The Swiss voice in the world since 1935

Aiuti umanitari: chi sopperirà al ritiro dell’Occidente

.
Pacchi di aiuti umanitari dell'OMS provenienti dagli Emirati Arabi Uniti e destinati alle vittime delle inondazioni che hanno colpito il Sudan nel settembre 2022, meno di un anno prima che il Paese sprofondasse nella guerra. EPA/ALI HAIDER

Con il disimpegno degli Stati finanziatori tradizionali, l'aiuto umanitario è sotto pressione. Donatori emergenti come la Cina e gli Stati del Golfo potrebbero aumentare il loro apporto finanziario, senza tuttavia passare per le Nazioni Unite.

Il massiccio ripiegamento degli Stati Uniti dall’inizio del secondo mandato di Donald Trump ha rivelato una vulnerabilità del settore umanitario che preoccupa da anni chi vi opera. Il problema è che la maggior parte degli aiuti internazionali, su cui fanno affidamento circa 190 milioni di persone in tutto il mondo, dipende da una manciata di Paesi donatori estremamente influenti.

Questo articolo è il secondo di tre approfondimenti sul futuro degli aiuti umanitari, in un momento in cui gli Stati Uniti e i principali Stati donatori occidentali si disimpegnano dal settore. Il primo analizzava l’impatto dei tagli di bilancio sul lavoro delle agenzie umanitarie sul campo. L’ultimo ripercorrerà la storia degli aiuti statunitensi e il modo in cui gli USA hanno consolidato la propria posizione dominante.

Stati Uniti, Germania, Unione Europea e Regno Unito finanziano insieme quasi il 65%Collegamento esterno degli aiuti umanitari globali.

Tuttavia, la decisione dell’amministrazione Trump di tagliare l’83% dei programmi dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID) – principale distributore di aiuti del Paese – ha accelerato una preesistente tendenza alla diminuzione dei contributi della maggior parte degli Stati donatori tradizionali.

Contenuto esterno

A fine febbraio, il Regno Unito ha annunciato una riduzione della spesa per gli aiuti dallo 0,5% allo 0,3% del reddito nazionale lordo. A marzo, durante i negoziati di coalizione, il nuovo Governo tedesco ha annunciato l’abbandono dell’obiettivo di destinarvi lo 0,7% del prodotto interno lordo (PIL).

Negli ultimi mesi o anni anche altri Paesi, come Belgio, Francia, Svezia e Svizzera, hanno annunciato tagli all’aiuto umanitario e alla cooperazione allo sviluppo. La ragione principale sono i bilanci nazionali messi a dura prova dalla pandemia di coronavirus e dalla guerra in Ucraina, che ha portato a un forte aumento delle spese per la difesa, con la minaccia russa che fa temere per la sicurezza in Europa.

In questo contesto, la Norvegia è stata uno dei pochi Paesi ad aumentare gli stanziamenti, soprattutto per l’Ucraina così come per delle organizzazioni non governative (ONG) colpite dai tagli statunitensi. Ma questo non basterà a compensare i miliardi mancanti.

+ Di più sull’impatto dei tagli statunitensi, in particolare sui
programmi a favore delle donne e contro l’HIV, nell’ultimo episodio del nostro
podcast Inside Geneva (in inglese).

“È molto preoccupante vedere che gli altri donatori non si facciano avanti per colmare il divario”, si rincresce Eileen Morrow, responsabile delle politiche e delle strategie di comunicazione e influenza all’International Council for Voluntary Agencies (ICVA), una rete di ONG con sede a Ginevra.

Chi sostituirà Washington?

La maggior parte di esperte ed esperti intervistati da swissinfo.ch ritiene che solo la Cina (maggiore partner dei BRICS, raggruppamento di dieci grandi economie emergenti che include Brasile, Russia e India) o alcuni Paesi del Golfo come gli Emirati Arabi Uniti (membro BRICS dal 2024) e l’Arabia Saudita siano in grado di compensare la perdita dei finanziamenti americani.

.
Datteri donati dal Centro di aiuti umanitari e soccorso Re Salman dell’Arabia Saudita distribuiti a Kabul, in Afghanistan, nel marzo 2024. EPA/SAMIULLAH POPAL

“I Paesi BRICS sono in cerca di riconoscimento, vogliono espandersi ed essere indipendenti”, evidenzia Tammam Aloudat, direttore generale dell’agenzia di stampa specializzata The New Humanitarian, con sede a Ginevra.

In questo contesto, l’aiuto umanitario può servire come strumento di soft power, consentendo agli Stati donatori di proiettare un’immagine positiva di sé, aumentare la propria influenza e ottenere il sostegno dei Paesi beneficiari, in particolare attraverso il voto nei consessi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).

“Niente di tutto questo è nuovo”, sottolinea Aloudat, rammentando che gli Stati Uniti hanno sempre fatto così. Nel dopoguerra, ad esempio, Washington ha usato gli aiuti per contrastare il comunismo e sviluppare nuovi mercati di esportazione.

Dopo la chiusura di diverse migliaia di progetti finanziati dall’USAID, i media internazionali hanno riferito che la Cina si è offerta di investire in programmi simili in CambogiaCollegamento esterno, RuandaCollegamento esterno e NepalCollegamento esterno.

Ma la capacità del Paese di sostituirsi agli USA potrebbe essere limitata dalle difficoltà economiche che sta attraversando, in particolare sul mercato immobiliare, un motore di crescita ormai in crisi dal 2021. E non è detto che Pechino sia interessata a contribuire maggiormente alla rete di aiuto e cooperazione delle Nazioni Unite.

.
I Paesi del Golfo tendono a prestare aiuto a quelli limitrofi. Nel 2024, l’Arabia Saudita, che sostiene l’esercito yemenita contro i ribelli Houthi, è stato il maggior contributore al programma di aiuti delle Nazioni Unite in Yemen. EPA/YAHYA ARHAB

Un sistema sbilanciato verso l’Occidente

“Il sistema multilaterale è talmente sbilanciato in favore dell’Occidente che non vedo perché i Paesi BRICS dovrebbero decidere di investirvi di più”, afferma Tammam Aloudat.

Ci sono ragioni storiche per questa deriva. Quando le Nazioni Unite furono create alla fine della Seconda guerra mondiale, la maggior parte dei Paesi del cosiddetto Sud globale era ancora colonizzata e non ha quindi avuto voce in capitolo sulla loro organizzazione e gestione.

Inoltre, molte agenzie ONU sono dirette da occidentali, il che rafforza la percezione di parzialità. A capo dell’Ufficio per gli affari umanitari (OCHA) vi è tradizionalmente una personalità britannica, mentre il Programma alimentare mondiale (PAM) è storicamente diretta da una o uno statunitense.

Ciononostante, negli ultimi anni diversi Stati del Golfo – in particolare l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti – si sono regolarmente classificati tra i primi dieci contribuenti delle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite. Questi Paesi tendono tuttavia a destinare la maggior parte degli aiuti ai Paesi della Lega Araba e dell’Organizzazione della cooperazione islamica, in particolare allo Yemen.

Contenuto esterno

Preferenza per i canali bilaterali

“Il sistema di aiuti delle Nazioni Unite è un meccanismo costoso, poco flessibile e che offre poca visibilità ai suoi principali attori”, osserva Bertrand Taithe, professore all’Università di Manchester. È possibile che alcuni Paesi stiano cercando di aumentare la propria influenza, ma è più probabile che intervengano su un piano bilaterale, ciò che consente loro di sviluppare reti, diplomazia e visibilità su scala continentale”.

È il caso della Cina che, nonostante la sua potenza economica, ha finanziato i programmi umanitari dell’ONU con appena 8 milioni di dollari nel 2024. Una goccia nel mare, rispetto ai quasi 10 miliardi di dollari stanziati dagli Stati Uniti.

Pechino presta aiuto attraverso la sua iniziativa “Nuova via della seta” (Belt and road initiative, BRI), con la quale finanzia progetti infrastrutturali in particolare in Africa e principalmente sotto forma di prestiti, più che di sovvenzioni. Nel 2024, i contratti firmati nell’ambito della BRI ammontavano a 122 miliardi di dollari, secondo uno studioCollegamento esterno della Fudan University di Shanghai.

Contenuto esterno

Gli aiuti della Cina sono imperniati sulla cooperazione allo sviluppo, con l’obiettivo di aumentare gli scambi commerciali e la sua influenza geopolitica. Inoltre, a differenza degli aiuti occidentali, quelli cinesi non sono generalmente soggetti a vincoli relativi, ad esempio, al rispetto dei diritti umani.

Rinegoziare i principi

Per Valérie Gorin del Centro di studi umanitari di Ginevra, il crescente coinvolgimento dei cosiddetti attori emergenti implica una rinegoziazione dei valori in ambito umanitario.

Il principio dell’imparzialità, che prevede che gli aiuti vadano alle persone che ne hanno più bisogno – indipendentemente, ad esempio, dalla loro nazionalità, religione o sesso – può contrastare con l’approccio di questi Paesi, che si concentrano sulla propria regione.

Contenuto esterno

“Assistiamo a un’inversione di tendenza, con gli Stati un tempo colonizzati che rinegoziano gli usi di un settore umanitario che incarnava una forma di colonialismo e imperialismo occidentale”, spiega Gorin.

A suo parere, non dobbiamo aspettarci che i BRICS o i Paesi del Golfo riprendano i programmi abbandonati dai Paesi occidentali. Tanto meno le condizioni vincolate alla concessione degli aiuti in materia di diritti umani, ambiente, clima o democrazia.

“Questa condizionalità degli aiuti occidentali è talvolta molto discutibile”, ritiene Valérie Gorin. Ad esempio quando i programmi impongono standard o pratiche contrarie alle tradizioni locali. Una maggiore influenza dei Paesi del Sud è dunque auspicabile, per quanto la ricercatrice tema che essa possa andare a scapito delle minoranze e degli ecosistemi protetti.

E il settore privato?

Operatrici e operatori umanitari stanno rivolgendo sempre più attenzione ad enti donatori del settore privato le cui risorse, talvolta, superano quelle di interi Paesi.

La Fondazione Gates, ad esempio, è diventata negli anni il secondo maggior contributore dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), superando di gran lunga i governi europei e acquistando un’influenza che è stata criticata.

Contenuto esterno

Secondo l’organizzazione Development Initiatives, la quota dei finanziamenti umanitari globali provenienti da fonti private -fondazioni, aziende e persone fisiche – è passata dal 13% del 2016 al 18% del 2022. Valérie Gorin stima che vi sia un ampio margine di crescita, poiché le imprese vi vedono un mezzo per migliorare la propria reputazione, mostrando “responsabilità sociale”.

Questo cambiamento potrebbe inoltre portare a un allentamento dei principi etici in ambito umanitario, quando si tratterà di determinare quali donazioni sono accettabili a dipendenza delle attività delle aziende donatrici.

Tammam Aloudat è molto scettico. A suo avviso, il settore privato non ha alcun interesse a investire in certi contesti, in particolare dove imperversa la guerra e il potenziale di profitto è scarso. “Chi aiuterà le popolazioni in Somalia, in Sudan o nella Repubblica Democratica del Congo? Sono luoghi in cui il settore privato non può inventarsi degli utili”.

Altri sviluppi

Dibattito
Moderato da: Dorian Burkhalter

Il settore umanitario ha ancora un futuro? Come dovrebbe essere?

Diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti e la Svizzera, hanno tagliato i loro bilanci per gli aiuti, facendo precipitare il settore in una crisi esistenziale. Di fronte a questa situazione, quali strade dovrebbero esplorare gli umanitari? Vorremmo sentire il vostro parere.

18 Mi piace
16 Commenti
Visualizza la discussione

A cura di Virginie Mangin/sj

Traduzione di Rino Scarcelli

La Ginevra internazionale è un mondo a sé. Iscrivetevi alla nostra newsletter, la guida perfetta che vi permetterà di orientarvi.

Articoli più popolari

I più discussi

In conformità con gli standard di JTI

Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative

Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.

Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR