
La revisione del CC bloccata sul cognome dei bambini

La revisione del Codice civile, bocciata a sorpresa da entrambi i rami del parlamento nelle votazioni finali, riguardava i nomi di famiglia per i coniugi e per i figli. Una riforma delicata per le complesse questioni psicologiche, sociali e giuridiche che solleva e che, all'ultimo momento, i parlamentari non se la sono sentita di approvare in nome di un semplice "aggiustamento" della legge.
Obiettivo primo della riforma era l’introduzione di una vera parità di trattamento tra i sessi anche in questo ambito del diritto. In base al principio dell’uguaglianza, in futuro sarebbe venuto a cadere il predominio del patronimico e gli sposi avrebbero avuto piena libertà nella scelta del cognome da adottare e da trasmettere ai propri figli.
La proposta di modificare il Codice risale ad un’iniziativa parlamentare presentata nel 1994 dall’allora consigliera nazionale vodese Suzette Sandoz. La deputata liberale intendeva trarre le conseguenze di una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva accolto un ricorso contro il Tribunale federale inoltrato da un cittadino svizzero sposato che si era sentito discriminato. I giudici di Losanna avevano infatti confermato una sentenza cantonale che gli proibiva di far precedere al suo cognome quello della moglie da nubile. Il diritto elvetico, salvo casi eccezionali, impone il cognome del marito, quale nome di famiglia e per i figli.
Lasciata nel cassetto per qualche anno, la proposta è stata ripresa dal parlamento e dibattuta negli ultimi due anni. Dopo aver fatto avanti e indietro tra Consiglio nazionale e Consiglio degli Stati per un paio di volte, le Camere hanno eliminato le ultime divergenze durante la sessione estiva, che si è conclusa venerdì, partorendo un testo che rinnova profondamente le basi legali per la scelta del cognome.
In base alla revisione, al momento del matrimonio gli sposi avrebbero potuto decidere di adottare un nome di famiglia comune (quello dell’uomo o quello della donna da celibi), oppure di mantenere i rispettivi cognomi da single. In quest’ultimo caso, marito e moglie avrebbero comunque potuto affiancare al proprio cognome quello del coniuge. Se invece fosse stato scelto un cognome comune, il coniuge il cui cognome era stato “scartato” avrebbe avuto il diritto di adottare il doppio cognome. In ogni caso i figli avrebbero ricevuto un solo cognome.
E importanti novità sono state introdotte appunto nella scelta dei cognomi per i figli. Di regola i neonati avrebbero dovuto prendere il nome di famiglia. Se i genitori avessero conservato i cognomi da non sposati, avrebbero allora dovuto decidere quale trasmettere al bambino, una decisione che la coppia avrebbe dovuto prendere al più tardi alla nascita del primo figlio e che sarebbe rimasta valida per tutti i figli.
Incaricato di eliminare una discriminazione tra uomo e donna, il parlamento, secondo gli oppositori della riforma, si è lasciato prendere troppo la mano. Per promuovere la parità e la libertà dei coniugi, in molti non si sarebbero resi conto delle conseguenze per i bambini. Criticata duramente l’eventualità, prevista dalla riforma, di far decidere ad un’autorità tutoria il cognome del bambino, qualora i genitori non fossero riusciti a mettersi d’accordo.
Per lo schieramento conservatore, avverso alla riforma, si tratta di un’ingerenza inaccettabile e arbitraria nella sfera privata e anche in contrasto con la Convenzione internazionale dei diritti del bambino che sancisce il diritto al cognome fin dalla nascita. Secondo il fronte progressista il ricorso all’autorità rappresenta invece un’eventualità estrema e rarissima e anche in questo caso si cercherebbe di risolvere il problema non per decreto, ma ricomponendo il dissidio tra i genitori.
Luca Hoderas

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