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Quanto è neutrale davvero la Svizzera?

“Europea e solidale, ma indipendente”: così è percepita la Svizzera

Pascale Baeriswyl
Pascale Baeriswyl si esprime durante la sessione di emergenza dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sull'Ucraina, 28 febbraio 2022. Copyright 2021 The Associated Press. All Rights Reserved

Dopo le sanzioni contro la Russia, all'estero si sente dire che la Svizzera ha abbandonato la sua neutralità. Un malinteso? Lo abbiamo chiesto a Pascale Baeriswyl, a capo della Missione permanente della Svizzera presso le Nazioni Unite.

SWI swissinfo.ch: All’estero, la decisione della Svizzera di aderire alle sanzioni contro la Russia è stata interpretata come un abbandono della neutralità. È un malinteso che avete dovuto chiarire in questi giorni?

Pascale Baeriswyl: È normale che le conoscenze sulla neutralità svizzera non siano molto elevate. Dobbiamo regolarmente spiegare in cosa consiste la nostra neutralità, che è diversa da quella della Croce Rossa internazionale, per esempio. Fa parte del nostro lavoro quotidiano. Tuttavia, sì: nel contesto attuale, lo facciamo più spesso di prima.

Pascale Baeriswyl
Pascale Baeriswyl. © Keystone / Alessandro Della Valle

Sembra comunque che la Svizzera non sia più percepita come neutrale all’estero. La Russia l’ha iscritta nella lista dei “Paesi ostili”.

La neutralità della Svizzera non è cambiata e non posso confermare per il momento che il Paese non è più considerato neutrale. Qui, all’ONU a New York, le reazioni alla posizione svizzera su questa violazione estremamente grave del divieto all’uso della forza stabilito dalla Carta dell’ONU sono state essenzialmente positive. E non solo da parte degli Stati occidentali. Ho quindi fiducia nel fatto che la Svizzera continuerà a essere vista come una costruttrice di ponti credibile e neutrale. È ciò per cui ci impegniamo ogni giorno.

Quando la Svizzera si allinea con decisione alle posizioni dell’Unione europea, come nel caso delle sanzioni, non rischia di essere considerata a livello internazionale come un “membro light” dell’UE anziché un attore neutrale?

La Svizzera è geograficamente, culturalmente e in termini di valori nel cuore dell’Europa. Da più di vent’anni adotta regolarmente i regimi delle sanzioni dell’UE.

Anche qui a New York la Svizzera fa parte del gruppo occidentale dell’ONU. Non partecipa tuttavia alle dichiarazioni comuni dell’UE e svolge spesso il ruolo di ponte tra l’UE e il gruppo di Paesi in via di sviluppo.

È con questa sfumatura, “europea e solidale, ma autonoma”, che la Svizzera è percepita qui. È spesso un vantaggio ma, ogni tanto, abbiamo meno peso degli Stati membri dell’UE.

La non appartenenza all’UE è ancora un punto di forza per i buoni uffici rispetto alla “concorrenza” rappresentata da Vienna, Helsinki o Stoccolma?

In questo momento ci sono talmente tanti focolai di conflitto nel mondo che tutti devono dare il proprio contributo. Non vale la pena avere rapporti di concorrenza. La maggior parte del tempo, il profilo di un Paese mediatore si adatta meglio a determinati contesti rispetto a un altro. Di frequente si combinano i diversi servizi di mediazione: un Paese fornisce ad esempio le sue competenze negli accordi di cessate il fuoco mentre un altro si dedica all’organizzazione di elezioni giuste ed eque.

Il fatto che la Norvegia e la Svizzera non siano membri dell’UE fa spesso di noi – ma non sempre – dei collaboratori ambiti. L’unicità della Confederazione sta nella Ginevra internazionale, nella sede europea dell’ONU e nel suo ambiente umanitario e innovatore.

La neutralità elvetica è considerata all’estero come una foglia di fico che cerca di proteggere gli interessi economici. Come può continuare a svolgere il suo ruolo di mediazione?

La reputazione della Svizzera corre sempre un rischio quando degli attori elvetici – economici e non – non rispettano le regole del diritto. Come ogni altro Paese. Qui all’ONU la neutralità svizzera non è considerata come un velo di pudore, al contrario: godiamo di grande credibilità.

Dopo aver introdotto delle sanzioni, la Svizzera è ancora in corsa come possibile mediatrice nella guerra in Ucraina?

Comprensibilmente, non posso dire nulla di concreto in proposito. L’importante è che la guerra finisca il prima possibile, poiché le conseguenze sono drammatiche per la popolazione, per il Paese, per la regione e per il mondo intero. Chiunque possa contribuire a mettervi fine è benvenuto come mediatore.

Dopo il successo della mediazione in Nepal, in Mozambico e altre regioni piuttosto lontane, si potrebbe avere l’impressione che la Svizzera stia cercando una prima mediazione di peso. Si tratta di una questione di prestigio?

I buoni uffici della Svizzera sono formati da tre aspetti: Stato ospite, mandati di potenza protettrice e mediazioni concrete.

Come Paese ospite abbiamo recentemente accolto numerose conferenze dell’ONU, per esempio sulla Siria. Da decenni, forniamo anche preziosi servizi di potenza protettrice, per esempio alla Russia o agli Stati Uniti. Per quel che riguarda le mediazioni svizzere, possiamo dire che è una svizzera, Heidi Tagliavini, che ha partecipato ai negoziati degli accodi di Minsk. Ed è uno svizzero, Toni Frisch, che ha negoziato per anni gli scambi di prigionieri tra Governo ucraino e separatisti pro-russi. Questo ha senz’altro permesso di salvare molte vite. In Nepal e Mozambico, la Svizzera è un partner nella cooperazione allo sviluppo dagli anni Sessanta. È quindi nel nostro interesse che questi Paesi non ricadano nuovamente in conflitti sanguinosi.

In poche parole, abbiamo ragione di essere fieri dei nostri buoni uffici. Non si tratta tanto di prestigio quanto del nostro contributo solidale alla comunità globale. Ciò ci dà credito e ne abbiamo bisogno in quanto Paese dipendente da un ordine fondato su delle regole. È dunque nel nostro interesse.

La Svezia ha fornito armi all’Ucraina e ha in questo modo rinunciato definitivamente alla sua neutralità. La Germania ha annunciato un cambiamento di paradigma nella sua politica estera e si sta armando. Anche la Svizzera dovrebbe cambiare rotta?  

La Svezia aveva già deciso nel 2009 di rinunciare alla neutralità e da allora si definisce “non allineata”. Ciò è legato alla posizione geografica esposta.

Una situazione di minaccia con la Russia si stava delineando da diversi anni anche se speravamo che un’aggressione di quest’ampiezza non si sarebbe mai verificata. La Svizzera deve essere pronta ad affrontare le crisi; lo ha mostrato anche la pandemia. Ma non vedo per il momento alcuna ragione di modificare i nostri principi di politica estera che finora hanno dato prova del loro valore.

Quale aspetto avrà la neutralità elvetica in futuro?

In linea di principio, per quel che riguarda la neutralità svizzera non cambia nulla. Dall’annessione della Crimea otto anni fa, il diritto della neutralità svizzera si applica al conflitto russo-ucraino. La politica di neutralità è più flessibile ed è dunque interpretata in modi diversi. In seno alla popolazione svizzera, è l’aspetto della “solidarietà” che raccoglie più sostegno per definire la politica di neutralità. Questa tradizione umanitaria profondamente radicata è stata anche dimostrata dalla popolazione elvetica in questi giorni.

Per altri, nella definizione di politica di neutralità è essenziale la moderazione della Svizzera nel gestire gli “affari esteri”. Tentiamo di tener conto di questo aspetto facendo parte di coloro che lavorano spesso dietro le quinte e in silenzio a dei compromessi.

Ma la svizzera non è neutrale di fronte alle violazioni del diritto internazionale. Le affrontiamo sempre. In quanto piccolo Stato tra i più globalizzati, per noi il rispetto delle regole internazionali, sul piano economico e della politica di sicurezza, è una questione esistenziale. Finché saremo coerenti, saremo credibili. La politica di neutralità è, in fin dei conti, una questione di credibilità.

Si parla di un cambiamento epocale e di una possibile nuova Guerra fredda. I Paesi occidentali si riavvicineranno. Come si posizionerà la Svizzera?

In quanto storica, penso che non si possa veramente comprendere un’epoca se non con una certa distanza. La storia è sempre in mutamento ed è fatta più di movimento che di cesure, anche se bisogna essere sempre pronti a reagire rapidamente a eventi concreti come una guerra o una catastrofe.

Pr il nostro lavoro diplomatico, dobbiamo tentare di orientare i flussi in funzione dei nostri interessi e valori. Sul lungo termine, per la comunità internazionale si tratta di ristabilire la fiducia, colmare le grandi disparità, lottare contro la disinformazione, ristabilire i sistemi di sicurezza e – soprattutto – raggiungere gli obbiettivi di sostenibilità.

Un giornalista – quando ho sottolineato i grandi rischi per il nostro mondo – un giorno mi ha trattato da Cassandra e la cosa mi ha infastidito. Qui non si tratta di mitologia greca. I fattori di rischio che si manifestano attualmente figurano da oltre dieci anni nel Global Risk Report annuale del Forum economico mondiale di Davos. Bisogna prenderli sul serio! Altrimenti, non lasceremo un bel futuro alle future generazioni.

La mia speranza è che a causa delle gravi crisi attuali – pandemia, guerre e fame – la comunità globale si avvicini di nuovo per affrontare insieme le sfide mondiali. Qui, in seno all’ONU.

Pascale Baeriswyl

Pascale Baeriswyl è nata a Berna nel 1968. Ha studiato diritto, storia, letteratura francese e linguistica a Basilea, Ginevra e Parigi e si è laureata con una licenza in diritto e una in filologia. Dopo aver lavorato come ricercatrice per il Fondo Nazionale Svizzero per la Scienza e come giudice del Tribunale civile di Basilea, è entrata nel servizio diplomatico nel 2000.

Dopo gli incarichi all’estero in Vietnam, Bruxelles e New York, Pascale Baeriswyl è tornata in Svizzera nel 2013 come vice direttrice della Direzione del diritto internazionale. Dal 2016 era segretaria di Stato del DFAE e direttrice della Direzione politica. Nel 2019, il Consiglio federale l’ha nominata nuovo capo della Missione permanente della Svizzera presso le Nazioni Unite. Ricopre questa posizione da giugno 2020.

Fonte: DFAE

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