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«La nostra società fa fatica a mettersi in questione»

Jacques Hainard ha inaugurato l'esposizione "Scenario catastrophe" nel marzo scorso a Ginevra Keystone

Noto per le sue esposizioni provocanti, Jacques Hainard, direttore del Museo d'etnografia di Ginevra, ha un obiettivo: far conoscere meglio l'etnologia e le sue virtù critiche.

Come? In particolare ampliando il museo che dirige, depositario di una collezione unica in Svizzera.

Caloroso e caustico, Jacques Hainard incarna a meraviglia il suo mestiere, l’etnografia, una scienza fatta d’empatia per gli esseri umani e di distanza critica nei confronti delle loro istituzioni, i loro costumi, i loro miti.

Per diversi anni ha diretto il Museo etnografico di Neuchâtel regalandogli una fama che ha varcato di molto i confini della cittadina svizzera. Le sue esposizioni, spesso disorientanti, traducevano in modo particolarmente felice lo sguardo dell’etnografia sul mondo, il tentativo di decriptare i riti e i feticci della nostra epoca postindustriale e di misurarli con quelli di società a lungo considerate «primitive» e che oggi si preferisce definire «primordiali».

Bastano i titoli, per capire quanto Hainard abbia voluto che le sue esposizioni provocassero i visitatori, li spingessero a riflettere: «Il male e il dolore», «Il buco», «Marx 2000», «L’arte è l’arte», «Il museo cannibale», «X – speculazioni sull’immaginario proibito»…

Nel 2006 Hainard ha lasciato Neuchâtel alla volta di Ginevra che gli ha chiesto di salvare il suo Museo d’etnografia, una veneranda istituzione con problemi di spazio e il cui sviluppo è stato bloccato dal no dei cittadini di Ginevra alla costruzione di un nuovo edificio in grado di accogliere tutti gli oggetti del museo.

swissinfo: Cosa può dare alla Svizzera d’oggi lo sguardo degli etnologi?

Jacques Hainard: Il grande pubblico conosce molto male l’etnografia. Siamo spesso associati a studiosi orientati al passato, come gli storici e gli archeologi. Ma il nostro lavoro è incentrato soprattutto sulla comprensione del presente e delle persone che lo vivono.

In effetti, l’etnologia può dare una risposta agli interrogativi del quotidiano. Abbiamo le competenze necessarie ad individuare e mettere in questione i problemi essenziali negli ambiti più diversi. Non proponiamo necessariamente delle soluzioni, ma possiamo interrogare in modo incisivo, significativo e spesso critico tutta una serie di fenomeni.

Quello degli etnologi è uno sguardo che va a fondo, che disturba e questo dissuade spesso i politici e le amministrazioni dal lavorare con noi. In effetti, la società odierna ha difficoltà a mettersi in questione, ha perso il senso del dibattito sulle idee. Spesso, in Svizzera, la critica viene interpretata come un attacco personale.

Ciò che mi affascina di più in questo mestiere e di poter dire alla gente che in nessun caso siamo i detentori della verità. Con questa piccola incertezza dentro di sé, ciascuno di noi è portato a pensare in modo diverso e a dare prova di una maggiore generosità e tolleranza nei confronti dello sguardo altrui.

swissinfo: Ginevra è spesso considerata come un mondo a sé dal resto della Svizzera. Qual è il suo sguardo su questa città in cui lavora da ormai più di un anno?

J.H.: La prima cosa che mi colpisce è che Ginevra è come un’amante. Tutti hanno voglia di venire a Ginevra. I miei colleghi, che duravo fatica a far venire a Neuchâtel, mi telefonano per chiedermi se è possibile passare di qui.

Ginevra è contemporaneamente una città internazionale e provinciale. Il museo di etnografia deve posizionarsi in questo iato, in questa quasi ambiguità. In effetti, il museo e le sue collezioni sono conosciuti sul piano internazionale, ma hanno perso parte del loro ancoraggio locale.

Bisogna poi abituarsi allo stile politico ginevrino, molto più teatrale di quello di Neuchâtel. Ci si mette in scena, si fa la voce grossa. I politici cercano di profilarsi prendendo posizione o agendo in modo spettacolare.

Inoltre, Ginevra è una città d’affari e di relazioni internazionali. Per questo a volte il resto della Svizzera ha l’impressione che sia un po’ altezzosa.

swissinfo: Fra breve sarà lanciato un concorso per l’ampliamento del museo. È necessario?

J.H.: Attualmente il museo – in origine pensato come edificio scolastico – non ha delle buone strutture d’accoglienza. Bisogna quindi migliorarne l’accessibilità.

E poi si ritrova in una situazione paradossale: ha delle collezioni etnografiche eccellenti (100’000 oggetti) e non ne può mostrare che una minima parte. Bisogna dunque fare in modo che il pubblico abbia accesso a questo ricco patrimonio etnografico. Questo gioiello deve ritrovare la vetrina che si merita.

swissinfo: Per raggiungere questo obiettivo pensa di collaborare con altre istituzioni?

J.H.: Ho cercato di farlo fin dal mio arrivo a Ginevra, volevo reintegrare il museo nel suo quartiere e nella celebre Rue des Bains sulla quale si affacciano numerose gallerie ed un museo di arte contemporanea che sono riuniti in un’associazione. Il museo d’etnografia è stato accettato come membro privilegiato. Partecipiamo dunque alle manifestazioni e alle vernici comuni organizzate da questa associazione.

Ad ogni modo dobbiamo collaborare, riflettere insieme, unire le nostre forze. Perché l’arte contemporanea – lo sguardo che gli artisti portano su certi oggetti e la loro lettura della società – non è molto distante dall’etnografia. Del resto io stesso, per le esposizioni che ho realizzato a Neuchâtel, sono stato spesso definito come un artista contemporaneo…

intervista swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
traduzione, Doris Lucini

Nato nel 1943, Jacques Hainard studia lettere all’Università di Neuchâtel.

Tra il 1969 e il 1971 lavora come conservatore al Museo d’etnografia e al Museo svizzero delle tradizioni popolari di Basilea.

Dal 1973 al 1970 è direttore di progetto all’Istituto d’etnologia di Neuchâtel.

Diventa conservatore del Museo d’etnografia di Neuchâtel nel 1980. Tra il 1981 e il 2005 organizza venticinque importanti esposizioni temporanee.

Attualmente è direttore del Museo d’etnografia di Ginevra. Inoltre insegna etnomuseografia all’Istituto di etnologia dell’Università di Neuchâtel.

Antropologia, sociologia e etnologia hanno certi aspetti in comune. La specificità dell’etnologia risiede nell’osservazione partecipe e nelle analisi di tipo qualitativo.

Nel corso delle loro ricerche, gli etnologi collezionano sovente degli oggetti. Questi ultimi rappresentano ancora oggi un elemento importante della loro riflessione.

Fino a poco tempo fa, l’etnologia s’interessava esclusivamente alle società extra europee. La società industriale era il terreno di studio della sociologia.

Oggi questa suddivisione non si fa più. Gli etnologi s’interessano a tutti i tipi di società. Sono degli ardenti difensori della diversità e cercano di diffondere la consapevolezza che esistono diversi modi di pensare, credere, agire.

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