Bilaterali: campagna senza risalto
A un mese dalla votazione sugli accordi bilaterali con l'Ue, il tema occupa poco spazio sulle pagine dei giornali. Partiti di governo e mondo economico, unanimi nel sostenere l'intesa con Bruxelles, vogliono evitare effetti controproducenti.
«Siamo molto lontani dall’atmosfera carica di emozioni che ha preceduto la votazione del dicembre 1992 sullo Spazio economico europeo», afferma il portavoce dell’Ufficio federale dell’integrazione José Bessard.
Responsabile del «clima fiacco» è la «quasi unanimità» che è stata raggiunta sugli accordi settoriali con l’Unione europea dal mondo politico, economico e sindacale. In presenza di questo «concerto di sì», spiega il portavoce del Partito socialista svizzero Jean-Philippe Jeannerat, «bisogna fare attenzione all’overkill mediatico».
L’opinione è pienamente condivisa dalla Proec, la Società per il promovimento dell’economia svizzera, che coordina e finanzia la strategia pubblicitaria del mondo economico in favore degli accordi.
Gli oppositori – in primo luogo Democratici svizzeri e Lega dei ticinesi, che con il loro referendum hanno convocato gli elettori alle urne – ritengono che la campagna in favore dell’intesa con Bruxelles costerà dai sette agli otto milioni di franchi.
«Ad ogni mondo, le votazioni non si vincono a suon di milioni», ha commentato Chantal Balet, responsabile della Proec nella Svizzera romanda. «Lo smacco subito dall’iniziativa per accelerare la democrazia diretta, sostenuta dalla Denner, ne è una dimostrazione lampante». La Proec è comunque pronta a ravvivare la campagna pubblicitaria se gli avversari degli accordi, finora piuttosto riservati, decidessero di uscire allo scoperto.
Nella Svizzera romanda il ritmo degli annunci dovrebbe intensificarsi nel mese di maggio, mentre nella Svizzera tedesca i piani rimangono «flessibili», per meglio reagire «alle fluttuazioni delle opinioni».
Sono rivelatori dell’attuale situazione anche i ridotti mezzi finanziari dell’Ufficio federale dell’integrazione, che «orchestra» la campagna per conto della Confederazione: in occasione della votazione sullo Spazio economico, disponeva di un budget di 5,9 milioni di franchi, somma che oggi è scesa a 700mila franchi.
Gli avversari dell’intesa con Bruxelles affermano, dal canto loro, di disporre di un fondo di 500mila franchi. Il consigliere nazionale zurighese Christoph Blocher, contrariamente alla posizione ufficiale dell’Unione democratica di centro, ha detto di respingere «a titolo personale» gli accordi bilaterali. Ma ha anche assicurato che non sosterrà finanziariamente la campagna degli oppositori.
Mistero assoluto per quanto riguarda la Denner, che ha autorizzato i referendari a raccogliere firme nella sua catena di negozi: non ha infatti voluto rivelare se appoggia o no con propri contributi gli sforzi degli antieuropeisti.
Sul piano strettamente politico, il «sì» ai bilaterali è coordinato da un comitato che riunisce i quattro partiti di governo. I socialisti conducono poi «una campagna parallela», in cui sostengono la necessità di una rapida adesione all’Unione europea: i bilaterali, a loro avviso, non sarebbero che un primo passo.
A favore degli accordi con Bruxelles gioca anche la compattezza dimostrata dal Consiglio federale: nel 1992 scesero in campo in favore del SEE soprattutto i ministri Jean-Pascal Delamuraz e René Felber, mentre Otto Stich e Flavio Cotti dimostrarono scarso entusiasmo.
Per difendere gli accordi bilaterali sono previste complessivamente ottanta «trasferte» dei consiglieri federali in tutto il paese. Ma nella Svizzera francese organizzare un dibattito contraddittorio non è impresa da poco: tutti i parlamentari federali romandi si sono infatti schierati apertamente per il «sì».
swissinfo e agenzie
Nella foto d’archivio: i consiglieri nazionali Bignasca e Maspoli, della Lega dei Ticinesi, insieme al presidente dei Democratici Svizzeri, Keller, al momento della consegna delle firme per il referendum sui bilaterali, lo scorso 3 febbraio.
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