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Basma Mostafa, bersaglio della repressione egiziana anche in esilio

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Giornalista investigativa egiziana, Basma Mostafa non ha avuto altra scelta che fuggire dal suo Paese d’origine, dove la stampa indipendente subisce una pressione sistematica. Dal 2021 vive in Germania. Florian Boillot

Sorveglianza, intimidazioni, minacce: la giornalista egiziana Basma Mostafa subisce da diversi anni, in Germania e altrove, le rappresaglie del suo Paese d’origine. La sua storia illustra il fenomeno crescente della repressione transnazionale. Incontro a Ginevra.

Quando incontriamo Basma Mostafa nella discreta sala conferenze di un’ONG ginevrina, in un lunedì sera di canicola, nulla nel suo volto sorridente tradisce la paura costante che la abita. Giornalista investigativa egiziana in esilio in Germania, da anni subisce minacce, pressioni e sorveglianza da parte del suo Paese d’origine.

Oggi, Basma Mostafa incarna la lotta contro quella che viene definita repressione transnazionale: un fenomeno globale che comprende varie tattiche d’intimidazione volte a mettere a tacere le voci critiche all’interno delle diaspore. Eppure, nulla la predestinava a questo ruolo.

>> Per saperne di più su come si manifesta la repressione transnazionale in Svizzera, leggete il nostro articolo sull’argomento:

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Una vocazione nata nella tempesta

Basma Mostafa è cresciuta in un villaggio rurale a cinque ore di strada dal Cairo. Un’infanzia tranquilla, lontana dalle preoccupazioni politiche e dalle lotte per i diritti umani che oggi guidano il suo lavoro.

La svolta arriva nel 2011. Sull’onda della Primavera araba, scoppia la rivoluzione egiziana e Basma Mostafa, allora studentessa, si ritrova travolta dagli eventi. “Nel marzo 2011, mio padre è stato arrestato arbitrariamente dai militari. È scomparso per due settimane”, ricorda.

Nel tentativo di ritrovarlo, si reca in piazza Tahrir, epicentro della protesta. Lì incontra giornalisti e attiviste. “Il loro lavoro mi ha ispirata. Grazie a loro ho capito come i diritti umani venivano violati in Egitto. Ho visto che il giornalismo poteva avere un impatto reale. Questo mi ha spinta a seguire quella strada”.

Per diversi anni indaga sugli abusi dello Stato: sparizioni forzate, torture, esecuzioni extragiudiziali. Un lavoro rischioso. “È molto difficile condurre questo tipo d’inchieste in Egitto. Sono stata arrestata due volte”, racconta.

Sotto il regime del presidente Abdel Fattah al-Sissi – ex generale salito al potere con un colpo di Stato nel 2013 – l’Egitto conosce un inasprimento autoritario, segnato dalla concentrazione del potere e dalla repressione delle voci critiche. Secondo Reporters sans frontières, il Paese è diventato “una delle più grandi prigioni al mondo per i giornalisti”.

L’esilio

Nel 2020, Basma Mostafa lavora sull’“inchiesta di troppo”: l’omicidio presunto di un padre di famiglia egiziano da parte di un agente di polizia in un villaggio vicino a Luxor. Viene arrestata una terza volta, scompare per 24 ore e viene incriminata per appartenenza a un’organizzazione terroristica e diffusione di notizie false. “Rischiavo fino a 25 anni di carcere. Ho quindi deciso di fuggire”, dice.

Seguono nove mesi di vagabondaggio tra Kenya e Libano. Con il marito e le due figlie vive nell’incertezza. Presto la famiglia scopre che lasciare l’Egitto non basta per sfuggire al controllo del regime. “Durante tutto quel periodo, agenti egiziani ci hanno molestati”, afferma. A Nairobi, nell’hotel dove soggiornano, uomini li sorvegliano, stazionano davanti alla loro porta. Ogni volta che la famiglia passa, fanno telefonate in arabo, cercano d’intimidirli.

Alla fine, ottengono asilo in Germania. Basma Mostafa pensa di aver finalmente trovato un rifugio. “Credevo davvero che tutto questo sarebbe finito. Che in Germania saremmo stati finalmente al sicuro”, confida.

L’inizio di un incubo

Ma la tregua dura poco. Nel luglio 2022, viene a sapere che il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sissi è atteso a Berlino per incontrare il cancelliere tedesco dell’epoca Olaf Scholz. la giornalista tenta d’iscriversi alla conferenza stampa, ma la sua richiesta viene respinta. “Hanno detto che ero in ritardo con l’iscrizione, il che è falso. Ero furiosa. Ho capito che, anche qui, il potere egiziano poteva ostacolare il mio lavoro”.

“Oggi, sempre più persone riconoscono il problema della repressione transnazionale. Questo mi dà coraggio.”

Basma Mostafa, giornalista egiziana

Il giorno della visita ufficiale partecipa a una manifestazione. Anche lì viene presa di mira. Diversi uomini che parlano arabo la circondano, la insultano, uno di loro la colpisce al volto. “Da quel giorno, tutto è cambiato per me in Germania. La mia vita è diventata un incubo, che continua ancora oggi”.

Le intimidazioni si moltiplicano. Lei e i suoi cari ricevono nuove minacce, i suoi account sui social vengono piratati. Anche durante il suo primo viaggio a Ginevra, l’anno scorso, Basma Mostafa viene seguita fino all’hotel, affrontata da uomini che la minacciano di arresto. La paura s’insinua, e con essa l’isolamento.

Basma Mostafa evita i raduni della diaspora egiziana. “Mi isolo per proteggere i miei cari, ma anche per evitare confronti violenti in pubblico. Temo che uno sconosciuto mi accusi di tradimento davanti alle mie figlie. Mi fanno già tante domande: perché sei andata in prigione? Perché abbiamo dovuto lasciare l’Egitto? Quando rivedremo la nonna?”.

Un riconoscimento tardivo

Il caso di Basma Mostafa ha attirato l’attenzione di cinque relatrici speciali delle Nazioni Unite. In una lettera datata dicembre 2024, queste esperte nominate dal Consiglio dei diritti umani denunciano le “molestie continue e la repressione transnazionale” subite dalla giornalista e chiedono alle autorità egiziane di porvi fine.

A Berlino, continua il suo impegno. Ha cofondato la Law and Democracy Support Foundation e.V. – un’ONG che promuove i principi democratici in Egitto e Medio Oriente, e sostiene le persone i cui diritti sono stati violati.

Lo scorso aprile, la commissaria per i diritti umani del Governo tedesco ha denunciato per la prima volta la repressione subita da Basma Mostafa. Quest’ultima attende ora i risultati della giustizia tedesca, essendo in corso diverse indagini.

“Non ho perso la speranza”, afferma. “Tre anni fa avevo l’impressione di parlare nel vuoto, che nessuno capisse ciò che stavo vivendo. Oggi, sempre più persone riconoscono il problema della repressione transnazionale. Questo mi dà coraggio”.

Articolo a cura di Imogen Foulkes/sj

Traduzione con il supporto dell’IA/mar

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