Cautela a Bruxelles per l’esito del voto sui bilaterali
Prudente come sempre, la Commissione dell'Unione Europea aveva preparato due comunicati sull'esito del referendum elvetico sugli accordi bilaterali tra la Svizzera e l'Ue.
Il primo comunicato era pronto per salutare con “grande soddisfazione” l’appoggio della popolazione Svizzera ai sette accordi settoriali tra l’Ue e la Svizzera. L’altro per esprimere il suo “grande rammarico”, se il referendum si fosse concluso con un voto negativo.
Malgrado la sua posizione geografica centrale in Europa e malgrado che i funzionari dell’Ue abbiano negoziato quasi quattro anni con Berna, per loro la Svizzera, in un certo qual modo, è rimasta un enigma.
Nelle conversazioni degli ultimi giorni tra diplomatici europei e diplomatici o giornalisti svizzeri, si è sempre potuta avvertire una certa insicurezza circa la reazione del popolo svizzero agli accordi bilaterali.
Questo è in parte dovuto all’amara esperienza del dicembre 1992, allorché il popolo svizzero respinse l’accordo sullo spazio economico europeo (SEE).
Però potrebbe anche darsi che la tattica dei negoziatori svizzeri, che continuavano a minacciare con il referendum per raggiungere ulteriori concessioni da parte di Bruxelles, abbia fatto fin troppa impressione ai funzionari dell’Ue.
Infine c’erano anche dei rimorsi dalla parte di diplomatici di certi paesi membri, che temevano di aver influenzato negativamente l’opinione pubblica in Svizzera con le sanzioni diplomatiche contro il nuovo governo austriaco.
Sul contenuto degli accordi, invece, l’Ue è convinta che i vantaggi siano piuttosto dalla parte della Svizzera. Anche, se per esempio, l’Unione ha tutto da guadagnare dall’attuazione di un accordo sulla libera circolazione delle persone – che oltre all’accesso al mercato svizzero per i cittadini europei, risolverebbe anche non pochi dei problemi che affliggono i lavoratori frontalieri, come ad esempio gli svantaggi sul piano dell’assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti (AHV) – il fatto che la Svizzera abbia ricevuto delle garanzie per 12 anni, prima di dover introdurre definitivamente la libertà di circolazione, a molti sembra una concessione troppo grande.
Infatti l’Austria o la Germania, che pure vorrebbero delle misure cautelative nel campo della libera circolazione delle persone in vista dell’adesione di paesi come la Polonia, l’Ungheria ecc., non riceveranno mai disposizioni transitorie di più di 10 anni.
D’altra parte, nel corso del processo di ratificazione degli accordi bilaterali al Parlamento Europeo si è visto che il “goodwill” di cui la Svizzera disponeva a Bruxelles è ormai esaurito. Così il commissario addetto alle relazioni estere, il britannico Chris Patten, ha fatto sapere categoricamente a Berna che non ci saranno altri accordi, se la Svizzera non collabora più strettamente nella lotta contro la criminalità organizzata e le frodi, e nel campo dell’imposizione fiscale dei capitali. Bruxelles dunque si aspetta ora delle concessioni dalla Svizzera, prima di fare altri passi in avanti.
Luciano Ferrari, Bruxelles
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