in atto hanno comunque radici nel tempo. “Molti economisti hanno fatto un pessimo lavoro di valutazione della globalizzazione. Si sono concentrati in modo unilaterale sul fatto che il commercio ha fatto calare i prezzi dei beni di consumo. Al contrario il fatto che la globalizzazione abbia prodotto anche dei perdenti è stato ampiamente ignorato. Il contraccolpo si è quindi profilato da tempo: con Trump ha subito un’accelerazione significativa”.

“A mio avviso la fase di deglobalizzazione è già iniziata con l’ultima crisi finanziaria del 2008. La tendenza a un maggiore protezionismo aumenterà. Questo porterà senza dubbio a perturbazioni e shock. La domanda cruciale per me è se sarà possibile ridurre costantemente i deficit o se ci sarà un brusco aggiustamento, come nel caso della Grecia, ad esempio”.

“Ai politici piace spendere soldi”, constata l’intervistata. “È molto più facile accumulare debito che ridurlo. E non esiste una formula magica per liberarsene. In un mondo ideale, i paesi potrebbero uscire dal loro debito: ma ciò che è più realistico è un mix di misure di austerità, inflazione, repressione finanziaria e programmi di ristrutturazione del debito. Ciò significa che dobbiamo prepararci a tempi incerti”, conclude.

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