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La Svizzera rincorre la propria immagine

La Confederazione cerca di farsi capire negli Stati Uniti.

Il governo elvetico intende investire milioni di franchi per tutelare i propri interessi a Washington e Berlino, proprio quando le questioni all'origine delle recenti tensioni si stanno progressivamente chiarendo.

Le autorità svizzere hanno stanziato 2 milioni di franchi per il 2009 – e 2,5 per l’anno seguente – allo scopo di promuovere l’immagine della Confederazione e di rafforzare il lobbying politico.

Negli ultimi tempi, infatti, Berna è stata confrontata a parecchie difficoltà legate agli illeciti commessi da UBS negli Stati Uniti e al segreto bancario elvetico, fortemente criticato in Europa, segnatamente dalla Germania.

Il Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae) ha affermato che la Svizzera non ha un problema generale d’immagine negli Stati Uniti, ma ha ammesso che gli sviluppi recenti – in particolare le controversie giudiziarie con il fisco statunitense – giustifica una campagna di pubbliche relazioni.

«L’obiettivo di questi sforzi è consolidare e migliorare la nostra immagine, aumentando nel contempo la conoscenza della Svizzera da parte dei leader d’opinione statunitensi», spiega Erik Reumann, portavoce del Dfae.

Gli ultimi importanti investimenti da parte del governo svizzero per azioni di lobbying in America risalgono agli anni Novanta, durante la crisi legata ai fondi ebraici in giacenza. Tra il 1998 e il 1999, la Confederazione aveva destinato a questo scopo 500’000 dollari.

Compito difficile

«È difficile esercitare il lobbying quando si è costretti sulla difensiva, ossia quando si è perso l’appoggio di amici e partner», afferma Roman Geiser, responsabile per il mercato svizzero presso Burson-Marsteller, un’azienda internazionale specializzata nelle pubbliche relazioni.

Secondo Geiser, in casi simili «si deve ricorrere a una strategia diplomatica discreta per spiegare le diverse posizioni e mostrare le sfumature di tematiche estremamente complesse. Inoltre, è necessario un approccio maggiormente proattivo nelle pubbliche relazioni. Tutto ciò dovrebbe essere accompagnato da una strategia di comunicazione coerente, cosa che non è finora avvenuta».

Governo poco coordinato

«Ovviamente, agire così significa comunque intervenire quando il danno è già avvenuto», dichiara il senatore Peter Briner, presidente dell’associazione parlamentare Svizzera-USA. «Le agenzie di pubbliche relazioni non potranno mai sostituire un’azione politica efficace. Avremmo dovuto comportarci in modo tale da non avere bisogno di questi supporti», aggiunge.

In particolare, parecchie voci critiche hanno sottolineato la mancanza di coordinazione organizzativa in seno all’esecutivo. Infatti, nonostante il segreto bancario e le sue implicazioni riguardino quattro dei sette ministeri, non è mai stato designato un portavoce unico.

A titolo di esempio, il ministro delle finanze e presidente della Confederazione Hans-Rudolf Merz, la ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey, la ministra dell’economia Doris Leuthard e la titolare del Dipartimento di giustizia e polizia Eveline Widmer-Schlumpf si sono espressi pubblicamente in merito alle relazioni tra Svizzera e Stati Uniti. Dal canto suo, il ministro della difesa Ueli Maurer ha scelto una strategia offensiva, definendo nel mese di luglio gli Stati Uniti un partner negoziale «inaffidabile».

Tutti questi interventi non convincono Roman Geiser: «È un modo di procedere poco coordinato, troppe persone prendono la parola e sembra non ci sia una strategia globale». In particolare, «mancano una gestione chiara della comunicazione e un messaggio preciso in merito all’accusa di essere un paradiso fiscale».

Peter Briner condivide le critiche: «Troppe persone hanno cercato di spiegare la situazione. È difficile considerare questa soluzione una buona strategia».

A questo proposito, il Dfae sottolinea i notevoli sforzi per mantenere le relazioni con Washington e replica alle critiche: «Il fatto che vi siano molte voci deve essere visto come un’opportunità per ristabilire la fiducia e l’attendibilità».

Cambiare il sistema?

Secondo Briner, anche se le tensioni legate al segreto bancario sono state causate da una serie di equivoci, il governo elvetico ha sottovalutato la questione. Dello stesso parere la senatrice Simonetta Sommaruga: «L’esecutivo ha avuto dieci anni di tempo per prepararsi a queste sfide, ma ha chiuso entrambi gli occhi».

Geri Müller, presidente della Commissione della politica estera del Consiglio nazionale (Camera del popolo) critica a sua volta il governo, ma per un altro motivo. Dal momento che le critiche provenienti dall’estero riguardano soprattutto l’accusa di favorire l’evasione fiscale e di accogliere denaro di dubbia provenienza, «la migliore strategia di comunicazione sarebbe cambiare il sistema. Così facendo, dimostreremmo chiaramente che non proteggiamo i criminali e ci troveremmo in una posizione favorevole per negoziare».

Justin Häne, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento: Andrea Clementi)

L’immagine della Svizzera nell’opinione pubblica americana e tedesca non appare scalfita dai contenziosi fiscali. Da un recente sondaggio effettuato negli Stati Uniti e in Germania per conto di swissinfo.ch e del settimanale SonntagsBlick, infatti, risultano riscontri positivi.

Per quanto concerne la simpatia, su una scala da 1 a 10 punti, la Svizzera ottiene una media di 7.77 negli Stati Uniti e di 6.95 in Germania. In ambedue i paesi, inoltre, la maggioranza degli intervistati non ritiene che gli svizzeri siano più avidi rispetto ai tedeschi o agli americani.

Secondo Roberto Balzaretti, segretario generale del Dipartimento federale degli affari esteri, i risultati mostrano «una visione complessivamente positiva, equilibrata e differenziata della Svizzera».

Inoltre, tali indicazioni «corrispondono alla nostra valutazione della situazione e confermano che gli sforzi intrapresi per far conoscere meglio le specificità della Confederazione fuori dai confini nazionali stanno dando i frutti sperati».

Ciononostante, ha concluso l’alto funzionario, «siamo coscienti del fatto che alcuni media e leader d’opinione stranieri hanno una visione più critica della Svizzera: dobbiamo quindi rivolgere il nostro lavoro d’informazione e spiegazione in quella direzione».

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