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L’Unicef in campo contro le mutilazioni sessuali

Le mutilazioni genitali sono frequentemente praticate in paesi africani come la Somalia Keystone Archive

Per la sezione svizzera dell’organismo dell’ONU, occorre migliorare le misure d’informazione per lottare contro questo fenomeno.

Molti genitori che impongono mutilazioni genitali alle loro figlie non sanno nemmeno che rischiano gravi sanzioni penali.

Secondo l’Unicef, il Fondo delle Nazioni unite per l’infanzia, nel mondo almeno 130 milioni di donne hanno subito delle mutilazioni genitali, dalla sunna all’escissione fino all’infibulazione.

Delle pratiche che hanno una lunga tradizione in Africa e in Asia, pur comportando grandi sofferenze e mettendo addirittura in pericolo la vita delle vittime.

In base ai dati di un’inchiesta, circa il 20% dei ginecologi svizzeri hanno notato delle mutilazioni sessuali presso loro pazienti.

Nella maggior parte dei casi si tratta di donne provenienti dalla Somalia, dall’Etiopia o da altri paesi africani.

“Il numero dei casi è particolarmente alto nei paesi europei in cui risiedono numerose donne immigrate dall’Africa”, conferma Alexander Rödiger, capo dell’informazione presso la sezione svizzera dell’Unicef.

Sanzioni penali in Svizzera

L’organizzazione umanitaria ha pubblicato questa settimana un rapporto destinato a chiarire la questione della punibilità di tali mutilazioni, in particolare quando vengono eseguite in territorio svizzero.

“Volevamo verificare in che misura la legislazione svizzera prevede delle regolamentazioni per proteggere i bambini. Abbiamo potuto accertare ad esempio che un medico rischia di finire in prigione, se pratica delle mutilazioni genitali”, spiega Alexander Rödiger.

Il rapporto dell’Unicef cita dei casi, in cui medici stranieri sono entrati illegalmente in Svizzera per eseguire delle ablazioni agli organi sessuali femminili.

Punibili anche gli interventi all’estero

Sempre secondo l’organizzazione che si batte per la difesa dei bambini, i medici non sono i soli a correre dei rischi.

“Spesso gli stessi genitori non sanno che possono essere puniti anche soltanto per il fatto di accettare delle mutilazioni sessuali ai danni delle loro bambine”, aggiunge Rödiger.

“Dalla nostra inchiesta risulta, inoltre, che i genitori rischiano delle sanzioni anche se sottopongono all’estero le loro figlie a simili pratiche”.

Per combattere contro questo fenomeno, l’Unicef invita le autorità svizzere a fare in modo che tutti gli immigranti vengano informati sulle conseguenze di tali atti.

Mancanza d’informazione

Uno degli ostacoli nella lotta contro le mutilazioni genitali consiste nel fatto che i ginecologi non sono tenuti a denunciare alla polizia i casi da loro riscontrati, fa notare Regula Schlauri, giurista del Canton Zurigo che ha partecipato all’elaborazione del rapporto.

“Le regole variano da Cantone a Cantone. Ma, in generale, la regolamentazione sulla protezione dei dati dei pazienti impedisce ai medici di segnalare i casi sospetti”, spiega Regula Schlauri.

Così, mentre le autorità francesi hanno già perseguito penalmente i responsabili di mutilazioni genitali, in Svizzera nessun azione legale è stata condotta finora.

Nel Canton Ginevra è ancora pendente attualmente il caso di un padre di famiglia, accusato di aver costretto due figlie a sottoporsi ad un’operazione di questo tipo.

“È soprattutto un problema dovuto alla mancanza d’informazione. Molta gente non ha mai nemmeno sentito parlare di queste mutilazioni”, afferma Alexander Rödiger.

“Per questo è importante promuovere la conoscenza di questo problema, affinché simili pratiche vengano punite in futuro”.

swissinfo, Ramsey Zarifeh
(traduzione Armando Mombelli)

Secondo l’Unicef, circa 130 milioni di donne hanno subito mutilazioni sessuali in Africa e Asia.
Ogni anno, due milioni di bambine vengono sottoposte ad ablazioni degli organi sessuali.
In paesi come la Somalia, il 98% delle donne non sfuggono a questi interventi dolorosi.
In Svizzera, un ginecologo su cinque afferma di aver già notato mutilazioni genitali presso sue pazienti.

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