La rete elvetica del Re della coca
Conti bancari, società e investimenti immobiliari: dalla Romandia a Zurigo ecco come un clan bulgaro ha riciclato i milioni della cocaina in Svizzera.
Febbraio 2006, frontiera franco-spagnola. Un imprenditore vallesano con l’hobby della lotta viene fermato per un controllo. Nascosti nella sua auto vengono ritrovati 2,5 milioni di euro in contanti. Sono soldi sporchi, controllati da Evelin Banev, detto il “re della coca”, un ex wrestler divenuto capo di una potente organizzazione criminale. Il vallesano si era recato a Barcellona su indicazione un suo impiegato, G.K., un bulgaro, anch’egli ex lottatore, da anni residente in Vallese e amico d’infanzia dello stesso Banev. La missione era semplice: trasportare il denaro fino in Svizzera in cambio di 20’000 euro. Ma tutto non è andato come previsto.
Nel 2017, il vallesano è la prima persona condannata in Svizzera nell’ambito dell’inchiesta sulla criminalità bulgara aperta nel 2008 dal Ministero pubblico della Confederazione (MPC). Un’inchiesta che, dopo essere partita dall’imprenditore e dal suo impiegato, è stata estesa a diverse persone. Bulgari, ma non solo. La vicenda rischia di costare caro ad una delle principali banche svizzere: Credit Suisse, accusata di non aver impedito il riciclaggio di valori patrimoniali appartenenti al gruppo guidato da Banev. Il 17 dicembre 2020, l’MPC ha promosso l’accusaCollegamento esterno nei confronti della banca e di altre tre persone: una ex dipendente dell’istituto e due presunti membri dell’organizzazione, J.N., “braccio destro finanziario” del boss, e G.K.
Lo stesso giorno, due cittadine bulgare sono state condannate per riciclaggio e partecipazione ad un’organizzazione criminale. Dalla lettura dei loro decreti d’accusa emerge l’inquietante capacità con cui il gruppo criminale è riuscito a riciclare sulla piazza elvetica decine di milioni di euro.
Coca, soldi e omicidi
Monika e Dissislava: la prima è la ex moglie di Evelin Banev; la seconda è stata sposata con Konstantin Dishliev fino a quando questi non è stato ucciso a Sofia. Siamo nel 2005. Dishliev è il braccio destro di Banev per cui gestisce gli aspetti finanziari in Svizzera così come le società di facciata in Bulgaria, promotrici di progetti immobiliari sul Mar Nero. Il gruppo criminale è, oltre che violento, ben strutturato e professionalizzato: attivo in più Paesi, può contare su una rete di corrieri e passatori, così come di specialisti del riciclaggio.
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Il gruppo fa capo ad una complessa rete di individui e società offshore che controllano conti bancari in tutta Europa. In Svizzera, in particolare, dove, secondo la Procura federale, “sono state identificate numerose relazioni bancarie (…) attraverso le quali sono transitati decine di milioni di euro”. Dopo la morte di Dishliev, i cui rapporti con Banev si erano deteriorati poco prima dell’omicidio, la gestione delle finanze del gruppo è passata nelle mani di J.N. È lui – secondo gli investigatori – che ha gestito la rete di conti bancari e fatto da tramite tra le banche e i membri del clan. L’uomo è accusato di aver riciclato più di 80 milioni di franchi per l’organizzazione.
Donne prestanome
A movimentare sulla carta i conti svizzeri sono le due sorelle. Monika e Dessislava erano di fatto dei prestanomi per il clan. Hanno aperto conti, gestito cassette di sicurezza, depositato milioni di euro in contanti, fornito documenti per giustificare l’origine dei fondi e organizzato operazioni finanziarie e investimenti. Quando poi, la Bulgaria ha avvertito le autorità elvetiche delle indagini in corso in patria, le due donne hanno agito per fare progressivamente uscire i beni depositati nella Confederazione per metterli al sicuro all’estero.
Di tutta la massa finanziaria passata sotto il loro controllo, Berna è riuscita a confiscare soltanto 4,6 milioni di franchi. Nei due decreti d’accusa, la procuratrice federale Alice de Chambrier sottolinea che nonostante l’estrema violenza dell’omicidio di Dishliev, le due donne abbiano continuato a riciclare i fondi dell’organizzazione con “operazioni immobiliari e finanziarie opache”.
Credit Suisse, ma non solo
In Svizzera, il denaro è stato riciclato principalmente attraverso Credit Suisse. Come noto, la banca è stata rinviata a giudizio, così come una ex dipendente, all’epoca responsabile dei clienti bulgari, che avrebbe contribuito a nascondere l’origine criminali del clan grazie all’esecuzione di operazioni finanziarie per oltre 140 milioni di franchi. Entrambi, banca e dipendente, respingono le accuse, che definiscono infondate.
La banca ha reagito con una presa di posizioneCollegamento esterno. L’MPC, scrive, “dovrebbe ora dimostrare in tribunale la colpevolezza dell’ex collaboratrice della banca e che gli eventuali reati punibili sono stati resi possibili da presunte carenze organizzative che violavano i principi in vigore al momento dei fatti. Credit Suisse si difenderà con fermezza da queste accuse infondate e sulla base dei fatti si aspetta di vincere la causa davanti al Tribunale penale federale. In tali procedimenti il Tribunale penale federale svizzero può infliggere una multa massima di 5 milioni di franchi”.
Fatto è che nella sede di Zurigo di Credit Suisse, il gruppo di Evelin Banev era di casa. Qui erano stati aperti vari conti a nome di società offshore come la Marwyn Group, considerato dagli inquirenti come uno dei conti centrali nella struttura di riciclaggio in Svizzera. Se il ruolo del Credit Suisse era noto, dai decreti d’accusa emerge anche che l’organizzazione controllava dei conti presso anche altre banche elvetiche. Addirittura, la rete di Evelin Banev ha potuto contare sui servizi di un ex dipendente della Julius Baer: un uomo legato alla lotta e che ha lasciato la banca nel 2007 “per mettersi – si legge nel decreto – al servizio dell’organizzazione”.
Investimenti immobiliari
Oltre ai conti, Monika e Dessislava hanno gestito anche alcuni investimenti immobiliari. Nel 2007 sono stati acquistati due appartamenti di lusso a Montreux, per un totale di 1,3 milioni di franchi. Nel 2014, questi beni sono stati messi all’asta perché nessuno pagava più gli oneri di comproprietà e le tasse immobiliari. Il bene immobiliare più importante è, però, una villa a Vésenaz, nel Canton Ginevra, acquistata per 2,2 milioni di franchi. Il proprietario formale della casa era il già citato G.K. Prima di essere rivenduta, la casa è stata ristrutturata con dei lavori per 650’000 franchi. Lavori affidati all’imprenditore vallesano, datore di lavoro G.K., condannato per il trasporto dei 2,5 milioni di euro.
I protagonisti di queste operazioni – le due donne, G.K. e l’imprenditore vallesano – compaiono anche in una società di Martigny, creata nel 2004. Tutti prestanomi, per evitare che Evelin Banev comparisse in quest’impresa di copertura, attiva nell’immobiliare e creata con un capitale di 250’000 franchi d’origine criminale. Radiata già nel 2007, la società non è mai stata attiva.
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