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La Svizzera avrebbe respinto “solo” 3’000 ebrei durante la guerra

Ufficialmente, dal 1942 le frontiere svizzere erano chiuse, come qui a Moillesulaz nel canton GInevra (1943).
Ufficialmente, dal 1942 le frontiere svizzere erano chiuse, come qui a Moillesulaz nel canton GInevra (1943). RDB

Un nuovo studio ha riacceso il dibattito sulla politica adottata dalla Svizzera nei confronti dei profughi ebrei. La storica Ruth Fivaz-Silbermann stima a circa 3'000 il numero di ebrei respinti alla frontiera con la Francia tra il 1939 e il 1945. La sua tesi contrasta con quanto indicato dal rapporto Bergier, che nel 2002 aveva parlato di 24'398 civili respinti.

Nell’ambito della sua ricerca di dottorato, la storica Ruth Fivaz-Silbermann ha ritrovato le tracce di 15’519 ebrei che durante la Seconda guerra mondiale hanno cercato di attraversare la frontiera franco-svizzera in cerca di rifugio. Di questi, 2’844 sono stati respinti e almeno 248 sono stati deportati e sterminati nei campi nazisti.

«La mia ricerca offre un quadro molto più chiaro di quante persone sono fuggite e delle loro storie: da dove venivano, perché fuggivano e in che modo? Tutti hanno potuto partire? Quali erano i pericoli?», spiega Ruth Fivaz-Silbermann.

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Frutto di 19 anni di lavoro, la tesi “In fuga dalla Svizzera” ha riacceso il dibattito sul ruolo della Confederazione durante la Seconda guerra mondiale. Il primo grande studio sul tema – realizzato dalla commissione Bergier tra il 1996 e il 2002 – citava infatti la cifra di 24’398 civili respinti. Un numero ben superiore a quello avanzato oggi da Ruth Fivaz-Silbermann.

Una svolta dopo il rapporto Bergier?

La commissione Bergier – istituita nel 1996 dal governo elvetico per far luce sui fondi in giacenza – non aveva però analizzato direttamente la questione del numero di persone respinte. La cifra di 24’398 è frutto di uno studio dello storico Guido Keller, pubblicato nel 1996, e concerne tutti i civili (dunque non solo gli ebrei) respinti tra il 1939 e il 1945 a tutte le frontiere elvetiche (dunque non solo quella con la Francia).

Nonostante i due studi non siano del tutto comparabili, Ruth Fivaz-Silbermann ritiene che parlare di oltre 24’000 persone respinte sia eccessivo. Secondo la storica, infatti, due terzi degli ebrei che hanno cercato rifugio in Svizzera durante la guerra provenivano dalla Francia. « Sappiamo anche che il 27% degli ebrei che cercavano rifugio in Svizzera sono giunti dall’Italia. Uno studio degli archivi del canton Ticino (non ancora pubblicato) ritiene che 6’000 ebrei abbiano attraversato la frontiera e che circa 300 siano stati respinti.».

Per quanto riguarda i confini tedesco e austriaco, invece, non sono stati fatti studi accurati, ma si ritiene che il numero di persone respinte durante la guerra sia molto basso, afferma la storica. «Gli ebrei residenti in Germania hanno cercato di venire in Svizzera tra il 1933 e il 1938. Durante la guerra sono stati deportati, sono emigrati o si sono nascosti dalle autorità. In pochi sono riusciti a raggiungere il confine elvetico dalla Germania. Questa non è un’ipotesi, è un fatto».

Un dramma difficile da tradurre in cifre

Dalla pubblicazione del rapporto Bergier, la cifra di oltre 24’000 civili respinti non ha smesso di far discutere. Mentre alcuni storici sostengono che il numero di vittime potrebbe essere ancora più alto, dato che molti archivi sono andati distrutti e le informazioni a disposizione sono dunque parziali, altri ritengono che sia stato stimato per eccesso.

Ruth Fivaz-Silbermann non è dunque l’unica ad aver rimesso in questione il rapporto Bergier, ricorda la televisione svizzera di lingua francese RTS. Due altri storici, ebrei come lei, sono giunti alla medesima conclusione.

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Sette anni fa l’avvocato e celebre “cacciatore di nazisti” Serge Klarsfeld, che ha lavorato sugli archivi della Shoah, ha stimato a 3’000 il numero di ebrei bloccati al confine elvetico. Anche il ricercatore svizzero Henry Spira – autore dello studio più completo sulla frontiera giurassiana – ritiene che le cifre siano state sovrastimate.

Il capo della polizia Rothmund riabilitato?

Nella sua tesi, Ruth Fivaz-Silbermann è inoltre giunta alla conclusione che Heinrich RothmundCollegamento esterno – che in quanto capo della divisone polizia del dipartimento di giustizia è considerato la figura centrale della politica svizzera degli stranieri durante la guerra – non avrebbe applicato in modo così severo la decisione del governo svizzero di chiudere le frontiere agli ebrei, nel 1942.

«La Svizzera ha mostrato una certa apertura. Pur mantenendo la frontiera chiusa ha permesso a molte persone in pericolo di entrare», afferma la storica.

«C’era una direttiva ufficiale – dissuadere i profughi – ma non veniva applicata in modo così severo. Nel settembre 1942, migliaia di ebrei sono fuggiti dalla Francia verso la Svizzera e le autorità elvetiche hanno dato istruzione di non respingerli. Le istruzioni non erano scritte, ma comunicate per telefono ai direttori cantonali di polizia. L’esito non era però sempre positivo alla frontiera, dato che alla fine era l’esercito a decidere chi lasciare entrare e chi no».

La tesi presto accessibile al pubblico

La tesi di Ruth Fivaz-Silbermann si basa sull’analisi di migliaia di documenti individuali archiviati dalle dogane svizzere e dalle autorità migratorie e di polizia cantonali e federali.

«Per ogni famiglia o individuo ho cercato un file biografico», spiega la storica, citando questo esempio: “Sono nato a Varsavia, emigrato in Germania e poi quando è arrivato Hitler sono partito per il Belgio. In seguito sono stato deportato in Francia e detenuto in una specie di campo. Sono riuscito a fuggire e ho pagato un passatore in modo da riuscire ad arrivare in Svizzera”.

Ruth Fivaz-Silbermann afferma di aver letto centinaia di storie come questa. La sua tesi dovrebbe essere prossimamente accessibile al pubblico sul sito dell’università di Ginevra. La ricercatrice ha inoltre intenzione di pubblicare un libro con una versione accorciata del suo lavoro di dottorato.

Reazioni

Contattati dalla Radiotelevisione svizzera (RTS), gli storici Guido Koller e Georg Kreis (membro della commissione Bergier) non hanno voluto prendere posizione sulla tesi di circa 1’000 pagine di Ruth Fivaz-Silbermann, prima di averla letta. Entrambi si rallegrano comunque del fatto che nuovi studi possano contribuire a dare un’immagine più precisa della politica svizzera durante il Terzo Reich.

Traduzione Stefania Summermatter

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