Il reale valore del commercio è ancora tutto da valutare
La rapida crescita del commercio delle materie prime in Svizzera ha spesso riempito le prime pagine dei giornali. Tuttavia, il reale contributo del settore all'economia elvetica non è ancora stato stabilito con esattezza.
Le cifre più significative sono impressionanti: l’utile lordo è passato da 1,3 miliardi di franchi nel 2001 a 20 miliardi nel 2011. Il settore del commercio delle materie prime contribuisce nella misura di circa il 3,5% alla produzione economica della Svizzera. Una percentuale superiore a quella del turismo o dell’ingegneria meccanica.
Ginevra è diventata la principale piattaforma mondiale per il commercio del petrolio, mentre le aziende con sede a Zugo hanno conquistato grosse fette di mercato nel campo dei metalli e dei minerali. A ciò si aggiunge il ruolo preponderate svolto da città quali Lugano, Zurigo, Lucerna e Winterthur.
Da tempo, le organizzazioni non governative (ong) sollevano tuttavia dubbi sulla percentuale degli utili di queste aziende che viene versata, sotto forma di imposte, alle casse federali e alle comunità locali.
«L’industria delle materie prime è di gran lunga il settore con la crescita più rapida in Svizzera. Il suo impatto a livello locale è però più che altro simbolico», afferma a swissinfo.ch Oliver Classen, portavoce dell’ong svizzera Dichiarazione di Berna.
«La parte dei profitti che va a beneficio dell’economia elvetica non è certo trascurabile. Ma è sproporzionata rispetto alla quantità di denaro generata dalle società commerciali e non è paragonabile al contributo fornito da altri settori industriali».
Dibattito fiscale
I dati disponibili sugli affari condotti dai giganti del settore sono limitati. Le aziende sono in effetti in mano a privati e gli accordi fiscali conclusi con i cantoni che le ospitano sono avvolti da un velo di segretezza. Un’analisi specifica del governo svizzero, che dovrebbe concludersi entro la fine dell’anno, potrebbe fornire alcune risposte. Bisognerà comunque vedere quante e quali informazioni verranno rese pubbliche.
Al momento soltanto la Banca nazionale svizzera segue l’evoluzione del settore, misurando il volume del commercio di transito (vale a dire l’acquisto e la vendita di merci, che non sono né prodotte né esportate o importate dalla Svizzera).
Una cifra che ritorna spesso è 11%. Si tratta del tasso medio d’imposizione che i cantoni applicano alle aziende che generano la maggior parte dei loro profitti all’estero. Gli imprenditori che non beneficiano di tali trattamenti preferenziali sono sottoposti a una tassazione di circa il 24%.
Questo “privilegio” fiscale accordato ad alcuni grandi gruppi attivi nelle materie prime, così come a multinazionali di altri settori, è stato a volte esagerato, ritengono le autorità elvetiche. Quest’anno, il gruppo minerario brasiliano Vale, che ha la sua sede nel canton Vaud, ha così dovuto presentarsi in tribunale per rispondere del mancato pagamento di circa 200 milioni di franchi d’imposte.
Le aziende attive nel settore delle materie prime hanno a volte la sensazione di essere accusate ingiustamente di non riversare sufficienti contributi al paese che le ospita. Contattata da swissinfo.ch, l’associazione LCTA (Lugano Commodity Trading Association) sottolinea che, statistiche ufficiali alla mano, un quarto delle imposte versato dalle imprese alla città di Lugano nel 2009 proviene dall’industria delle materie prime.
Concorrenza estera
Anche l’Unione europea sta esercitando pressioni sulla Svizzera affinché ponga fine alle pratiche fiscali “sleali” adottate dai cantoni per attirare le aziende straniere, non solo nel campo delle materie prime.
Se la Svizzera dovesse piegarsi a tale richiesta e modificasse il suo sistema fiscale, numerosi cantoni, tra cui Ginevra e Vaud, potrebbero perdere decine di milioni di entrate fiscali ogni anno.
In questo scenario, la Svizzera potrebbe anche farsi scappare le grandi multinazionali e con esse i loro profitti, avverte Marco Passalia, segretario della LCTA
«Non dobbiamo dimenticare che paesi quali Singapore e Malesia tentano di attirare queste aziende proponendo forti incentivi fiscali», spiega a swissinfo.ch.
Anche se numerose aziende attive nel commercio delle materie prime sono sospettate di non versare la totalità delle imposte sul reddito, i loro collaboratori sono ben pagati, devono versare i contributi fiscali e spendono soldi in Svizzera.
Effetto a cascata
L’anno scorso, i miliardi accumulati dall’amministratore delegato di Glencore, Ivan Glasenberg, e da altri top manager al momento dell’entrata in borsa del gigante minerario, sono andati a beneficio anche della popolazione di Rüschlikon, il suo comune di residenza nel canton Zurigo.
Grazie all’inaspettata pioggia fiscale, che ha portato 55 milioni di franchi nella cassa pubblica, Rüschlikon ha potuto ridurre le imposte comunali del 5%.
Questi esempi estremi sono comunque rari. E le voci critiche ritengono che il numero di lavoratori del settore non sia abbastanza grande per avere ripercussioni significative sull’insieme dell’economia elvetica.
Scovare quante persone sono impiegate dalle società commerciali di materie prime è però altrettante difficile che calcolare il montante complessivo versato alle autorità fiscali.
L’associazione mantello ginevrina, la Geneva Trading and Shipping Association, stima il suo organico locale a circa 5‘000 persone. A queste si aggiungono le circa 2’500 persone attive nei settori annessi (finanza, assicurazioni, servizi giuridici e d’ispezione).
Le circa 70 aziende di commodity trading basate a Lugano impiegano un migliaio di collaboratori, stando alla LCTA. L’associazione mantello di Zugo (Zug Commodity Association) stima dal canto suo che nella Svizzera tedesca si siano insediate un centinaio di società. Non esistono tuttavia cifre sul numero di lavoratori.
Come per altri aspetti che concernono la riservata industria delle materie prime, una maggiore trasparenza permetterebbe di stabilire il suo reale impatto sulla vita della gente. A meno che le autorità federali non riescano a evidenziare con precisione il quadro della situazione, e a renderne pubblici i dati, la Svizzera sarà sempre più sotto pressione, afferma Oliver Classen della Dichiarazione di Berna.
Città svizzere come Winterthur, Lucerna e Losanna hanno una lunga tradizione nel negozio di materie prime, come il cotone o il caffè. Ciò è soprattutto dovuto alla posizione centrale della Svizzera in Europa.
La società dei fratelli Volkart, con sede a Winterthur, ha avuto un grande successo con il commercio di cotone, caffè e spezie, e ha aperto una filiale nello Sri Lanka e in India nel 1857.
L’Union Handels-Gesellschaft AG (Unione Società Commerciale SA) di Basilea è stata una delle prime società a commerciare fave di cacao.
Dopo le due guerre mondiali, i commercianti di materie prime hanno iniziato a interessarsi maggiormente alla neutrale Svizzera, la cui economia e la struttura politica avevano superato indenni i conflitti.
Le prime società di commercio di cereali si erano insediate a Ginevra già negli anni 1920, mentre la Svizzera ha offerto un campo neutro alle società statunitensi che avevano scambi con i paesi del blocco dell’Europa dell’Est durante la guerra fredda.
La popolarità di Ginevra quale destinazione dei viaggiatori del Medio Oriente ha avvantaggiato la città sulle rive del Lemano quando l’industria del petrolio si è fortemente sviluppata nella regione. I commercianti di petrolio sono poi stati raggiunti da mercanti di cotone in fuga dall’Egitto negli anni 1960.
I gruppi petroliferi russi sono giunti in Svizzera negli anni 1990. È così che Zugo è diventata una piazza del commercio di materie prime.
Alcune delle più grandi società di estrazione e commercio di materie prime a livello mondiale hanno sede in Svizzera. Tra queste ci sono: Glencore, Xstrata, Trafigura, Vitol, Gunvor, Litasco, Mercuria, ADM, Bunge, Cargill, Dreyfus, Holcim e il Gruppo Kolmar.
Traduzione dall’inglese di Luigi Jorio
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