La lingua del calcio
Nell’accezione più comuna del termine, il linguaggio del calcio “parla” inglese. Football, dribbling, offside, gol, corner sono termini straordinariamente diffusi, eppure straordinariamente british. Quando lo sport, all’inizio del Novecento, era nient’altro che un aristocratico gioco di società, anche il linguaggio appariva disimpegnato e rilassato, nemmeno interessante come genere letterario. Mera imitazione di termini.
La svolta si ebbe con la retorica dei regimi dittatoriali, tra cui il fascismo, che portò a una dimensione partecipata, emotiva, epica del racconto. Vi fu una curiosissima e per certi versi grottesca italianizzazione di termini anglosassoni, che ha resistito per molti decenni, al punto che ricordo che da bambino sentivo chiamare il pallone “fulbal” (da football), il fallo di mano (hands) “enz”, il fuorigioco (off-side) “opsei”. Poi c’era e c’è la parola gol: un termine che talvolta viene tradotto (“tor”, “rete”), ma che nell’infanzia rappresenta un istinto vocale di forza insopprimibile. “Mamma, papà, gol” sono spesso, nell’ordine, le prime parole di un bambino.
Bruno Barba, “Un antropologo nel pallone” (Meltemi Editore srl)

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