Art Basel tiene banco tra le fiere-aziende che si contendono i mercati dell’arte
Le più importanti fiere d'arte, ormai acquisite da grandi società di partecipazione, si sviluppano su scala globale sconvolgendo l'ecosistema dei mercati dell'arte. Vuol dire che gli eventi più piccoli saranno spazzati via?
Quando Noah Horowitz ha assunto la direzione di Art Basel, lo scorso anno, non sono stati annunciati grandi cambiamenti nella struttura della fiera. Si è invece avvertito un netto cambio di registroCollegamento esterno: a differenza di chi lo ha preceduto, lo storico dell’arte ha mostrato una notevole padronanza del linguaggio aziendale, disquisendo su sfide di mercato e opportunità di espansione, più che di scelte artistiche.
Art Basel è certamente la più grande e prestigiosa fiera d’arte al mondo, ma è anzitutto un’impresa. E il ruolo di chi la guida è stato rinominato di conseguenza. Mentre il predecessore Marc Spiegler ha condotto Art Basel dal 2012 al 2022 in veste di direttore generale, Horowitz è chief executive officer (CEO), segno di un cambiamento forse non così sottile ma sostanziale, nel modo in cui l’azienda vede se stessa e si modella.
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Il suo lavoro è di natura imprenditoriale, conferma Melanie Gerlis, giornalista che si occupa di mercato dell’arte per il Financial Times e The Art Newspaper. “Quel ruolo non esisteva”, spiega a SWI swissinfo.ch, aggiungendo che “Art Basel ha fatto molto bene a collocare quattro persone del posto a gestire ciascuna delle fiere locali” (Basilea, Miami, Hong Kong e Parigi).
Che fiera!
Sono lontani i tempi in cui questi eventi erano iniziativa di galleriste e galleristi, appassionate e appassionati, critiche e critici d’arte -come nel caso di Art Basel e della sua principale concorrente Frieze. Analogamente a quanto accaduto all’industria della moda al passaggio di secolo, le fiere d’arte sono state acquisite da grandi holding, società che possiedono partecipazioni azionarie in più imprese e investono enormemente nei loro marchi nell’ambito di una strategia di espansione globale.
Per le fiere e le società più piccole, non è necessariamente un male. Will Ramsay, fondatore e amministratore delegato di Ramsay Fairs (che include l’ Affordable Art FairCollegamento esterno presente in 16 città del mondo), ha acquisito di recente l’evento satellite Volta Art Fair a Basilea e a New York e spera quindi che Art Basel e Frieze continuino ad avere successo.
Ramsay menziona una varietà di esposizioni regionali e di medie dimensioni, come la ARCO Madrid e Art Brussels, per le quali forse “il pubblico non attraversa l’Atlantico, ma sono importanti punti d’incontro per chi fa arte, la vende e la colleziona in quella regione”.
Tuttavia, il mercato non è abbastanza grande per tutti. “Nel 2023 si contavano 359 fiere d’arte e credo che la gente sia un po’ stufa. È semplicemente troppo”, osserva Melanie Gerlis.
Inoltre, il mercato globale dell’arte si è contratto del 4% nell’ultimo anno, a un valore stimato di 65 miliardi di dollari. Non è un dato trascurabile, e considerando la tendenza non sorprende che le fiere principali stiano confluendo in società commerciali.
“Le fiere sono molto costose, e [trasformandole in aziende] puoi sfruttare una certa economia di scala. Se ne organizzi tante, puoi rendere la singola esposizione meno cara”, spiega. “Inoltre, fanno sempre più soldi attraverso le sponsorizzazioni e ovviamente se hai un marchio più importante ottieni sponsor più grandi”.
I grandi marchi in quest’ambito sono sostanzialmente Art Basel e Frieze. Negli ultimi vent’anni, la loro espansione è stata graduale e i loro territori chiaramente definiti. Frieze, la più giovane, dominava sull’asse Londra-New York, mentre Art Basel, longeva e prestigiosa, è rimasta in cima al calendario europeo pur tenendo un piede negli Stati Uniti (Miami) e in Asia (Hong Kong).
Saldamente in testa
Art Basel è di proprietà del MCH Group, una multinazionale del marketing con sede a Basilea il cui evento principale era un tempo Baselworld. La fiera orologiera, però, è stata bruscamente chiusa nel 2019 lasciando un buco nelle finanze del gruppo, prima ancora che scoppiasse la pandemia di Covid.
Un’iniezione di capitale di 44 milioni di dollari e l’impegno a versarne altri 40 negli anni successivi da parte di James Murdoch, rampollo del magnate dei media Rupert, ha risanato le finanze di MCH spingendo l’azienda ad adottare una strategia di espansione più aggressiva.
La prima mossa con il nuovo assetto è stata la conquista di Parigi: MCH ha cancellato la più tradizionale fiera d’arte della capitale francese FIAC (che si teneva dal 1974), prendendone il posto al Grand Palais in autunno. Il nuovo evento è stata chiamato Paris + par Art Basel, con l’intento di dargli un profilo differenziato dalle altre attività del gruppo.
Parigi è stata la mossa di più alto profilo, ma MCH ha anche stretto nuove collaborazioni per consolidare la sua posizione preminente nel mercato delle fiere d’arte, secondo la strategia stabilita dall’inizio del secolo.
Per mettere un piede nel mercato statunitense, Art Basel non ha cercato il fascino dei grandi centri come New York, Los Angeles o Chicago; ha invece aperto la sua filiale a Miami, per sfruttare l’attrattiva del clima mite e approfittare della concorrenza quasi inesistente. È stato un successo strepitoso fin dalla prima edizione, nel 2003.
Un decennio più tardi, hanno iniziato a fluire grandi capitali dalla crescente classe ricca asiatica, che cercava di diversificare e raffinare i propri investimenti. MCH ha opportunamente fondato, nel 2013, Art Basel Hong Kong.
Art Basel non ha tenuto conto della stretta di governo della Cina sull’isola, che ha notevolmente limitato la libertà e la disinvoltura in ambito artistico e si è ulteriormente inasprita dopo il 2019. Tuttavia, come osservato in precedenza, le fiere d’arte sono una questione d’affari e gli affari sono stati influenzati poco dalla situazione politica, per quanto il clima si sia fatto più repressivo.
Anziché trasferire altrove il suo evento di punta in Asia, Art Basel ha deciso di restare a Hong Kong e stringere collaborazioni con fiere emergenti in Giappone (Art week TokyoCollegamento esterno) e Singapore (S.E.A. FocusCollegamento esterno), reagendo così all’espansione della sua principale -e sola temibile- concorrente FriezeCollegamento esterno.
Ritratto di Frieze
Frieze, in origine, non era che un magazine. Fondato nel 1991 da appassionate e appassionati d’arte, divenne in breve tempo la più influente pubblicazione del settore. Organizzò la sua prima fiera d’arte a Londra nel 2003 mentre Art Basel inaugurava la sua nuova a Miami, ma concentrandosi sull’arte contemporanea e sulle opere di artiste e artisti viventi.
Oltre che della rivista, pubblicata otto volte l’anno, Frieze si giovò della vitale e fiorente scena artistica londinese, diventando presto un appuntamento imprescindibile nell’agenda del mercato globale dell’arte. Il successo è sfociato in Frieze Masters, aperta nel 2012 sempre a Londra e dedicata a opere realizzate prima del 2000. Nel 2012 l’azienda ha lanciato inoltre la sua prima fiera a New York.
Frieze stava diventando troppo grande, costosa e proficua per restare indipendente. Nel 2016, il colosso statunitense Endeavor -che conta attività che spaziano dall’omonima agenzia artistica al marketing sportivo- ha acquisito il 70% delle azioni e con esse il controllo del marchio, comprensivo di fiere e magazine.
Ma è solo qualche anno dopo, nel 2020 segnato dalla pandemia, che i due co-fondatori ancora a capo della società hanno infine ceduto il posto al veterano dell’industria dei media Simon Fox, subentrato nella posizione -anche qui nuova- di CEO.
Da allora, è stata tutta una questione di espansione e strategia aziendale: dopo Frieze Los Angeles (2019), è arrivata Frieze Seoul (2022) e lo scorso anno la società ha acquistato The Armory ShowCollegamento esterno a New York e al contempo EXPO Chicago, che manterranno il loro marchio.
Le ultime mosse operate dalle grandi fiere hanno avvicinato i loro territori. L’approdo di Frieze a Seoul ha spinto Art Basel ad agire rapidamente sul versante asiatico dello scacchiere planetario, mentre Art Basel con la sua irruzione a Parigi si è avvicinata un po’ troppo alla roccaforte di Frieze a Londra. Non solo da un punto di vista geografico: nel calendario dei mercati dell’arte, Paris + si apre appena cinque giorni dopo la chiusura di Frieze a Londra, rivelando una battaglia aperta per collezioniste e collezionisti. Va anche notato che il numero uno di Art Basel Noah Horowitz lavora a New York, che è territorio di Frieze, e non a Basilea.
Cosa resta ai comuni mortali
Mentre i due grandi marchi si sfidano a livello globale, sono seguiti da un intero ecosistema che non si limita a fiere più piccole e di nicchia.
Nel corso di Art Basel, ad esempio, l’intero circuito dell’arte si mette in moto: i musei espongono le migliori mostre dell’anno, le gallerie d’arte di Zurigo propongono un Art Weekend prima della fiera per soddisfare collezioniste e collezionisti in visita, ed esposizioni satellite come Liste e Volta allestiscono i loro stand. Lo stesso fenomeno si osserva a Londra e Los Angeles nel corso di Frieze. Un po’ meno a New York, dove l’offerta di gallerie è molto grande e il circuito dell’arte più complicato.
‘Rocky Mountain Air’ (2023): arte cinetica firmata Breakfast Studio (USA), in mostra alla Volta Art Fair di Basilea.
Le fiere satellite sono parte dell’ecosistema di quelle più grandi ma operano anche su una serie parallela di mercati di nicchia. Liste, a Basilea, fu fondata nel 1990 per iniziativa di gallerie giovani e indipendenti e pochi anni dopo si trasferì dalla sua sede originale in una fabbrica in rovina a un grande spazio espositivo adiacente ad Art Basel.
Suoi esponenti come la gallerista co-fondatrice Eva Presenhuber e il gallerista co-fondatore Peter Kilchmann sono ora cresciuti e hanno stand permanenti ad Art Basel. Liste è oggi uno spazio affermato, ma non è diventato un’azienda: è guidato da una fondazione fedele ai principi fondatori e profondamente legata al luogo d’origine, Basilea appunto.
Nel vuoto che si è creato nella scena indipendente, due anni fa ha preso forma un’iniziativa nuova e di spirito giovanile, Basel Social Club, presto diventata lo spazio più animato nei giorni in cui si tiene Art Basel, fiera alla quale è lungi da fare seria concorrenza. Nondimeno, questi movimenti indipendenti “tengono le grandi fiere d’arte all’erta”, assicura Melanie Gerlis. “Il pubblico vuole sempre un’alternativa”.
Traduzione di Rino Scarcelli
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