Pubblicare in rete è una questione di contenuti
È in corso a Zurigo il "Content Summit 2000", ovvero la settima conferenza di "interactive publishing" - il più importante appuntamento europeo in questo campo - dedicata quest'anno ai contenuti da immettere in Rete.
La società dell’informazione si fonda sulla produzione, la confezione e l’utilizzo di testi, immagini e suoni mediante la tecnologia digitale. Se questa editoria numerica rimane assente o insufficiente, «la sola tecnologia priva di contenuto non ha alcun senso», ha detto Norbert Specker, l’ideatore delle conferenze annuali di “interactive publishing”. Quasi tutti gli editori ormai si sono avvicinati al Web, ma sono ancora pochi quelli che sanno immaginare una forma che permetta alle informazioni di adattarsi ai supporti numerici. In altre parole: come produrre e commercializzare i “contenuti digitali”?
Ed è proprio di questo particolare aspetto che editori e specialisti discutono per tre giorni al “Content Summit” di Zurigo. È vero: negli ultimi anni l’e-commerce e gli sviluppi tecnologici hanno monopolizzato l’attenzione. Ma ora ci si rende conto che a differenziare le offerte su Internet è soprattutto il contenuto. Ne è sintomo l’accresciuta pressione della domanda, mentre il mercato della vendita di contenuti e della concessione di licenze è in piena espansione.
Gli analisti valutano in 32 miliardi di franchi il fatturato mondiale di questo settore nel 2000 e stimano, per l’anno prossimo, una crescita del 50 per cento. Per il 2003 la previsione è addirittura di 140 miliardi di franchi. Ad animare questo mercato non sono soltanto imprese editoriali, ma anche portali, “websites”, aziende commerciali, venditori di sistemi di “content management”, detentori di licenze e “content broker”.
Anche in Svizzera si sta operando una svolta strategica. Per esempio, la Tamedia oggi si configura non soltanto come impresa editoriale tradizionale (il suo maggior prodotto è il “Tagers-Anzeiger”), ma si posizione anche com “content provider”. «Quello che prima era il pubblico di massa» – ha spiegato Norbert Specker – «ora va servito in modo sempre più individuale e con un impiego sempre più esteso di canali diversi. E questo costringe a cambiamenti radicali nella produzione e nella commercializzazione dei contenuti».
Il problema di fondo sembra essere il fatto che la maggior parte degli editori continuano a considerare il contenuto dei loro prodotti come un bene materiale, quando nell’era numerica esso è divenuto completamente immateriale. Questa lentezza nel cambiamento finisce per condizionare anche gli investitori: negli ultimi tre anni essi hanno infatti investito molto nel commercio elettronico, dimostrando così «di non capire che cos’è il contenuto interattivo», ha detto Specker.
I primi a capirlo sono stati – sembra ovvio – gli editori di radio e televisioni, che già si preoccupano di adattare al formato web le informazioni che essi producono. Per questo sono accorsi numerosi a Zurigo, dove contano di ottenere dagli specialisti, ma anche tramite i contatti personali e lo scambio di esperienze, indicazioni più precise su come creare il contesto giusto (tale, cioè, che dimostri affidabilità ed ispiri fiducia) per un prodotto d’informazione destinato ad Internet.
Ma in questo, paradossalmente, sono proprio gli editori della carta stampata ad avere un grande vantaggio nell’universo numerico. Infatti, il messaggio conclusivo di “Content Summit 2000” sembra essere che proprio le regole tradizionali servono a costruire il contesto giusto che dà valore al contenuto, e sono quindi in gran parte valide nella Rete.
Silvano De Pietro
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