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Il tracollo dell’esercito svedese

L'esercito svedese ha vissuto una profonda metamorfosi. armyrecognition.com

La Svizzera ha ancora bisogno di una difesa militare in un contesto europeo oramai pacifico, s'interroga l'ex editore e giornalista Bertil Galland. L'impressione, ritiene, è che stiamo ignorando le drastiche misure adottate in quest'ambito dalla Svezia, nostra consorella per ciò che concerne la neutralità.

Non passa giorno senza che la stampa pubblichi delle tabelle comparative che classificano i paesi europei a seconda di criteri finanziari, economici, sociali o militari. La Svizzera, che non è membro né dell’Unione europea (Ue) né della NATO, brilla per la sua assenza: spesso, il suo nome non figura in questi studi.

Più grave ancora è l’assenza dei nostri rappresentanti alle riunioni importanti. I nostri ambasciatori sono costretti a informarsi solo in un secondo tempo sui lavori di alcuni gruppi di esperti. Come ad esempio gli specialisti in materia di sicurezza che, nel 2010, hanno discusso e rivalutato i rischi di conflitti, di attacchi cibernetici, di attentati terroristici o delle guerre in corso sul continente, a medio e a lungo termine.

A dir la verità, attualmente non esiste una vera e propria politica di difesa a livello europeo. La NATO è totalmente dipendente dagli Stati Uniti, mentre la Russia sta ritrovando delle forze morali e materiali che potrebbero riaccendere un certo appetito di riconquista. Il Medio Oriente ha le sue zone critiche, poco distanti dalla Turchia che alcuni vorrebbero nell’Ue.

Cosa fa la Svizzera?

Lontana dagli europei che tentano di elaborare una strategia comune, cosa fa la Svizzera? L’opinione pubblica si sente rassicurata da un miracolo duraturo. I nostri vicini, al momento 27 paesi, si sono impegnati – de jure e de facto – a rinunciare a qualsiasi scontro armato tra loro.

Di fronte a questa pace senza precedenti in Europa, abbiamo ancora bisogno di una difesa militare? Ci potremmo accontentare di una buona forza di polizia, si è chiesto il capo delle forze dell’ordine friburghesi Pierre Nidegger.

Dal canto loro, le autorità elvetiche continuano a insistere sulla via solitaria della nostra difesa nazionale. Il consigliere federale Ueli Maurer ha laboriosamente elaborato e sottomesso alle Camere l’ultima versione del Rapporto sulla politica di sicurezza e un Rapporto sull’esercito.

Mentre queste questioni sono discusse in modo ufficiale, è curioso notare come l’opinione pubblica, a sud del Baltico, sembri ignorare le misure drastiche adottate dalla Svezia, un paese simile alla Svizzera per ciò che concerne la neutralità.

Cosa è dunque successo in Svezia? Semplice: l’esercito svedese ha subito un tracollo! Il servizio militare obbligatorio è stato soppresso. Se lo Stato continua a pagare il salario di decine di migliaia di ufficiali, soldati e specialisti, è soltanto per portare avanti la missione iniziata nel 2000 che si prefigge di smantellare i dodici distretti militari, ovvero tutte le installazioni di sorveglianza e di protezione che coprivano la vastità del territorio.

Le relative divisioni sono state disgregate e il compito – gigantesco – dei militari è di vendere l’accozzaglia di equipaggiamenti, armi, razioni, edifici e proprietà immobiliari delle loro unità. Un crollo a effetto domino della difesa nazionale che la Svezia ha vissuto senza fanfare né esplosioni.

L’ispirazione venuta dagli Stati Uniti

Nessun piano formale ha potuto precedere o seguire questa liquidazione confusa. Una soppressione che è il risultato della caduta dell’Unione sovietica e che si è ispirata a una scelta militare adottata dagli Stati Uniti con la guerra del Golfo del 1991.

Questa strategia, che fa seguito alla rinuncia di ricorrere alle armi nucleari, esclude il combattimento a terra e prevede, invece, il controllo totale dello spazio aereo del nemico, la sottomissione del suo territorio a una sorveglianza continua di alta tecnologia e la distruzione preventiva con armi teleguidate delle reti essenziali e dei posti di comando.

In Svezia, la soppressione dell’esercito tradizionale non è venuta dai pacifisti, bensì da ufficiali entusiasti dell’idea americana. A infliggere i primi colpi alle divisioni terrestri è stato un uomo attivo nell’aviazione, il generale Wiktorin, diventato capo dello Stato maggiore generale nel 1994. Siccome la fine della Guerra fredda ha portato una ventata di ottimismo, i partiti politici, di destra e di sinistra, si sono accordati per tagliare le spese militari. La priorità era di ridurre il deficit dello Stato.

Cosa rimane alla Svezia per difendersi dalle minacce esterne? L’esercito non c’è più, ma ci sono degli uffici in cui si lavora sui concetti. Ad esempio sull’integrazione della società civile nella politica di sicurezza. I mezzi materiali sono spariti e non ci sono più terreni per le esercitazioni o le manovre militari. Non ci sono segnali di alcun movimento di protesta su larga scala.

È tuttavia emersa una certa preoccupazione, espressa in un recente libro di un professore di storia di Lund, Wilhelm Agrell (“Fredens Illusioner”, Le illusioni della pace). L’autore rammenta come le brutte esperienze fatte in Iraq e in Afghanistan abbiano portato gli Stati Uniti a passare dalla teoria della guerra senza combattimenti a terra alla guerra asimmetrica, l’ultima dottrina in ordine di tempo.

Per quel che riguarda il Cremlino, il campo degli ottimisti svedesi aveva salutato il ritorno in forza di Putin. La sua profonda modernizzazione di un esercito allo sfascio è stata vista come una promessa di partecipazione attiva di una nuova Russia negli scambi tecnici e commerciali con la grande Europa. La guerra lampo in Georgia è stata una doccia fredda.

Vaud-Borgogna: Bertil Galland nasce nel 1931 a Leysin (canton Vaud) da padre vodese e madre svedese. Attualmente vive tra Losanna e la Borgogna.

Giornalista: dopo gli studi in lettere e in scienze politiche segue una formazione come giornalista.

Editore: Galland è pure attivo nell’editoria. Dal 1953 al 1971 dirige i Cahiers de la renaissance vaudoise e nel 1971 crea la sua casa editrice.

Traduttore: tra le varie attività traduce anche le opere scandinave in francese. Crea la Collection CH per far conoscere gli autori tedeschi e ticinesi presso il pubblico francofono.

NQ: a livello giornalistico, partecipa alla creazione del Nuoveau Quotidien nel 1999.

Traduzione dal francese di Luigi Jorio

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