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Razzismo: dipendenti pubblici in prima linea

Keystone Archive

La Svizzera è una società multiculturale e le diversità linguistiche, religiose o culturali possono tradursi in episodi d'incomprensione o addirittura di razzismo.

Per prevenire la discriminazione nel settore pubblico, una nuova pubblicazione fa il punto sulle formazioni che sensibilizzano alla tematica.

L’inventario cataloga circa 200 proposte esistenti in Svizzera romanda e in Ticino che si occupano del tema del razzismo, dell’integrazione e della multiculturalità.

«In uno Stato di diritto, le discriminazioni non possono essere tollerate», scrive il consigliere federale Pascal Couchepin. L’osservazione è valida in particolar modo per il personale dell’amministrazione statale, della sanità o dell’insegnamento, confrontato quotidianamente a persone di altre culture.

Per sensibilizzare chi lavora a stretto contatto con i cittadini, il Servizio per la lotta al razzismo (SLR) della Confederazione ha pubblicato a metà gennaio un inventario delle possibilità di formazione in materia di prevenzione delle discriminazioni.

Pochi casi, ma il problema esiste

Finora non sono state aperte inchieste su comportamenti razzisti nell’amministrazione, salvo alcuni episodi che hanno avuto per protagonisti dei poliziotti.

Per la consigliera nazionale lucernese Cecile Bühlmann, vicepresidente della Commissione federale contro il razzismo ed esponente del partito dei Verdi, il problema è effettivamente più acuto in seno alle forze dell’ordine, ma anche il personale dell’amministrazione non è esente da pecche.

Sapere dove inizia la discriminazione o il razzismo è difficile, rileva Gabriela Amarelle, del Servizio per la lotta al razzismo: «Le procedure amministrative sono molte volte oggetto di malinteso e fonti di conflitto».

Cecile Bühlmann, dal canto suo, riferisce di persone trattate come cittadini di seconda categoria: «Sono venuta a conoscenza di casi di stranieri ostacolati nei loro sforzi di far venire la famiglia in Svizzera; i funzionari incaricati di consigliarli hanno cercato di dimostrare loro che con le entrate che avevano non potevano mantenere i famigliari, eludendo però le spiegazioni su come ottenere, ad esempio, una riduzione dei premi di cassa malattia».

Circa 200 proposte formative

L’obiettivo dello studio dell’SLR non è però di spiegare ai funzionari come comportarsi, ma piuttosto di fornire a chi fosse interessato le informazioni per sapere a che porta bussare per migliorare il suo bagaglio in materia di comunicazione interculturale.

«Da un lato si tratta di valorizzare le formazioni già esistenti, dall’altro di suscitare la volontà di creare nuove offerte», afferma Gabriela Amarelle.

L’inventario cataloga circa 200 proposte esistenti nella Svizzera romanda e in Ticino, che vanno dal Master in comunicazione interculturale proposto dall’Università della Svizzera italiana a corsi centrati su aspetti più specifici, ad esempio su come prevenire il razzismo nelle scuole.

Molto spesso però si tratta di formazioni di tipo accademico. «Una delle raccomandazioni dello studio è di migliorare l’offerta di corsi che uniscono la teoria alla pratica», rileva ancora Gabriela Amarelle.

Una situazione multiforme

I servizi che si trovano in prima linea sono spesso di competenza cantonale o comunale ed è perciò molto difficile fornire una visione d’assieme su quanto già si fa nelle amministrazioni per lottare contro le discriminazioni.

In molti cantoni ci si sta però muovendo attivamente, sottolinea la collaboratrice dell’SLR: «A Ginevra l’Ufficio del delegato agli stranieri sta istituendo una formazione per il personale che lavora agli sportelli e altrettanto stanno facendo i cantoni di Vaud e Neuchâtel».

Oggi, in linea generale, corsi di questo genere sono facoltativi. La vicepresidente della Commissione federale contro il razzismo, Cecile Bühlmann, è favorevole a renderli obbligatori per coloro che lavorano negli uffici più sensibili.

Per gli autori dello studio, però, «imporre corsi di sensibilizzazione alla lotta contro il razzismo potrebbe rivelarsi controproducente». La soluzione potrebbe essere di trattare l’argomento nell’ambito di una tematica più generale, «ad esempio abbordando la multiculturalità nel quadro di una formazione centrata sulla comunicazione (…) o sul diritto amministrativo».


swissinfo, Daniele Mariani

Nel 2003, gli stranieri in Svizzera rappresentavano il 20,4% della popolazione, pari a 1’500’907 persone.
La comunità più importante, che contava 351’960 persone, proviene dai paesi della ex Iugoslavia.
In seconda posizione vi sono gli italiani, 305’371, che però da alcuni anni sono in costante diminuzione (nel 1994 erano 367’074).

Lo studio, disponibile in francese, si intitola «Agents de la fonction publique aux prises avec la diversité culturelle: Quelle formation en matière de prévention des discriminations?».

L’iniziativa del Servizio per la lotta al razzismo (SLR) s’inserisce nel quadro dell’»Anno europeo della cittadinanza attraverso l’educazione», indetto dal Consiglio d’Europa nel 2005.

L’inventario si è limitato alla Svizzera romanda e al Ticino. I suoi autori volevano un bacino non troppo vasto per poter stabilire un inventario esaustivo e poter analizzare così in quali direzioni agire in modo prioritario.

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