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Le Alpi svizzere sono stupende, ma sono anche ricche in biodiversità?

Bolle di Magadino, come si gestisce un tesoro di biodiversità

Lagoe foce del fiume dall alto
La foce del fiume Ticino, il cuore della riserva delle Bolle di Magadino, è stata oggetto di un risanamento che l'ha riportata al suo stato naturale nel 2010. Keystone / Alessandro Della Bella

Alla Conferenza sulla biodiversità di Montreal*, prevista quest'anno, si discuterà di un accordo globale per proteggere il 30% delle terre e degli oceani. Ma cosa significa impegnarsi nella tutela delle specie animali e vegetali? Per scoprirlo ci siamo recati alle "Bolle di Magadino", una zona protetta di importanza internazionale nel sud della Svizzera.

“Sul lungo termine, se perde la natura siamo perdenti tutti!”.  È così che mi risponde Nicola Patocchi quando gli chiedo di raccontarmi alcuni dei successi e delle sconfitte che ha vissuto nei venticinque anni in cui è stato direttore scientifico della Fondazione Bolle di Magadino.

Siamo su una terrazza da cui si gode di una vista magnifica sulla parte settentrionale del Lago Maggiore. Patocchi mi indica un gruppo di cervi che attraversa le acque poco profonde e poi scompare nel canneto, una delle caratteristiche principali della sottostante zona palustre: le Bolle di Magadino, appunto.

Definire questo territorio di circa 2,5 chilometri quadrati “palude” è però riduttivo. Si dovrebbe parlare di “zona umida di importanza internazionale riconosciuta dalla Convenzione di Ramsar”, il primo trattato intergovernativo riguardante la conservazione e la gestione degli ecosistemi naturali, siglato a Ramsar, in Iran, nel 1971. 

L’Ufficio federale dell’ambiente, contattato da SWI swissinfo, precisa che il 13,4% del territorio nazionale è designato alla protezione della biodiversità. Stando al database internazionale protectedplanet.netCollegamento esterno, che ci permette di fare un paragone internazionale, la superficie protetta in Svizzera è del 12,13%, percentuale che fa della Confederazione il fanalino di coda d’Europa. A titolo di paragone, la percentuale dell’Italia è del 21,52%, quella della Francia del 28%, l’Austria è al 29,28%, la Germania al 37,45% e il Lussemburgo addirittura al 51,34%. 

In occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (COP15) in programma quest’anno a Montreal, in Canada, dovrebbe essere sottoscritto un Accordo quadro di azione globaleCollegamento esterno i cui obiettivi includono l’estensione di aree dedicate alla protezione della biodiversità. Entro il 2030, dovrà essere protetto il 30% delle terre e degli oceani (obiettivo 30×30).

Secondo un rapporto dell’ONU del 2019Collegamento esterno, circa un milione di specie è a rischio estinzione e molte potrebbero sparire entro pochi anni, a meno che non si faccia qualcosa per impedirlo. “Senza misure in tal senso”, si legge, “il tasso di estinzione che è già decine, se non centinaia di volte più alto della media degli ultimi 10 milioni di anni, accelererà ulteriormente.”

L’ambizioso scopo della COP15 è interrompere il calo della biodiversità entro il 2030 e di iniziarne il ripristino entro il 2050. 

È cruciale riuscire a frenare questo declino, sostiene Cornelia Krug, scienziata dell’Università di Zurigo, direttrice di bioDiscoveryCollegamento esterno e coautrice dello studioCollegamento esterno che fornisce la base scientifica all’Accordo quadro discusso nell’ambito della COP15.

“Con la perdita delle specie, tutte interconnesse tra di loro, svaniscono le funzioni della natura che formano il tessuto della vita, che dà sostegno anche agli esseri umani”, dice Krug, che sottolinea come la scienza non è in grado di individuare quali e quante specie permettono al sistema di restare solido. La biologa fa l’esempio di una scala a pioli in legno: “La sparizione di una specie è come una piccola crepa in uno dei gradini. Anche se rovinato, potrebbe reggere. Ma basta una sola crepa di troppo e tutto si spezza”.

Inoltre, aggiunge la scienziata, “a rischio è anche la nostra identità, il nostro senso di appartenenza, la nostra ‘casa’, che è formata dalla natura e dalla biodiversità. Se siete cresciuti in una determinata zona, vi ricorderete del particolare odore di una foresta o del canto degli uccelli. Tutto questo sparirà, se non si protegge la biodiversità.”

Un tempo, la pianura che si estende da Bellinzona a Locarno, oggi a vocazione agricola e industriale, era una zona alluvionale in cui il fiume Ticino scorreva in un sistema a treccia. Un ambiente dinamico e in continua trasformazione a causa di inondazioni anche molto violente.

I lavori di bonifica (iniziati nel 1888 e terminati nel 1939) non sono stati però possibili presso la foce del Ticino, dove non è solo il fiume ad agire provocando frequenti inondazioni, ma anche il lago e la falda sottostante.

Questo fazzoletto di territorio è rimasto intatto e ha cominciato a crescervi, pian piano, un bosco di tipo umido. Ciò è stato possibile a causa dell’incanalamento che ha “ammansito” il fiume ed ha eliminato la dinamica alluvionale.

L’ambiente è così diventato meno fluviale e più palustre, le “Bolle” che conosciamo oggi.

In questa cartina, che mette a confronto una mappa topografica del 1862 con le attuali immagini aeree, è possibile vedere chiaramente come questa zona del territorio ticinese sia cambiata con i lavori di bonifica, iniziati nel XIX secolo e terminati nel 1939. Evidente, nella cartina più vecchia, è il “sistema a treccia” del fiume, alla cui foce troviamo oggi le Bolle di Magadino.    

Contenuto esterno

Etichettare vaste zone di territorio come aree protette, però, non basta. Per promuovere la biodiversità, è importante disporre di un ampio ventaglio di ecosistemi diversi, ognuno dei quali attira e dà sostentamento a determinate specie.

Le Bolle di Magadino da questo punto di vista sono esemplari. Le condizioni che le rendono così speciali sono strettamente legate al comportamento del Lago Maggiore su cui si affacciano.  Il Verbano ha un bacino imbrifero di notevoli dimensioni e un’uscita piccola e stretta da cui l’acqua defluisce solo lentamente. Le piogge quasi monsoniche che caratterizzano la regione possono provocare un rapidissimo innalzamento del livello del lago, che inonda regolarmente la riserva naturale. Nonostante la presenza in territorio italiano di una diga che permette in parte di controllare i livelli, le fluttuazioni estreme non ne sono influenzate (la differenza tra il livello minimo e massimo del lago è di ben sei metri).

“Gli animali e le piante che troviamo qui hanno le caratteristiche specifiche che permettono loro di sopravvivere in un ambiente selettivo”, dice Patocchi. In altre parole, ci sono specie che altrove non si trovano poiché capaci di adattarsi, spesso con metodi ingegnosi, ad ambienti instabili.

Un esempio è il ragno d’acqua (Argyroneta acquatica) che, per sfuggire ai predatori, si rifugia sott’acqua, dove riesce a respirare grazie a una sacca d’aria che costruisce con la tela. Un vero sommozzatore della natura.

Oppure il piro piro piccolo (Actitis hypoleucos), un uccello trampoliere che nidifica al suolo e si nasconde tra la vegetazione pioniera, ovvero quella che riesce a colonizzare per prima gli ambienti distrutti dalle piene.   

Ragno e volatile
Il ragno d’acqua e il piro piro piccolo sono due dei peculiari abitanti delle Bolle di Magadino. AFP

Una “stazione di servizio” per i migratori

L’importanza internazionale delle Bolle di Magadino è però dovuta soprattutto al fatto che rappresenta una tappa importante sul corridoio di migrazione per gli uccelli, specialmente durante la primavera, quando i volatili si spostano dall’Africa alle zone di nidificazione dell’Europa settentrionale.

L’area si trova a bassa quota (circa 200 mslm) ed è ricca di insetti. Qui i migratori possono arrivare facilmente e abbuffarsi, facendo così il pieno d’ energia necessario per affrontare una delle tappe più impegnative del viaggio: la traversata delle Alpi. Una stazione di servizio per gli uccelli, insomma. 

“È la funzione più importante dei siti ramsar da un punto di vista globale”, spiega Cornelia Krug, secondo cui è vitale non considerare queste zone dei luoghi isolati, ma parte di una rete molto più vasta che unisce innumerevoli altre aree.

Scimmiottare la natura

Pensare che questo delicato equilibrio sia autonomo e autosufficiente sarebbe però un errore. La gestione delle Bolle di Magadino richiede un continuo intervento umano per garantire la continuità dei processi ecologici. Alcuni di questi sono ormai persi, ma possono essere imitati con “lavori di estetismo”, spiega Patocchi, facendo l’esempio dell’ormai assente dinamica alluvionale del Ticino. ” Il fiume, in una notte di piena, avrebbe scavato dieci stagni. Ormai non è più così, ma con uno scavatore è possibile realizzarne uno, dove si ricrea un biotopo che ci interessa”.

Attualmente sono in corso dei lavori per ripristinare il canneto nelle aree delle Bolle occupate dal salice cinereo. Ambedue questi biotopi sono tipici della riserva, ma si è valutato che il canneto rappresenti un ambiente molto più interessante per le specie prioritarie da promuovere in SvizzeraCollegamento esterno.

Silos
Le Bolle di Magadino sono state decretate area protetta nel 1974 ma proprio nel loro cuore, alla foce del fiume Ticino, per molto tempo è rimasta in attività un’azienda che si occupava dell’estrazione di sabbia e ghiaia e della lavorazione del cemento – decisamente poco in armonia con la salvaguardia della biodiversità! Ci sono voluti oltre 30 anni e l’intervento dei media, della politica e del Tribunale federale per spostare l’attività altrove, nel 2006. La successiva rinaturazione della foce è valsa al Cantone e alla Fondazione Bolle di Magadino il “Premio Corsi d’acqua 2011”. Keystone / Karl Mathis

Problemi di vicinato

Un altro aspetto del lavoro di Patocchi è quello che si potrebbe definire “diplomatico”. Una delle caratteristiche della Svizzera è il suo territorio circoscritto e densamente popolato, perlomeno a bassa quota.  Gli interessi dell’area protetta, della sua fauna e della sua flora vanno quindi costantemente messi a confronto con gli interessi contrapposti dei vicini e vanno difesi, dati scientifici alla mano.

A livello locale, una delle maggiori preoccupazioni del biologo è il vicino aerodromo. Uno studioCollegamento esterno svolto dalla Fondazione Bolle di Magadino ha dimostrato che c’è una correlazione diretta tra la frequenza dei voli e il peso non accumulato dagli uccelli migratori che atterranno nell’area protetta.

La velocità e le sagome dei velivoli ricordano quelle dei predatori e gli uccelli di passo, spaventati, si nascondono anziché nutrirsi. I pochi giorni di sosta, quindi, non bastano per ricaricarsi di energie e “ripartono con il serbatoio mezzo vuoto e questo ne aumenta notevolmente la mortalità lungo il tragitto verso i territori di riproduzione”, indica Patocchi. È emerso che per due specie migratorie di riferimento (il luì piccolo e il pettirosso) il disturbo legato ai sorvoli ha come conseguenza un mancato incremento orario della massa dei volatili compreso tra il 15% e il 25%.

Dall’altro lato, la priorità dell’aerodromo è garantire la sicurezza. Uno dei rischi più noti dell’aviazione è il fenomeno del “bird strike”, gli incidenti provocati dall’impatto di un uccello con un aereo. Per questo le direttive di sicurezza aeroportuale chiedono che gli uccelli più rischiosi siano allontanati dalle traiettorie di decollo e atterraggio. “Con le buone o con le cattive”, sottolinea il biologo.

La vicinanza a un santuario per i volatili rischia quindi di essere problematica. “Per fortuna, non ci sono mai stati incidenti gravi, ma se malauguratamente accadesse, in tutta probabilità ci troveremmo davanti a un ‘fattore killer'”, teme Patocchi. L’aerodromo o l’area protetta: uno dei due rischierebbe di dover sparire.

Un compromesso non è stato ancora trovato. Un nuovo regolamento di esercizio che tiene conto anche di diversi aspetti legati alla convivenza con la riserva naturale è al vaglio delle autorità federali, accanto a un progetto infrastrutturale che prevede un’estensione dello scalo.

Una risposta si sta facendo attendere da tempo. In un recente articolo d’opinioneCollegamento esterno pubblicato dal quotidiano ticinese “La Regione”, il parlamentare Fabio Regazzi, presidente dell’Unione svizzera delle arti e dei mestieri (USAM), ha denunciato l’”impasse” in cui il progetto sembra essersi arenato a livello federale. “Sono pronto a ritornare alla carica affinché questo progetto possa venir finalmente realizzato nell’interesse di tutti, compresa l’avifauna delle Bolle di Magadino”, scrive Regazzi, il quale ha già presentato diverse interpellanze parlamentari sulla questione.

Aeroporto in una pianura
L’aerodromo si trova a circa 500 metri di distanza dalle Bolle di Magadino. È uno scalo civile e militare e ospita anche il servizio di elisoccorso REGA. Ogni anno, i movimenti registrati (atterraggi e decolli) sono tra i 30’000 e i 50’000. Keystone / Alessandro Della Bella

Tra i vicini con cui bisogna confrontarsi si annovera anche l’Italia, nel cui territorio si trova circa l’80% del lago Maggiore. Una  diatriba transnazionale di lunga data contrappone gli interessi dell’agricoltura della Pianura padana con i comuni sulle rive del Verbano.

Questi ultimi auspicano un mantenimento del livello medio del lago più basso, in modo da limitare il rischio di inondazione in caso di piogge forti e improvvise. Chi vive grazie all’agricoltura poco più a sud, invece, vorrebbe un livello del lago alto durante i mesi invernali per garantire un approvvigionamento idrico durante i periodi di siccità. “Nel 2021 […], il raccolto si è salvato soltanto grazie a un temporale estivo inaspettato”, ha recentemente dichiarato un agricoltore a tvsvizzera.it.

L’impatto di un livello medio più alto sarebbe importante anche per le Bolle di Magadino. Mezzo metro di acqua in più in primavera “soffocherebbe” circa 60 ettari di palude, spiega Patocchi.

Per portare sul tavolo delle trattative l’interesse dell’area protetta, la Fondazione sta attualmente partecipando a uno studio interregionale che coinvolge la stazione di cattura e inanellamento degli uccelli presente nelle Bolle e un radar, posizionato a qualche chilometro di distanza, che monitora il passaggio dei volatili nei cieli sovrastanti. Lo scopo è capire quale influenza abbia il livello dell’acqua sulla decisione degli uccelli migratori di fermarsi nell’area di servizio a fare il pieno.

Una garanzia contro il cambiamento climatico

A livello transnazionale non c’è solo contrasto. Un importante progetto di rivalorizzazione del fiume TicinoCollegamento esterno, dalle sue sorgenti in Svizzera alla sua foce nel Po’, vicino a Pavia, sta attualmente coinvolgendo gli enti responsabili della gestione delle aree protette dalle due parti del confine, diverse ONG e le pubbliche amministrazioni.

Si tratta di un unico grande corridoio ecologico che trascende i confini e di cui le Bolle di Magadino sono parte integrante.

Fare in modo che la biodiversità vi si sviluppi non è solo nell’interesse degli ornitologi. Le poche zone rimaste in cui si può osservare una grande biodiversità sono minacciate dall’attività umana e dal cambiamento climatico. “Con l’aumento delle temperature, rischiano di crearsi delle discrepanze, per esempio, tra quando gli uccelli decidono di spostarsi e il momento in cui abbondano insetti e cibo”, dice Krug. A ciò si aggiungono gli eventi estremi che il cambiamento del clima provocherà con sempre più frequenza: tempeste, frane, incendi e lunghi periodi di siccità a cui piante e animali potrebbero faticare a resistere.

Al contempo, questi hotspot rappresentano una garanzia contro gli stravolgimenti del clima. Ad esempio, “le zone umide riescono a raccogliere l’acqua in eccesso e proteggere le aree circostanti dalle inondazioni”, indica Krug, “e possono anche assorbire l’anidride carbonica in eccesso nell’atmosfera e immagazzinarla nella vegetazione e nel suolo”.

“È il buon senso che lo dice: tutte le misure a sostegno della biodiversità sono anche misure a favore della mitigazione delle conseguenze del cambiamento climatico”, le fa eco Patocchi. “Più c’è biodiversità, più un sistema ha la capacità concreta di adattarsi, perdendo biodiversità il sistema diventa rigido e si spezza”. Proprio come il gradino danneggiato di una scala in legno.

Agli occhi del mondo scientifico, Krug e Patocchi compresi, l’obiettivo del 30×30 è dunque del tutto ragionevole. Per il biologo “diplomatico” delle Bolle di Magadino, un accordo internazionale come quello di Montreal sarà una carta in più da giocare per spronare le autorità, l’opinione pubblica e la democrazia ad agire per estendere quantitativamente e qualitativamente l’infrastruttura ecologica prima che la natura, e tutti quanti con lei, perdano.

*Il 21 giugno è stato annunciato che la conferenza sulla biodiversità COP15, inizialmente prevista a Kunming, in Cina, si terrà a Montreal, in Canada, tra il 7 e il 19 dicembre 2022. La decisione è stata presa in seguito alle “persistenti incertezze legate alla pandemiaCollegamento esterno“. La Cina manterrà comunque la presidenza.  

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Dibattito
Moderato da: Zeno Zoccatelli

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