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Nazionale, dalle urne esce una Svizzera più conservatrice

Il baricentro si è un po' spostato a destra. KEYSTONE/ANTHONY ANEX sda-ats

(Keystone-ATS) La Svizzera si scopre meno ecologista, più conservatrice e più anti-europeista.

L’Unione democratica di centro (UDC) è l’indiscussa vincitrice delle elezioni odierne del Consiglio nazionale, che hanno peraltro portato a un crollo di Verdi e Verdi liberali, nonché a una sostanziale conferma degli altri partiti, a cominciare dal PS, e a un quasi perfetto pareggio nella corsa di Centro e PLR per il terzo posto.

In un momento storico in cui il Consiglio federale estende sempre di più il concetto di neutralità e flirta con la Nato gli elettori hanno premiato il partito che ormai da decenni fa della difesa assoluta della sovranità elvetica e della lotta a un’eccessiva immigrazione i suoi punti di forza. Stando alle proiezioni SRG SSR (mancano ancora i risultati definitivi di un solo solo cantone, Berna) l’UDC ha conquistato il 28,9% dei suffragi, dato analogo a quello del 2007 e secondo risultato migliore di sempre da quando si vota con il sistema proporzionale, cioè dal 1919: il record del 29,4% del 2015 è pure di marca democentrista. La formazione guidata da Marco Chiesa ha guadagnato 3,4 punti percentuali rispetto a quattro anni or sono; in termini di seggi ha mietuto 8 mandati supplementari, arrivando a 61.

Il PS si assesta al 17,5%, 0,7 punti in più del 2019 e meno di quanto pronosticassero gli ultimi sondaggi, soprattutto dopo l’annuncio dei premi di cassa malati 2024, una delle tre preoccupazioni più sentite dagli svizzeri, accanto alla protezione del clima e all’immigrazione. I socialisti non possono gioire, visto l’arretramento degli alleati ecologisti e un risultato che è il secondo peggiore della loro storia. In termini di seggi comunque avanzano: +2 mandati, a 41.

Il PLR, che si era posto come obiettivo di superare i socialisti, ha fallito. È sceso al 14,6% (-0,5 punti): mai il partito che è all’origine della Svizzera moderna aveva visto le file dei suoi sostenitori ridursi tanto. A Berna comunque il numero dei deputati non varia: 29 erano e 29 rimangono. Resta da vedere se, con questi numeri, sia da considerare ancora giustificata una doppia presenza in Consiglio federale: sarà tema per i prossimi mesi.

Al preciso stesso livello percentuale dei cugini liberali si issano i loro nemici storici, quelli che un tempo erano i conservatori: per il Centro si è trattato della prima elezione con il nuovo nome e dopo la fusione fra PPD e Partito borghese democratico (nato a suo tempo da una scissione UDC). La nuova formazione si attesta al 14,6%, conquistando 0,8 punti rispetto alle quote cumulate dei due precedenti partiti nel 2019. A livello di seggi il Centro supera peraltro per un soffio il PLR, ottenendo 30 mandati: è la prima volta che questo succede nella storia della Confederazione. La cosa potrebbe avere ripercussioni sulla futura composizione del governo: anche se il presidente Gerhard Pfister ha sempre detto che non si toccano i consiglieri federali in carica, la poltrona di Ignazio Cassis da oggi sarà probabilmente considerata meno sicura.

Se per i Verdi entrare nella stanza dei bottoni era difficile prima, ora sarà un’impresa ancora più ardua: la formazione ecologista, che quattro anni or sono aveva ottenuto una spettacolare vittoria, conquistando in un sol colpo 17 seggi (record elettorale assoluto per la Svizzera) sulla scia dell’accresciuta sensibilità climatica, oggi deve assistere a un riflusso. Vede allontanarsi quasi un terzo dei suoi sostenitori e scende al 9,2%, vale a dire 4,0 punti in meno del 2019. Pesante è anche il tributo in termini di mandati, calati a 21: meno 7.

Quasi altrettanto rovinosa, in termini di rappresentanti alla camera del popolo, è la sconfitta dei Verdi liberali, che nelle elezioni precedenti avevano parecchio approfittato del sistema proporzionale, con il suo sistema di resti: questa volta – forse complice la generale enormità di candidati (quasi 6000), di liste e di sotto liste – è andata molto meno bene e il partito vede ridursi in modo drastico il numero dei mandati, scesi a 11 (-5), pur con un arretramento percentuale molto meno significativo (-0,6 punti al 7,2%).

Per quanto riguarda i partiti minori va sottolineato lo spettacolare ritorno al Nazionale del Mouvement citoyens genevois (MCG), con due esponenti ginevrini. Insieme a un leghista ticinese, a un deputato zurighese dell’Unione democratica federale (UDF), all’UDC e al PLR si schiereranno a destra della camera: l’ala in questione potrà quindi contare su 95 seggi. Non è la maggioranza raggiunta nel 2015 ma poco ci manca. La sinistra (PS e Verdi) totalizza 62 mandati, il centro (Alleanza del centro, Verdi liberali ed evangelici) si fermano a 43, ma potranno come spesso accade fungere da ago della bilancia.

Tutti i mutamenti testé descritti possono apparire peraltro dei micro-spostamenti, se confrontati con le elezioni estere, e confermano l’orientamento elvetico verso la stabilità. Frutto forse anche della “campagna elettorale più fiacca da molto tempo a questa parte”, nelle parole di Urs Altermatt, lo storico noto per il suo libro “I consiglieri federali svizzeri”.

Non stupisce quindi che anche il tasso di astensionismo sia risultato sensibilmente più alto di quello che si può osservare in altri paesi, dove peraltro il popolo non viene quasi mai consultato in votazioni su temi concreti, come invece succede molto spesso nella Confederazione. Nelle elezioni 2023 ha scelto di esprimersi meno di uno svizzero su due: la partecipazione – sempre in base alle proiezioni – si è attestata al 46,9%, comunque lievemente superiore al 45,1% del 2019, che era stata la terza peggiore di sempre.

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