
L’esenzione dai dazi USA non è un vantaggio garantito per la farmaceutica svizzera

Il presidente statunitense Donald Trump sta facendo pressione sull'industria farmaceutica con dazi, da cui le case produttrici svizzere potrebbero essere esentate. Secondo gli esperti, tuttavia, le tariffe doganali avranno un impatto minore sul settore rispetto alla politica dei prezzi.
Nelle ultime settimane sono circolate online indiscrezioni su un trattamento di favore per le esportazioni farmaceutiche svizzere verso gli Stati Uniti, mentre i due Paesi stanno finalizzando un accordo sulle tariffe doganali reciproche di Washington, atteso entro il 1° agosto. Stando a fonti anonime citate da Bloomberg, gli USA si asterrebbero dall’imporre dazi su un settore di importanza vitale per la Svizzera.
Il presidente Trump, tuttavia, non ha fatto alcuna menzione di un’esenzione per la Confederazione quando ha dichiarato che a partire dal 1° agosto le dogane statunitensi imporranno gradualmente dazi sulle importazioni farmaceutiche. Tali misure potrebbero raggiungere il 200% nell’arco del prossimo anno e mezzo.
A questa conclusione è giunta un’indagine avviata a metà aprile dall’amministrazione statunitense per stabilire se le importazioni farmaceutiche del Paese rappresentassero una minaccia per la sua sicurezza nazionale. Storicamente, i farmaci sono stati esenti da dazi, grazie a un accordo del 1995 dell’Organizzazione mondiale del commercio.
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I prodotti farmaceutici rappresentano, in valore, il 40% del totale delle esportazioni svizzere, il che ne fa il principale settore di esportazione. Oltre la metà (60%) di queste esportazioni è diretta verso gli Stati Uniti. In quelli che alcuni analisti hanno definito tentativi d’ingraziarsi l’amministrazione Trump, le case produttrici svizzere e internazionali si sono impegnate a investire miliardi di dollari negli USA dall’inizio dell’anno.

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Tuttavia, al di là dei titoli, le persone esperte interpellate da Swissinfo affermano che il fatto che la farmaceutica svizzera sia inclusa o meno nell’accordo finale sui dazi farà poca differenza per il settore. Sostengono che le grandi aziende farmaceutiche, che hanno importanti margini di profitto sui farmaci, possono assorbire tariffe doganali più elevate. Aggiungono che i dazi sono un’opzione migliore rispetto all’abbassamento dei prezzi dei medicinali, che è un altro degli obiettivi di Trump e un argomento che sta usando nelle negoziazioni.
“Il potenziale trattamento preferenziale per la Svizzera naturalmente fa notizia, ma è meno rilevante di quanto si pensi, perché non è una garanzia di esenzione dai dazi, che verranno comunque applicati se le case produttrici non cederanno a concessioni sui prezzi”, spiega Fabian Wenner, analista del mercato azionario presso Julius Bär.
Il presidente Trump ha usato i dazi come leva per fare pressione sul settore affinché trasferisca gli impianti di produzione negli Stati Uniti. Il suo obiettivo è permettere agli USA di controllare la catena di approvvigionamento dei farmaci e di incentivare la produzione locale.
“I dazi sono il male minore”
Il presidente Trump si è anche concentrato sulla riduzione dei prezzi dei farmaci negli Stati Uniti, che sono i più alti al mondo. Negli USA un trattamento contro il cancro con il farmaco Keytruda di Merck costa circa 191’000 dollari (152’476 franchi) all’anno, più del doppioCollegamento esterno rispetto ai 91’000 dollari della Francia. Ciò è dovuto ad accordi negoziati segretamente tra i gruppi farmaceutici e i Governi, basati su un insieme di criteri economici, normativi e clinici, come il reddito di un Paese e il quantitativo di dosi ordinate.
Il motivo di prezzi così elevati è che le case produttrici spesso registrano i loro prodotti prima negli Stati Uniti (il più grande mercato farmaceutico del mondo) e garantiscono che la popolazione statunitense abbia sempre accesso ai medicamenti più recenti prima di altri Paesi. Le aziende farmaceutiche devono anche coprire gli alti costi derivanti da azioni legali collettive e accordi extragiudiziali, che sono più frequenti negli Stati Uniti che in altre nazioni, secondo Wenner.
Nel tentativo di abbassare i prezzi, il presidente Trump sta tentando dal 2020 di introdurre una politica interna basata sul principio della “Nazione più favorita” (Most Favoured Nation, MFN) per allineare i prezzi dei farmaci statunitensi a quelli dei Paesi che pagano di meno. Secondo gli esperti, abbassare i costi eroderebbe i profitti delle aziende farmaceutiche e le danneggerebbe a lungo termine.
“È molto probabile che questi dazi siano il male minore tra i due e che saranno accettati più facilmente dalle aziende farmaceutiche rispetto a una riduzione dei prezzi”, spiega Wenner. “Questo perché una volta che i prezzi vengono abbassati, è molto difficile alzarli di nuovo”. L’introduzione della politica MFN richiede l’approvazione del Congresso, che secondo l’analista sarà difficile da ottenere; la riduzione dei prezzi avrebbe conseguenze di vasta portata e potrebbe persino avere un impatto sull’occupazione negli Stati Uniti.
“L’industria non sembra essere eccessivamente preoccupata per i dazi, perché saranno introdotti gradualmente e la maggior parte dei gruppi farmaceutici dispone già di capacità produttiva negli Stati Uniti”, afferma Wenner. “Questo vale per Roche e Novartis, poiché un’ampia percentuale delle loro vendite era già destinata agli Stati Uniti, a differenza di Merck, Bayer o Sanofi”. Una settimana dopo l’annuncioCollegamento esterno, le azioni sono salite dell’1% secondo l’indice farmaceutico della Borsa di New York (NYSE Pharmaceutical Index), che monitora le grandi aziende del settore.
L’amministratore delegato di Roche, Thomas Schinecker, ha dichiarato ai media, durante la teleconferenza sui risultati del primo trimestre della società tenutasi in aprile, che quattro farmaci del suo portafoglio rappresentavano il 92% dell’esposizione dell’azienda ai dazi. La loro produzione sarà trasferita negli Stati Uniti, dove l’azienda ha finora operato al 50% della propria capacità.
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All’inizio di aprile, Novartis Collegamento esternoha annunciato l’intenzione di investire 23 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi cinque anni. Ha aggiunto che creerà due poli di innovazione, quattro impianti di produzione e 1’000 posti di lavoro all’interno dell’azienda, in modo che “tutti i farmaci chiave di Novartis per i e le pazienti statunitensi saranno prodotti negli Stati Uniti”.
Materie prime estere nella farmaceutica
Nel medio termine, tuttavia, trasferire la produzione negli Stati Uniti non metterà al riparo le aziende farmaceutiche dal costo d’importazione dei principi attivi farmaceutici (API), i componenti essenziali che rendono efficaci i farmaci. Gli API sono spesso prodotti in Paesi diversi da quelli in cui hanno sede le aziende farmaceutiche, anche per le case produttrici statunitensi. Generalmente, la Dogana e protezione delle frontiere degli Stati Uniti considera il luogo di produzione dell’API come il Paese d’origine di un farmaco.
“Finché le aziende farmaceutiche non saranno realmente in grado d’intensificare la produzione negli Stati Uniti, dipenderanno fortemente dalla produzione di materie prime estere”, afferma Jonathan Baumeler, direttore del settore Imposte indirette/Commercio globale presso la filiale svizzera della società di consulenza EY.
Oltre la metà del volume di produzione di API nel 2024 aveva sede in India (32%) e nell’UE (20%), secondo i dati della Farmacopea statunitense (USP). Escludendo i fluidi per via endovenosa, di cui gli Stati Uniti producono volumi significativi, solo il 12% del volume totale di API è prodotto internamente.
Secondo Baumeler, la scadenza di circa 18 mesi perché i dazi entrino in pieno vigore non è sufficiente per trasferire tutta la produzione negli Stati Uniti. Le aziende farmaceutiche interpellate da EY stanno invece considerando un orizzonte temporale di cinque-sei anni. Non solo la modifica delle catene di approvvigionamento è complessa, ma richiede anche una serie di approvazioni normative.
Per ora, sembra che le case produttrici continueranno a importare farmaci finiti negli Stati Uniti, un costo che gli operatori più grandi possono coprire senza incidere sul prezzo finale per la clientela. Per i produttori più piccoli, tuttavia, anche un aumento del 10% dei costi operativi può essere fatale, specialmente per chi produce farmaci generici e opera con margini molto più ridotti rispetto ai produttori di farmaci di marca. Se le aziende manifatturiere più piccole non saranno in grado di coprire i costi, gli esperti hanno avvertito che ciò potrebbe portare a una carenza di farmaci.

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Sulla base delle importazioni del 2024, EY stima che dazi del 10% comporterebbero costi aggiuntivi per 14,39 miliardi di dollari per l’intero settore. Esistono diversi scenari per coprire i rincari: le case produttrici internazionali che importano prodotti negli Stati Uniti assorbono i costi, la clientela ne paga le conseguenze con prezzi più alti, oppure le aziende americane che acquistano beni importati coprono le spese perché non riescono a trovare altri partner di produzione.
Finché la situazione dei dazi non sarà più chiara e i prezzi non saranno negoziati con il Governo statunitense, saranno le case produttrici internazionali a dover coprire gli oneri se vorranno continuare ad accedere al mercato, secondo il consulente di EY. Per ora, in attesa di una decisione finale, le aziende stanno accumulando scorte negli USA. “Vogliono assicurarsi di avere prodotti in libera circolazione negli Stati Uniti”, afferma Baumeler. Ma gli esperti avvertono che, anche se i dazi probabilmente riporteranno la produzione e creeranno posti di lavoro negli Stati Uniti, il presidente Trump userà altri strumenti per spingerli ad abbassare i prezzi dei farmaci.
Articolo a cura di Virginie Mangin/ac
Tradotto con l’ausilio dell’IA/mrj

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