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La svolta ecologica sprona i giganti delle materie prime a ripulire la filiera dei minerali

Piana sterrata con veicoli da cantiere, gru e -nascosti da impalcature- diversi edifici in costruzione
Imponenti progetti di estrazione del nichel sono in corso in Nuova Caledonia. Lo scorso anno, i piani per vendere un'importante miniera a un consorzio straniero guidato da Trafigura hanno incontrato una forte opposizione locale. © Biosphoto / Thibaut Vergoz - Droit Géré - Oeuvre Protégée Par Copyright

I produttori di auto elettriche e altre aziende del settore delle energie rinnovabili cercano di avere maggior controllo sul rispetto di criteri sociali e ambientali lungo le loro catene di approvvigionamento. Spingendo così i giganti delle materie prime a uscire dall'ombra.

Per soddisfare gli obiettivi della lotta ai cambiamenti climatici, la domanda di minerali e metalli come cobalto, rame e nichel usati nelle tecnologie verdi quali la produzione di batterie ricaricabili è destinata a crescere esponenzialmente. L’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) stima che, per raggiungere la neutralità nelle emissioni di gas serra entro il 2040, ne serviranno quantità almeno sei volte maggiori. La domanda di alcuni elementi come il litio potrebbe aumentare di 40 volte.

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Ma mentre le aziende profittano del boom, regna lo scetticismo sulla sostenibilità dei grandi progetti di estrazione mineraria, considerati essenziali per la transizione ecologica. Molti minerali sono sono concentrati in pochi Paesi, e la ricerca per assicurarsene quel che rimane porta le imprese in regioni sempre più remote come la cordigliera delle Ande e l’Artico, ponendo nuove questioni sociali e ambientali.

“Una svolta ecologica può essere usata come argomento per insediare una nuova industria che porta alla repressione delle attività commerciali delle popolazioni indigene”, ha dichiarato a inizio settembre la presidente del parlamento Sami della Norvegia Aili Keskitalo, di fronte alla platea dello Swiss Green Economy Symposium (SGES). I Sami, unico popolo aborigeno ufficialmente riconosciuto in Europa, hanno lottato contro la costruzione nel nord del Paese scandinavo della prima miniera di rame a emissioni zero al mondo (100% elettrica e alimentata da fonti rinnovabili).

Di seguito una breve intervista (in inglese) con Aili Keskitalo:

Azioni legali, violente proteste e il clamore suscitato dalla rapida espansione dei progetti di estrazione in molte parti del mondo hanno spinto i produttori di automobili elettriche a esaminare minuziosamente le loro catene di approvvigionamento di minerali e metalli. Le leggiCollegamento esterno proposte dall’Unione Europea sono un ulteriore stimolo per i fabbricanti di batterie ad affrontare la questione dei rischi sociali nella filiera.

Un importante anello della catena sono le multinazionali con quartier generale in Svizzera come Glencore, Mercuria e Trafigura, attive nell’estrazione, la lavorazione, la spedizione e la vendita di metalli vili (base metalsCollegamento esterno). Circa il 60% del commercio internazionale di zinco, rame e alluminio è trattato in Svizzera. Benché non tocchino neppure il suolo elvetico, molti metalli e minerali -specie quelli dei giacimenti più piccoli- passano tra le mani dei trader svizzeri di materie prime.

“L’offerta è limitata. L’industria nel suo insieme e Glencore in particolare stanno lavorando duramente per sviluppare i progetti che possano soddisfare la domanda”, ha riferito la responsabile sviluppo sostenibile di Glencore Anna Krutikov durante una tavola rotonda allo SGES. Al contempo, “mentre cerchiamo di fornire nuovi materiali, teniamo ben presenti i rischi di non fare le cose secondo i tempi e i modi giusti”.

Poiché le aziende tecnologiche “verdi” come Tesla prendono questi rischi sempre più sul serio, infatti, molte di esse stanno applicando severi requisiti di tracciabilità e sostenibilità alle materie prime che hanno un effetto a catena su chi commercia metalli.

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Il dilemma del cobalto

Nella Repubblica democratica del Congo (RDC), le sfide di un approvvigionamento responsabile sono evidenti come in nessun altro Paese. Pochi metalli sono problematici quanto il cobalto. Oltre il 60% di questo elemento -un prodotto secondario dell’estrazione di rame e nichel- viene dalla RDC, e si stima che il 15-30% di questa quota provenga da estrazioni artigianali e su piccola scala (conosciuta come ASM, da Artisanal and small-scale mining). Il cobalto è una componente essenziale delle batterie ricaricabili agli ioni di litio con cui alimentiamo telefonini, computer portatili e auto elettriche.

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Numerosi rapporti hanno documentato cattive condizioni di lavoro nell’ASM, così come un diffuso lavoro minorile e problemi di sicurezza. Nel 2019, un’associazione di difesa dei diritti umani ha intentato un’azione legale per conto delle famiglie congolesi che accusavano i giganti tecnologici Tesla, Apple, Microsoft e altri di essere complici di miniere che sfruttano manodopera minorile per fornire cobalto. La denuncia chiamava in causa Glencore e asseriva che le aziende avrebbero dovuto sapere che le miniere gestite da questa e altre società da cui proveniva il cobalto utilizzavano il lavoro minorile forzato.

In risposta, alcuni produttori di auto elettriche e batterie hanno minacciato di smettere di rifornirsi nella RDC, altri hanno bandito dalle loro catene di approvvigionamento il cobalto proveniente dall’ASM, mentre alcuni stanno intervenendo più incisivamente nella gestione dei rischi legati alla produzione di cobalto.

Nel 2020, Tesla ha firmato con Glencore -che gestisce due miniere in Congo- un accordo per 6’000 tonnellate di cobalto che rispetti “gli standard sociali e ambientali” dell’azienda statunitense. In agosto, la multinazionale con sede a Baar, nel Canton Zugo, ha siglato altri contratti per la fornitura di cobalto di origine etica con due produttori di accumulatori (Britishvolt e un’azienda norvegese).

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Diversi approcci

Tali accordi commerciali hanno portato Glencore e Trafigura, che hanno enormi interessi nella crescente domanda di cobalto, a investire fortemente in una produzione tracciabile e responsabile del metallo. Ma i loro diversi approcci rivelano le sfide legate a una rapida pulizia della catena di approvvigionamento.

Glencore mantiene una netta separazione tra l’ASM e la produzione industriale. La società non acquista dal settore artigianale nella RDC poiché comporta troppi rischi ed è il più grande produttore industriale di cobalto al mondo, dichiara a SWI swissinfo.ch la portavoce di Glencore Sarah Antenore.

La multinazionale sta però investendo in un miglioramento della situazione per i minatori su piccola scala attraverso la Fair Cobalt Alliance, che riunisce i partner della filiera per far progredire le condizioni di impiego e sradicare il lavoro minorile.

Trafigura, che ha i diritti di commercializzazione su tutto il cobalto prodotto dall’azienda congolese Chemaf, ha un approccio diverso. La società ha firmato un accordo per comprare metallo ASM dalla Entreprise Générale du Cobalt (EGC), fondata in marzo dal governo della RDC per acquistare, raffinare e rivendere tutta la produzione artigianale e su piccola scala del Paese.

“L’industria non è pienamente allineata né del tutto impegnata a far progredire la situazione in Congo.”

Dorothée Baumann-Pauly, Geneva Center for Business Human Rights

James Nicholson, incaricato della responsabilità aziendale di Trafigura, ha sostenuto in un recente intervento alla Antaike Battery Metals ConferenceCollegamento esterno che sarebbe “illogico e controproducente escludere l’ASM dalla produzione di cobalto”.

In collaborazione con diverse ONG, Trafigura sta allestendo zone di estrazione artigianale coperte da controlli dei requisiti sociali e ambientali basati sugli standard per un approvvigionamento responsabileCollegamento esterno di EGC. L’accordo con l’impresa governativa contempla anche un migliore tracciamento attraverso speciali contenitori a prova di manomissione e la tecnologia blockchain.

Mentre le aziende fanno grandi investimenti, alcune ONG e osservatori del settore sono preoccupati dal fatto che non esista uno standard esteso a tutte le industrie, che possa essere impiegato affinché esse si mantengano responsabili.

“Il fatto che ci siano due o anche più teorie su come migliorare la situazione nell’ambito dell’approvvigionamento responsabile di cobalto ASM dalla RDC mostra che l’industria non è pienamente allineata né del tutto impegnata a far progredire la situazione in Congo”, sostiene Dorothée Baumann-Pauly. Direttrice del Geneva Center for Business Human Rights (GCBHR), ha lavorato con la Global Battery Alliance e i suoi partecipanti allo sviluppo di criteri condivisi nel rifornimento responsabile di cobalto ASM.

Grandi opportunità

Malgrado i progressi di Glencore e Trafigura, molti settori dell’industria delle materie prime avanzano lentamente, nell’affrontare i rischi della catena di approvvigionamento. Secondo un recente studioCollegamento esterno condotto dalla Reponsible Minig Foundation su 25 imprese, solo il 23% di esse applica norme di diligenza sociale e ambientale e ancor meno rivela la conformità del fornitore alle aspettative.

Il governo svizzero ha cercato di tenere a bada il settore, ma osservatori indipendenti affermano che le linee guida volontarie hanno prodotto pochi risultati. È una delle ragioni per cui fu promossa l’iniziativa “Per imprese responsabili”, bocciata in votazione popolare lo scorso novembre, che avrebbe chiamato le aziende a rispondere delle conseguenze sociali e ambientali dell’operato delle proprie controllate all’estero.

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La strada è ancora lunga, afferma Dorothée Baumann-Pauly. Alcune imprese stanno mettendo a punto progetti di tracciamento per beni specifici, ma la maggior parte di esse non è in grado di disegnare la mappa della propria catena di fornitura fino alla fonte. “La domanda di trasparenza nelle catene di approvvigionamento non farà che crescere in futuro. L’industria del commercio delle materie prime capisce queste aspettative ma non è ancora pienamente preparata a soddisfarle”, spiega.

Le enormi opportunità di capitalizzare sulla domanda di metalli “de-carbonizzanti” potrebbero rivelarsi lo stimolo decisivo per cambiare il settore, ritiene l’ex bancario Gerard Reid, oggi consulente per aziende del segmento energie rinnovabili attraverso Alexa Capital. Questo è particolarmente vero dacché le aziende europee cercano fornitori al di fuori della Cina, che controlla una quota crescente del mercato dei minerali. La Cina elabora già circa il 90% del cobalto e ha acquistato partecipazioni in grossi progetti di estrazione mineraria di nichel, zinco e rame.

Ma da chi commercia materie prime ci si aspetterà di più in materia di lotta alla corruzione, tracciamento delle emissioni di gas serra e protezione dei lavoratori. “Dovranno aumentare la trasparenza”, conclude Reid. “È quel che è richiesto oggigiorno. Altrimenti, i clienti andranno altrove”.

Traduzione dall’inglese di Rino Scarcelli

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