Amazzonia, comunità indigene indifese di fronte al narcotraffico e alle dispute territoriali
L'Amazzonia ha ospitato per la prima volta la conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP30). Le comunità indigene locali – fondamentali per la preservazione della foresta pluviale – affrontano nuove e violente minacce.
Nella Riserva Comunale di Amarakaeri la minaccia più immediata alla foresta amazzonica non è il cambiamento climatico, ma il narcotraffico. Amarakaeri è la prima area del Perù a essere co-gestita dallo Stato e dai popoli indigeni. Tra i 220 abitanti del posto, pochi parlano apertamente dei problemi che incontrano nel cercare di conservare la foresta pluviale, benché nella zona sia attivo da più di dieci anni un programma ONU di compensazione delle emissioni.
“Abbiamo paura, siamo minacciati. È per questo che non denunciamo pubblicamente le attività illegali che avvengono qui intorno”, racconta Silvia*, membro della comunità indigena Harakmbut che ha chiesto di restare anonima. Parla sottovoce mentre descrive le squadre che abbattono parti della foresta per coltivare coca. Si dice che arrivino dalla zona di Vraem, il principale hub del narcotraffico peruviano.
“È diventato molto pericoloso andare in giro da soli. Ci muoviamo solo in gruppi di due o tre per essere al sicuro.”
Silvia*, membro della comunità indigena Harakmbut
Con loro, aggiunge Silvia, sono arrivate anche la criminalità e la violenza. Dopo la Colombia, il Perù è il secondo produttore mondiale di cocaina, che si ricava dalle foglie di coca.
Poche ore prima un piccolo aereo immatricolato in Bolivia aveva sorvolato la zona – l’ultimo di una serie di voli non autorizzati che secondo gli abitanti sono legati al narcotraffico. Raccontano che i trafficanti hanno ricavato diverse piste di atterraggio clandestine nella giungla.
L’anno scorso due “guardiani della foresta” appartenenti alle comunità indigene della riserva sono stati colpiti da armi da fuoco, come rivelato da un recente rapportoCollegamento esterno. In precedenza, avevano ricevuto delle minacce di morte. Dal 2020 nella regione sono stati uccisi 27 leader indigeni in episodi di violenza legati al narcotraffico o a dispute territoriali.
“È diventato molto pericoloso andare in giro da soli. Ci muoviamo solo in gruppi di due o tre per essere al sicuro”, racconta Silvia. Come molti altri, quando va a caccia o a cercare provviste nella foresta, teme di imbattersi in coloni illegali.
>> La Svizzera ha già concluso accordi bilaterali con una quindicina di Stati per ridurre le emissioni, soprattutto in Africa e in America latina:
Altri sviluppi
Riduzione delle emissioni, i Paesi che fanno il “lavoro sporco” per la Svizzera
Le attività illecite si intensificano
Non era questo l’obiettivo quando, nei primi anni 2010, le Nazioni Unite lanciarono REDD+, un programma per finanziare la conservazione forestale nei Paesi in via di sviluppo.
Il progetto è stato un precursore dei meccanismi di compensazione delle emissioni su cui la Svizzera fa molto affidamento per raggiungere i propri obiettivi climatici, e che anche altri Paesi stanno adottando. Ma in questa parte dell’Amazzonia il programma è stato spesso intralciato dalla burocrazia, e non è riuscito a garantire redditi sostenibili alle comunità locali. Intanto, sempre più terre finiscono in mano al narcotraffico.
Molte comunità indigene erano scettiche riguardo al programma sin dall’inizio. REDD+ prometteva di fornire ai Paesi in via di sviluppo, come il Perù, compensazioni economiche e supporto tecnico per la protezione delle foreste. Ma, vista la radicata sfiducia tra il governo centrale e la popolazione indigena, molte comunità temevano che l’accordo potesse agevolare le appropriazioni di terra a scopo di lucro e portare a nuove restrizioni sul loro accesso ai territori.
Oggi in altre parti della riserva di Amarakaeri la deforestazione è aumentata a causa di diverse attività illecite, come l’estrazione illegale di oro, la costruzione di strade e il disboscamento non autorizzato. Anche il narcotraffico si è intensificato. Dall’inizio del secolo l’attività criminale nella regione ha portato alla perdita di quasi 20’000 ettari di foresta – circa il doppio della superficie di Parigi – secondo uno studioCollegamento esterno pubblicato nel 2024 da un’associazione che si occupa di monitorare l’Amazzonia.
Alla COP30 la conservazione delle foreste e i meccanismi di finanziamento sono stati temi centrali. Ma gli abitanti della zona, in prima linea nella conservazione di una foresta cruciale per frenare il cambiamento climatico, dicono di ricevere poco riconoscimento e quasi nessun sostegno economico per i loro sforzi.
Dubbi sui crediti di carbonio
Nel 2002, dopo 18 anni di battaglie delle comunità locali per ottenere il riconoscimento delle loro terre e una maggiore autonomia, il Governo peruviano istituì la riserva di Amarakaeri, un’area protetta di oltre 400’000 ettari che riunisce dieci gruppi indigeni.
Meno di dieci anni dopo l’ONU lanciò il programma REDD+ e Amarakaeri fu una delle prime aree su cui si concentrò per promuovere la conservazione forestale, collaborando sia con gli enti statali che con le comunità locali. Ma l’iniziativa incontrò fin da subito una forte opposizione.
“I popoli indigeni amazzonici, e soprattutto le loro organizzazioni, dissero che non avrebbero accettato REDD+ e non avrebbero partecipato alla vendita dei crediti di carbonio”, racconta Walter Quertehuari Dariquebe, presidente dei co-gestori indigeni della riserva (ECA), che collaborano con l’agenzia peruviana per le aree naturali protette. Quertehuari spiega che le comunità rifiutarono il programma perché avevano scarsa fiducia sia nel sistema internazionale di conservazione sia nella capacità dello Stato di proteggere la popolazione indigena.
Diverse comunità peruviane avviarono un progetto pilota alternativo – REDD+ Indigeno Amazzonico (RIACollegamento esterno). L’obiettivo era proteggersi dagli abusi delle aziende “pirate del carbonio” e adottare una strategia responsabile per contrastare la deforestazione, in linea con gli obiettivi climatici nazionali.
Per i leader comunitari, spiega Quertehuari, non fu semplice convincere le popolazioni indigene che la conservazione della foresta non sarebbe stata un peso, ma un’opportunità economica. Il progetto pilota effettivamente introdusse incentivi economici alla conservazione, ma le cifre rimasero esigue: appena 10 sol peruviani (circa 2,40 franchi) per ettaro all’anno. Swissinfo ha appreso che nella zona il reddito mensile va dai 400 ai 900 sol (circa 100-215 franchi), provenienti soprattutto dalla vendita di banane, dall’artigianato e dal turismo.
Una strada accidentata
All’inizio di novembre Fernando Shinbo Vera, leader della comunità Shintuya, stava aspettando di poter piantare 25’000 giovani piante di cacao. Le aveva ricevute nell’ambito del primo progetto della riserva che prevede anche la vendita di crediti di carbonio, come stabilito dalla versione aggiornata del programma REDD+.
Le piante avrebbero dovuto aiutare le famiglie a generare un reddito sostenibile, preservando al tempo stesso la foresta. Ma il supporto tecnico necessario per piantare gli alberi continuava a non arrivare, e il tempo stava per scadere: i piccoli sacchetti di plastica in cui erano contenuti stavano diventando troppo stretti.
Shimbo racconta che la comunità ha ripulito il terreno per piantare gli alberi, ma così facendo ha involontariamente violato alcune norme sull’uso del territorio che, a suo dire, il governo non aveva mai comunicato. Il co-gestore indigeno della riserva nega questa versione. Nel frattempo, continuano le dispute sulla zona cuscinetto della riserva, dove l’agricoltura è consentita.
“Per andare avanti abbiamo bisogno di una formazione migliore e che ci sia maggiore continuità nei progetti”, afferma il leader 48enne.
Alcuni puntano il dito contro l’agenzia peruviana per le aree protette (che co-gestisce la riserva), accusandola di non sostenere adeguatamente l’implementazione di questi progetti. “Non c’è abbastanza personale, e i “guardiani territoriali” delle comunità non hanno gli strumenti per difendersi [dai narcotrafficanti e da chi vuole appropriarsi delle terre]”, afferma un abitante. Una recente indagineCollegamento esterno ha rilevato che la carenza di fondi statali limita la capacità dell’agenzia di proteggere gli ecosistemi naturali.
Inoltre, il calcolo del valore del carbonio di quell’area ha ulteriormente complicato il finanziamento del progetto, tanto che il fondo pensione straniero che avrebbe dovuto sostenerlo si è poi ritirato.
Troppi rischi
Nel 2018 la riserva ha ottenuto la certificazione “Lista Verde” dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), con sede in Svizzera – un riconoscimento che avrebbe potuto facilitare l’accesso a nuovi finanziamenti. Ma l’accreditamento è scaduto più di un anno fa, e l’aumento della deforestazione potrebbe complicarne il rinnovo, afferma Cristina López Wong, che lavora per l’IUCN in Perù.
“Lo Stato ha il dovere di garantire condizioni adeguate per una gestione efficace delle aree protette e delle zone cuscinetto della foresta”, dice López.
Gli abitanti di Shintuya temono che senza un sostegno esterno la loro situazione, già pericolosa, possa solo peggiorare. La mancanza di opportunità di lavoro ha già spinto alcuni verso il narcotraffico.
Gabriel Labbate è il responsabile dell’unità di mitigazione climatica di UN-REDD presso il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. Insieme ad altre agenzie ONU, lavora direttamente con i Paesi che ospitano le foreste, fornendo loro le risorse tecniche ed economiche necessarie per conservarle.
Labbate ammette che le regioni di frontiera, come Amarakaeri e altre riserve, “sono luoghi davvero pericolosi, e potenzialmente molto violenti”. Ma sottolinea che il programma UN-REDD, nonostante i finanziamenti internazionali limitati, resta fondamentale per “rafforzare la posizione dei popoli indigeni come garanti della conservazione forestale e per assicurare che non vengano sopraffatti dalla criminalità”. Sul campo, però, pochi abitanti credono che lo Stato sia davvero impegnato a proteggerli, e accusano le autorità di agevolare le attività illecite.
A un posto di controllo antidroga lungo la strada principale per Cusco – situato oltre campi di coca ben visibili – Swissinfo ha osservato controlli dei veicoli molto superficiali, diventati solo leggermente più scrupolosi dopo che alla nostra squadra è stato chiesto di mostrare il tesserino stampa.
“Non trovano mai droga, anche se dovrebbero”, commenta un abitante Harakmbut mentre scarica banane coltivate grazie a un progetto di conservazione forestale, destinate alla vendita a Cusco per 10–18 sol (2,40-4,3 franchi) per ciascun casco da 25 kg. “Dicono che non sono preparati”.
Altri sviluppi
*identità nota alla redazione
A cura di Gabe Bullard e Veronica DeVore
Traduzione di Vittoria Vardanega
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.