Nestlé vuole monitorare i suoi campi di palme da olio dallo spazio
Nestlé ha presentato ai media la tecnologia satellitare che sta utilizzando per monitorare la sua catena di approvvigionamento dell'olio di palma. Tuttavia, malgrado i passi avanti verso una maggiore trasparenza per affrontare il problema della deforestazione, è improbabile che questa tecnologia venga messa a disposizione dei consumatori in tempi brevi.
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Lo specialista dell'India a swissinfo.ch si occupa di un'ampia gamma di temi, dalle relazioni bilaterali a Bollywood. Sa una o due cose sull'orologeria svizzera ed ha un debole per la regione francofona della Confederazione.
Per presentare lunedì 30 aprile la tecnologia satellitare Starling, Nestlé ha scelto il quartier generale dei servizi spaziali di Airbus a Tolosa, in Francia. Airbus e Nestlé hanno lavorato insieme allo sviluppo del sistema di monitoraggio satellitare, dopo che la multinazionale svizzera ha sottoscritto gli obiettivi del Consumer Goods ForumCollegamento esterno di raggiungere una deforestazione netta pari a zero entro il 2020.
Per mostrare di cosa è capace Starling, un rappresentante di Airbus ha fatto uno zoom sulle immagini satellitari delle foreste e delle piantagioni di palma in Indonesia. Dato che i satelliti Airbus possono inquadrare con precisione un quadrato fino a 1,5 metri di lato, è abbastanza facile distinguere le piantagioni di palma dalla foresta. In caso di dubbio, gli algoritmi distinguono dagli altri gli alberi da cui si produce l’olio colorando i primi in giallo e i secondi in marrone.
Le macchie rosse mostrano invece le aree recentemente disboscate. Ogni volta che ciò accade in un raggio di 50 chilometri da uno dei 1’257 frantoi che riforniscono Nestlé nel mondo, viene inviata una notifica. La multinazionale deve quindi contattare il fornitore in questione, il quale dovrà dimostrare che il disboscamento non ha nulla a che vedere con lui.
“Circa il 60% dei nostri fornitori ha già ricevuto una nostra telefonata”, afferma Benjamin Ware, responsabile di Nestlé per l’approvvigionamento responsabile.
Se la deforestazione rilevata dai satelliti è opera del fornitore, quest’ultimo può essere sospeso temporaneamente. Finora dieci di loro, che rappresentano il 5% degli approvvigionamenti totali di olio di palma di Nestlé, sono stati inseriti nella lista nera.
“La combinazione di immagini satellitari, ricognizioni sul terreno e certificazioni ci permette di affermare che il 77% dei nostri approvvigionamenti proviene da colture che non sono state oggetto di deforestazione”, sostiene Magdi Batato, responsabile operativo di Nestlé.
Per i fornitori, ciò significa un maggiore controllo da parte di Nestlé.
Questi rilevamenti satellitari “completano ciò che stiamo facendo sul campo”, dichiara a swissinfo.ch Ian Suwarganda, di Golden Agri-Resources, un fornitore di olio di palma della multinazionale svizzera. “Nestlé ci dice dove avviene la deforestazione e noi possiamo valutare chi è responsabile, poiché abbiamo la tracciabilità”.
Suwarganda sostiene che la sua azienda può tracciare il 62% dell’olio di palma ricavato dalle piantagioni.
“Quello che ci preoccupa è la questione della sospensione immediata in caso di deforestazione. Penso che per ambo le parti sia chiaro che l’esclusione non sia la risposta adeguata”, sostiene Suwarganda.
Accesso del pubblico
Martedì scorso, Nestlé ha lanciato una pagina webCollegamento esterno che contiene informazioni sulla deforestazione legata all’olio di palma sulla base dei dati di Starling. Questo ‘dashboard’ sulla trasparenza mette a disposizione degli utenti una piccola parte dell’immensa quantità di dati a cui Nestlé ha accesso. La visione della multinazionale è di permettere in futuro ai consumatori di potere accedere a una parte molto più consistente delle immagini di Starling. Attualmente, il contratto con Airbus prevede solo un uso esclusivo.
“Il sistema stesso è costruito per condividere le informazioni. È la combinazione di informazioni che appartengono ad Airbus, come le immagini satellitari, e quelle di un cliente come Nestlé che necessita di un accordo su ciò che può essere mostrato e condiviso”, dichiara a swissinfo.ch François Lombard, responsabile del settore intelligence di Airbus.
I consumatori possono fidarsi di Nestlé e delle informazioni che condivide? “Cosa avrebbe da guadagnare Nestlé assumendosi il rischio di mentire su cose che potrebbero essere scoperte in seguito? L’obiettivo è di conquistare la fiducia, non di perderla”, risponde Bastian Sachet, della società di consulenza Earthworm, che ha contribuito alla piattaforma Starling.
Secondo Sachet, Nestlé potrebbe essere disposta a dare l’accesso a Starling ad alcune Ong, valutando caso per caso. Per contro, vi sono molti ostacoli ancora da superare per concretizzare la visione a lungo termine, ossia di permettere ai consumatori di accedere alle immagini.
Il problema dei piccoli proprietari
La piattaforma Starling consente anche di vedere i confini delle piantagioni: viola per le concessioni assegnate dal governo, blu per le piantagioni private. Ciò contribuisce a circoscrivere meglio i possibili colpevoli della deforestazione. Tuttavia, non esistono registri fondiari per i piccoli proprietari, che rappresentano il 20% dell’approvvigionamento di olio di palma di Nestlé.
Per monitorare la deforestazione da parte dei piccoli proprietari, Nestlé dipende dai fornitori e dai frantoi che sanno da dove proviene l’olio. Una situazione non ottimale, che rappresenta un ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo di Nestlé, ovvero di non avere più entro il 2020 olio di palma proveniente da colture ottenute in seguito a deforestazione. L’azienda spera che affidando ai fornitori l’onere di dimostrare che le immagini dei disboscamenti raccolte dai satelliti non riguardano piantagioni da cui si approvvigionano, si abbia una migliore tracciabilità. Tuttavia, andare a colpire i piccoli agricoltori non è per forza la soluzione migliore.
“Come acquirente, Nestlé deve concentrarsi maggiormente sulle grandi aree ad alto tasso di deforestazione – conclude Benjamin Ware, responsabile per l’approvvigionamento responsabile della multinazionale – e non sulle piccole aziende che fanno agricoltura di sussistenza”.
Traduzione di Daniele Mariani
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Le grandi banche, incluse UBS e Credit Suisse, devono limitare i loro investimenti nelle produzioni di beni agricoli che implicano la distruzione delle foreste, auspicano alcune ong. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, gli istituti finanziari non stanno infatti facendo abbastanza per contrastare la deforestazione, tra i temi discussi alla COP21.
La deforestazione dovrebbe essere inclusa nell’accordo globale in discussione alla Conferenza internazionale sul clima di Parigi (COP21). Le foreste sono infatti in grado di assorbire in modo naturale il CO2 emesso nell’atmosfera. Secondo il negoziatore della delegazione svizzera Keith Anderson, esperto di politica forestale internazionale, la COP21 sarà «una pietra miliare per la questione della riduzione delle emissioni nel settore forestale».
Tuttavia, fino a quando le istituzioni finanziarie non valuteranno attentamente le loro relazioni con i clienti che promuovono le colture da reddito (olio di palma, soia, pascoli, …) a scapito delle foreste, le azioni per frenare la deforestazione rischiano di essere sterili.
Secondo le voci critiche, gli schemi di certificazione esistenti e le iniziative per la sostenibilità promosse dall’industria, e sottoscritte da banche quali UBS e Credit Suisse, non sono sufficientemente severi. Scott Poynton, fondatore di Forest Trust, un’ong con sede a Nyon (canton Vaud), sostiene che le banche e i servizi finanziari «non stanno facendo la loro parte».
«Nel caso della Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (RSPO), [un’organizzazione che riunisce le parti interessate], si può deforestare e al contempo ottenere la certificazione. È addirittura possibile procedere al lavoro forzato», afferma Scott Poynton, il cui lavoro è di informare le multinazionali e le istituzioni finanziarie sulle filiere che potrebbero svolgere un ruolo nella deforestazione, aiutandole a formulare delle politiche efficaci.
Banche svizzere accusate di favorire il disboscamento
Questi sistemi, che coinvolgono numerosi attori, si basano sul consenso, prosegue il fondatore di Forest Trust. «Alla fine, a essere incluso negli standard è il minimo denominatore comune. Sul terreno non cambia nulla».
All’inizio di quest’anno, l’ong danese Bank Track ha accusato Credit Suisse di aver concesso un prestito di 50 milioni di franchi a un gruppo indonesiano, la cui società di disboscamento sussidiaria April era stata definita da Greenpeace «la più grande minaccia per la foresta pluviale dell’Indonesia».
Nel 2012, il Fondo Bruno Manser, con sede in Svizzera, ha dal canto suo affermato che UBS ha contribuito a riciclare il denaro di un politico malese, proveniente dal disboscamento illegale nello stato di Sabah, nel Borneo.
In merito alle accuse di Bank Track, Credit Suisse scrive a swissinfo.ch di «partecipare regolarmente a un dialogo con attori esterni quali ong» e di «prendere sul serio le indicazioni relative a clienti che non sono conformi alle nostre politiche e linee guida».
Per ciò che riguarda la Malesia, il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha aperto un procedimento penale nei confronti di UBS. Le indagini sono in corso e non può essere fornita alcuna informazione supplementare, indica l’MPC a swissinfo.ch.
Migliorare i controlli
Ethos, la Fondazione svizzera per lo sviluppo sostenibile, auspica dei miglioramenti nel controllo dei crediti, in particolare nei casi in cui il denaro viene concesso a determinate condizioni.
«Quando il Credit Suisse afferma che concede crediti a una condizione, vorremmo saperne di più su questa condizione», dice il direttore di Ethos Vincent Kaufmann, sottolineando che nel quadro della RSPO il controllo è limitato.
Le linee guida di UBS sono più «precise» di quelle di Credit Suisse, puntualizza Vincent Kaufmann, specificando che la banca non accetta di fare affari con aziende attive in foreste protette e chiede ai suoi clienti di ottenere una completa certificazione entro il 2020.
Sebbene le banche locali si facciano spesso avanti quando i grandi istituti internazionali rifiutano di concedere un prestito, questi creditori più piccoli non possono agire da soli, osserva Scott Poynton. «Hanno legami con il settore bancario internazionale».
Banche insufficienti
Consapevoli del ruolo svolto dalle banche e delle ripercussioni sul clima, diverse agenzie dell’ONU (UNEP, FAO, UNDP) hanno commissionato uno studio per valutare le politiche di banche e investitori nei confronti dei cosiddetti beni agricoli quali olio di palma, soia e manzo. Lo studio ha analizzato 30 banche, incluse UBS e Credit Suisse, indica Anders Nordheim dell’Iniziativa Finanziaria del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP FI), con sede a Ginevra.
Le valutazioni si basano su diversi aspetti: le informazioni pubbliche e le dichiarazioni ufficiali degli istituti, l’efficacia delle loro politiche nel contesto dei requisiti ambientali e sociali e il modo in cui queste politiche sono adottate e controllate. In media, le banche hanno ottenuto 58 punti su 100 (quando la “sufficienza” era di 67 punti).
I risultati individuali non sono stati resi noti. Il rapporto si limita a indicare che le valutazioni migliori sono state ottenute dalle banche di sviluppo internazionali, quali la Banca di sviluppo africana e la Società finanziaria internazionale, e dalle banche commerciali Standard Chartered e Sumitomo Mitsui Trust. A loro è stato riconosciuto il merito di avere «investito risorse per capire, e prendere in considerazione, i rischi legati ai beni agricoli».
«Banche, trader e consulenti d’investimento hanno un impatto indiretto considerevole quando concedono prestiti o investono in aziende coinvolte in produzioni non sostenibili oppure attive nel commercio di beni agricoli», indica il rapporto.
Tener conto dei rischi ambientali e sociali
Secondo il direttore esecutivo dell’UNEP, Achim Steiner, gli istituti devono impegnarsi assieme ai clienti, ridurre i crediti concessi alle pratiche più dannose e incorporare i rischi derivanti dal degrado ambientale nella loro analisi finanziaria.
Per aiutare gli istituti finanziari a valutare le loro prassi, a sviluppare politiche appropriate e a raffrontarsi con altri istituti, l’Iniziativa Finanziaria dell’UNEP ha sviluppato uno speciale strumento online. Le banche, insiste Anders Nordheim, devono integrare questa comprensione dei rischi nei loro diversi servizi e transazioni.
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