Cessato allarme per le patatine all’acrilamide

Le patatine fritte non sono a rischio di cancro, anche se la sostanza che contengono, nota come acrilamide, è ritenuta pericolosa dagli esperti.
È il risultato di studi condotti in Svizzera ed in Italia, anticipato dalla rivista scientifica International Journal of Cancer.
Gli amanti di corn flakes e chips possono tirare un sospiro di sollievo.
Il consumo abituale di patate fritte e cereali tostati non comporta un aumento del rischio di tumori dell’apparato digerente, nonostante contengano acrilamide, un composto chimico considerato “probabilmente cancerogeno” dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.
Il messaggio rassicurante viene dall’Università di Losanna, che ha condotto uno studio epidemiologico sulla popolazione svizzera.
La ricerca, effettuata in collaborazione con l’Istituto Mario Negri dell’Università di Milano, esclude un aumento del rischio di cancro per i consumatori di questi alimenti.
Allarme acrilamide
L’acrilamide è una sostanza tossica usata nella fabbricazione delle vernici e della carta. L’anno scorso, un gruppo di ricercatori dell’Università di Stoccolma, in Svezia, ha scoperto che diversi alimenti, tra cui le patate fritte, i cereali tostati, i biscotti e certi tipi di pane, ne contengono quantità elevate. La sostanza si sviluppa quando l’amido viene cotto ad alta temperatura.
L’annuncio della scoperta svedese ha suscitato grande preoccupazione nell’opinione pubblica, tanto che alcune industrie alimentari hanno modificato i loro procedimenti di lavorazione per ridurre l’esposizione dell’amido al calore e la concentrazione dell’acrilamide nei prodotti.
A gennaio di quest’anno, l’allarme è parzialmente rientrato grazie ad uno studio condotto da epidemiologi della Harvard University di Boston, che hanno passato in rassegna la dieta quotidiana di mille e cinquecento volontari, alcuni sani, altri malati di tumore. La ricerca americana ha dimostrato che non c’è alcun legame tra il consumo di alimenti ad alto contenuto di acrilamide ed il rischio di tumore all’intestino, ai reni e alle vie urinarie.
Lo studio di Losanna
Il risultato annunciato ora da Fabio Levi e dai suoi collaboratori dell’Istituto di medicina sociale e preventiva dell’Università di Losanna è più indicativo, perché ottenuto studiando un campione maggiore di popolazione: ventimila volontari, in parte svizzeri e in parte italiani.
Il resoconto del lavoro sarà pubblicato sul numero di luglio dell’International Journal of Cancer: “I dati, che abbiamo raccolto in collaborazione con l’Istituto Mario Negri di Milano, fanno parte di una ricerca generale sul rapporto tra alimentazione e rischio di cancro”, spiega Levi,
“Abbiamo presentato ai volontari un questionario dettagliato, chiedendo loro di indicare gli alimenti consumati abitualmente e le quantità. I risultati indicano chiaramente che il consumo di patate fritte o cotte al forno, cereali tostati, biscotti e pane non comporta alcun rischio aggiuntivo di contrarre tumori dell’apparato digerente, della mammella, delle ovaie e della laringe”, precisa il ricercatore.
Acrilamide comunque sospetta
L’effetto cancerogeno dell’acrilamide, per il momento, è stato provato solo su cavie animali in laboratorio, non sull’uomo. Per questa ragione, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato la sostanza come “probabilmente” cancerogena per l’uomo.
“Di certo l’acrilamide è tossica – conclude Fabio Levi – e la nostra ricerca non esclude che sia cancerogena per l’uomo. Abbiamo dimostrato che non comporta rischi di cancro nelle dosi presenti negli alimenti. Non escluderei la possibilità che il processo di digestione inattivi in qualche modo l’acrilamide contenuta nel cibo”.
Maria Cristina Valsecchi
Mangiare patatine fritte e cereali tostati non comporta un aumento del rischio di cancro, nonostante contengano acrilamide, un composto chimico considerato “probabilmente cancerogeno” dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.
Lo conferma uno studio epidemiologico condotto dall’Università di Losanna in collaborazione con l’Istituto Mario Negri di Milano.
La ricerca effettuata in Svizzera ed in Italia su un campione di 20 mila soggetti.

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