Simpatie e cautele tra piccoli Stati
Il 14 maggio 1948 Israele proclamò la propria indipendenza. Dopo qualche esitazione, la Svizzera riconobbe il nuovo Stato nei primi mesi del 1949. Negli anni successivi la preoccupazione di Berna rimase quella di conciliare gli interessi commerciali e la simpatia di molti strati della popolazione verso Israele con il suo statuto di neutralità.
Le relazioni tra Svizzera e Israele hanno radici profonde. Basilea ospitò il primo congresso sionista nel 1897, e molti dei congressi successivi. Fin dal 1927 la Confederazione gestiva un consolato a Jaffa. Quando tuttavia il 14 maggio 1948 il Consiglio nazionale ebraico proclamò l’indipendenza di Israele, Berna reagì con prudenza.
Cittadini svizzeri in Israele
- 1930: 70
- 1939: 240
- 1953: 470
- 1975: 2000
- 1986: ca. 4000
- 2005: 11’570 (9151 doppi cittadini)
- 2016: 19’433 (16’051 doppi cittadini)
Israele è il paese asiatico con il maggior numero di cittadini svizzeri.
Fonte: Dizionario storico della Svizzera / Seco
“Nella sua seduta del 23 luglio 1948 il Consiglio federale ha deciso di lasciare in sospeso la decisione sul riconoscimento dello Stato di Israele. […] Per ragioni politiche […] era opportuno il riserbo, perché un riconoscimento precoce di uno Stato che lotta per la sua esistenza sarebbe stato considerato dai suoi avversari – giustamente – un favoritismo […]”, si legge nel verbaleCollegamento esterno della seduta del Consiglio federale del 25 gennaio 1949.
“Per la Svizzera era importante trovare il momento giusto, dal punto di vista della politica di neutralità, per procedere al riconoscimento di Israele. Berna fece dipendere la sua decisione dalle intenzioni degli altri Stati dell’Europa occidentale”, osserva Sacha Zala, direttore dei Documenti diplomatici svizzeri (DodisCollegamento esterno) e autore insieme a Yves Steiner di un saggioCollegamento esterno sul ruolo della diplomazia svizzera in Medio Oriente tra il 1945 e il 1975 pubblicato sulla rivista “Relations Internationales” (una versione ampliata in tedesco uscirà prossimamente sulla nuova rivista digitale “Saggi di Dodis”).
“Il Consiglio federale temeva inoltre contraccolpi per le rilevanti relazioni commerciali con i paesi arabi, in particolare con l’Egitto, ed eventuali rappresaglie contro la colonia svizzera nel paese sul Nilo. Il Dipartimento federale degli affari esteri guardava d’altro canto con un certo scetticismo alle tendenze socialiste di Israele, temendo un legame troppo stretto del nuovo Stato con il blocco orientale”, afferma ancora Zala.
Altri sviluppi
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Riconoscimento cauto
Dopo che dagli Stati occidentali giunsero segnali positivi e che un accordo di cessate il fuoco tra le parti in conflitto cominciò a delinearsi, Berna si risolse il 28 gennaio 1949 a riconoscere dapprima di fatto lo Stato di Israele, insieme alla Giordania. Poi, due mesi più tardi, seguì anche il riconoscimento ‘de jure’. La rappresentanza diplomatica svizzera a Tel Aviv, aperta nel 1949, fu tuttavia promossa al ruolo di legazione (oggi ambasciata) solo nel 1951.
Nonostante le titubanze iniziali, i due Stati svilupparono rapidamente intense relazioni commerciali: nel 1951 la Svizzera risultava già al terzo posto fra i fornitori di merci a Israele, dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. La Svizzera ritenne tuttavia politicamente non opportuno stipulare un vero accordo commerciale con Israele. I problemi legati alla carenza di divise da parte del nuovo Stato furono affrontati nell’ambito di un accordo di clearing.
La crisi di Suez del 1956 contribuì poco tempo dopo a innescare una svolta nei rapporti con Israele. Da una parte le nazionalizzazioni promosse dal presidente Nasser condussero a un raffreddamento delle relazioni con l’Egitto, d’altro canto il chiaro posizionamento di Israele nel campo occidentale favorì il riavvicinamento con Berna.
Euforia filoisraeliana
Dall’inizio degli anni Sessanta anche nell’opinione pubblica elvetica si fecero strada posizioni più chiaramente filoisraeliane. L’esperienza dei kibbutz israeliani spinse anche molti esponenti della sinistra e del movimento cooperativistico a simpatizzare per il giovane Stato.
“Queste simpatie per la causa israeliana nella popolazione svizzera si tramutarono in vera e propria euforia nel corso della Guerra dei sei giorni, nel giugno del 1967”, ricorda Sacha Zala. “A questa reazione contribuirono le minacce di Nasser, che evocavano il timore di un nuovo olocausto. Inoltre vi fu una forte identificazione ideologica con il piccolo Stato israeliano e con i suoi successi militari.”
Il Consiglio federale reagì con un comunicatoCollegamento esterno all’inizio delle ostilità. Il governo, che intendeva esprimere innanzitutto la sua costernazione per gli avvenimenti in Medio Oriente, affermò anche di essere in perfetta sintonia con i sentimenti popolari, sottolineando come “in questi giorni [la popolazione svizzera] si è resa nuovamente conto, in modo evidente, che per un piccolo Stato neutrale la premessa fondamentale della propria esistenza e dei propri diritti vitali risiede nella fedeltà al diritto e nella decisa affermazione della propria volontà di difendersi.”
La formulazione poco felice fu letta dai rappresentanti dei paesi arabi come una chiara presa di posizione in favore di Israele. Il giorno successivo otto capi missione arabi si presentarono al ministro degli esteri svizzero Willy SpühlerCollegamento esterno per esprimere in forma collettiva la loro protesta. “Un’azione assolutamente inedita”, osserva Zala.
Alla ricerca di una politica sul Medio Oriente
L’atteggiamento filoisraeliano della Svizzera si manifestò anche negli anni successivi, in occasione per esempio della guerra del Kippur (1973) e del taglio dei sussidi elvetici all’Unesco in seguito a una risoluzione critica dell’organizzazione su Israele nel 1975.
“A partire dagli anni ’70, la diplomazia elvetica si sforzò di definire in modo più chiaro la propria posizione sul conflitto in Medio Oriente”
Sacha Zala, storico
D’altro canto fra le autorità elvetiche si fece largo la consapevolezza, non da ultimo in seguito alle azioni terroristiche palestinesi che nel 1969 e nel 1970 coinvolsero direttamente la Svizzera, che il conflitto in Medio Oriente richiedeva un ruolo diplomatico più attivo del paese. Nel 1973 il ministro degli esteri Pierre Graber visitò dapprima l’Egitto, quindi Israele, avviando un riposizionamento maggiormente “neutrale” della Svizzera. L’anno successivo, su richiesta dell’Onu, il Consiglio federale approvò l’apertura di un ufficio dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) a Ginevra.
“A partire dagli anni Settanta, la diplomazia elvetica si sforzò di definire in modo più chiaro la propria posizione rispetto al conflitto in Medio Oriente”, riassume Sacha Zala. “La Svizzera riconobbe la necessità di una maggiore apertura verso il mondo arabo. Rispetto alla questione palestinese, il ministero degli esteri sosteneva ormai chiaramente che non si trattava solo di una questione umanitaria, ma anche territoriale e nazionale, per la quale andavano cercate soluzioni.”
Negli anni successivi anche l’atteggiamento di simpatia della popolazione svizzera verso Israele si attenuò, in particolare dopo la guerra in Libano del 1982 e in seguito alla prima Intifada nel 1987 e soprattutto della seconda Intifada nel 2000.
Altri sviluppi
La Guerra dei sei giorni
Accordi tra Svizzera e Israele
Un primo accordo tra Svizzera e Israele fu stipulato nel 1951 per regolare la tassazione delle compagnie aeree dei due paesi. Un altro accordo sulle linee aeree seguì l’anno successivo. Nel 1956 le relazioni commerciali tra i due paesi vennero regolate nell’ambito di uno scambio di note. Nel 1965 Svizzera e Israele conclusero un trattato di conciliazione, regolamento giudiziario ed arbitrato; nel 1967 stabilirono la fine dell’obbligo di visto. Nel 1992 furono regolati gli scambi di prodotti agricoli. Dal 1993 le relazioni commerciali tra i due paesi avvengono nell’ambito del trattato di libero scambio tra Israele e Aels. Risale al 2003 invece un accordo sulla doppia imposizione.
Fonte: Seco
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