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Una Torino… a tutta birra!

Lo stabile che ospitava il birrificio della famiglia Boringhieri. Boringhieri, Torino

A Torino la prima fabbrica di birra nasce nel 1845 grazie all'imprenditore svizzero Giacomo Bosio. Pochi anni più tardi la famiglia Boringhieri seguirà le stesse orme, dando vita a uno dei birrifici più conosciuti dell'epoca e vero e proprio simbolo dell'ex capitale italiana.

«I rilevatori della fabbrica hanno l’onore di prevenire il Pubblico che oltre alla vendita di birra, i signori Accorrenti verranno pure serviti con tutta esattezza e pulizia possibile di caffè, liquori […]». Così riportava la Gazzetta del Popolo il 12 aprile 1831, a proposito di una piccola birreria, con caffè annesso, situata in centro a Torino.

L’attività era stata ripresa da un lungimirante imprenditore svizzero, Giacomo Bosio, che qualche anno più tardi aprirà la prima vera fabbrica di birra in Piemonte. Come molte altre famiglie svizzere, i Bosio lasciano l’Engadina a metà del Settecento attratti dalla possibilità di avviare delle attività imprenditoriali in un’Italia dove stavano sbocciando le prime iniziative industriali. Emigrati nella vicina Repubblica di Venezia, lasciano qualche traccia a Milano prima di trasferirsi nel capoluogo sabaudo.

«All’epoca Torino era una città di Corte, con grandi proprietari terrieri e ancora poche industrie, ci racconta la storica e saggista Carla Gütermann. Le opportunità di sviluppo erano molte e la famiglia Bosio aveva saputo approfittarne come poche, ritagliandosi uno spazio dapprima come confettieri, poi maestri birrai e infine cotonieri». Erano grandi lavoratori, ma anche grandi filantropi, aggiunge sorridendo.

Una birra e sei cavalli

Se in Italia il commercio della birra si sviluppa già alla fine del Settecento, è soltanto nel 1845 che Giacomo Bosio – ormai agiato – fonda il primo birrificio in Piemonte. Non si tratta più di un semplice retrobottega improvvisato, ma di una fabbrica moderna per la produzione e lo smercio di questa bevanda dalle proprietà “terapeutiche”, come si soleva sottolineare all’epoca. Il motto della ditta è “Bona cervisia laetificat cor hominum“,  la buona birra allieta il cuore degli uomini.

Il birrificio viene trasferito più volte prima di trovare una sistemazione adeguata in Borgo San Donato, un piccolo quartiere industriale che per la sua vicinanza al fiume aveva visto crescere l’industria alimentare. Era il 1885 e la fabbrica era già passata nelle mani dei nipoti Augusto e Pietro, e di Simone Caratsch.

Ecco cosa si diceva allora della Bosio & C: “Questa birra è […] assolutamente esente da ogni aggiunta alcolica; viene fabbricata a base di puro luppolo ed orzo, così da essere raccomandata dalle primarie notabilità mediche […]. Il servizio della Casa Bosio e Caratsch è inappuntabile; fatto da apposito personale che ha, a tale scopo, sei superbi cavalli a disposizione“.

Lo stabilimento aveva una superficie di 8’000 mq, dava lavoro a una trentina di persone e si affacciava su un giardino alberato dove i clienti possono sorseggiar birra e scambiarsi le ultime novità. Carla Gütermann ci racconta come durante il primo inverno d’attività, i padroni di casa avevano invitato tutti gli svizzeri più conosciuti a bere birra nel giardino dell’azienda. I legami all’interno della comunità elvetica erano molto forti, malgrado il fatto che molti di loro fossero in Italia ormai da diverse generazioni. «Nelle settimane successive arrivarono le lettere di ringraziamento per la famiglia Bosio & Caratsch, con l’aggiunta però di tutta una lista di malanni che questi poveretti si erano presi facendo salotto all’aria aperta».

La Bosio & C. aveva succursali in diverse città italiane e la qualità del prodotto, premiata con la medaglia d’oro all’Esposizione dell’Industria italiana nel 1898, riusciva a reggere la concorrenza delle più importanti fabbriche austriache e tedesche.

Il quartiere Boringhieri

La ditta Bosio & C. non è però l’unica di origini svizzere attiva nella produzione della birra in Piemonte. La scrittrice Giulia Boringhieri – figlia di Paolo Boringhieri, il padre delle edizioni scientifiche in Italia – ci racconta la storia della sua famiglia, anch’essa di origini engadinesi, giunta a Torino alla fine degli anni Settanta.

«Nel 1879 Andrea Boringhieri – unito in matrimonio proprio con una Bosio, Anna – fa costruire una fabbrica di birra in un’area incolta, senza temere la concorrenza dei cognati, ma incoraggiato dal fatto che la birra si stava trasformando in una bevanda sempre più popolare». In poco tempo questo elegante edificio di mattoni rossi diventerà un luogo simbolico, al punto che l’intero quartiere viene tuttora ricordato dai più anziani col nome dei Boringhieri. «L’orologio – posto sulla torre merlata centrale – dettava l’ora per tutto il quartiere, al punto che a volte la popolazione protestava dicendo di aver perso il treno per colpa sua…».

In quegli anni Torino cerca di risollevarsi dalla crisi sopraggiunta nel 1864, quando si vede togliere il ruolo di capitale dell’Italia unita a favore di Firenze. La popolazione si sente messa da parte, tradita, e l’allora sindaco Emanuele Luserna di Rorà lancia un appello agli industriali italiani e stranieri a investire in città, impegnandosi in un ingente piano di opere pubbliche e di riduzione dei dazi. Nasce così la Torino industriale che nel 1899 vedrà l’arrivo della Fiat e nel 1911 dell’Esposizione universale.

Ma torniamo alla famiglia Boringhieri. «Il povero Andrea era stato sfiduciato pochi anni dopo aver fondato la fabbrica di birra per speculazioni finanziarie finite male e le redini dell’azienda le aveva prese il fratello Nicola, tra i fondatori del circolo svizzero di Torino», ci racconta Giulia Boringhieri.

«In vent’anni Nicola riesce a risanare la situazione finanziaria, moltiplica la produzione di birra, e nel 1902 richiama a Torino il figlio di Andrea, mio nonno Giacomo (1878-1945)». Dopo la crisi del ’29 – e in seguito alla minaccia di esproprio che pesava da anni sulla fabbrica – la Boringhieri & C. conosce un periodo difficile e nel 1939 cessa la produzione di birra per concentrarsi su quella di estratto di malto e lievito.

Dalla birra all’editoria

Imprenditore di successo, console onorario di Svizzera e membro del Concistoro, Giacomo Boringhieri era anche e soprattutto un uomo di cultura, sottolinea con timida fierezza la nipote Giulia.

«La musica, i viaggi, le lingue, la lettura hanno sempre avuto un ruolo fondamentale in famiglia. Giacomo era appassionato violinista, mio zio Gustavo era violoncellista, mentre mio padre nel 1957, pochi anni prima dell’abbattimento del birrificio, fonda la casa editrice che porta il suo nome». Una casa editrice che ha come obiettivo quello di aprire la cultura italiana alla scienza, nelle sue espressioni più alte, e che ha portato nelle case degli italiani pilastri come Einstein, Heisenberg, Freud e Jung.

Nato e cresciuto a Torino, Paolo Boringhieri (1921-2006) ha sempre mantenuto un legame molto stretto con la Svizzera e l’Engadina, che con gli anni si era trasformata perfino in oggetto di studio. Ed è grazie alle sue ricerche sulle avventure della famiglia e i suoi legami con i Grigioni, che Giulia ha potuto ripercorre la storia dei Boringhieri, che è un po’ anche la storia della Torino dell’Ottocento.

Dopo la nomina del marito Giacomo Boringhieri a console di Svizzera, Dora Schütz aveva deciso “di rimanere in casa tutti i giovedì pomeriggio per ricevere le amiche per il tè.

Ogni primo e terzo giovedì del mese erano invitate le signore svizzere e il secondo e il quarto venivano le amiche italiane. In quei giorni, tornando dalle lezioni, come entravo nell’androne di casa, potevo già dire con esattezza se era il giorno delle signore svizzere o di quelle italiane.

 

Infatti se sentivo parlare ad alta voce, ridere, discutere con animazione, capivo che erano le amiche italiane. Quando invece il tono della conversazione era pacato, era certamente il giorno delle signore svizzere”.

Dai racconti della figlia Luisa Boringhieri

Originaria di Zuoz, antica capitale dell’Alta Engadina, la famiglia Boringhieri emigra in Italia verso la metà del Settecento.

Andrea è il primo dei Boringhieri a giungere a Torino negli anni Settanta dell’Ottocento. Qui sposa Anna Bosio, figlia del direttore della birreria Bosio & Caratsch.

Nel 1879 decide di lanciare un proprio birrificio con un capitale di 270’000 lire, ma pochi anni dopo lascia il testimone al fratello Nicola prende le redini dell’azienda.

Nel 1902 Nicola richiama a Torino il figlio di Andrea, Giacomo.

Imprenditore di successo e figura politica e culturale importante nella Torino di inizio secolo, Giacomo sposa la bernese Dora Schütz, dalla quale avrà quattro figli: Riccardo, Gustavo, Luisa e Paolo, che fonderà una casa editrice che porta ancora il suo nome.

Le prime tracce dei Buoschh, o Bosio, in Italia risalgono al Settecento.

Engadinesi di Schanf, negli anni Trenta del Settecento lasciano Venezia per trasferirsi a Torino dove aprono una confetteria.

Nel 1831 Giacomo Bosio rileva la Birreria del Giardino, con annessa piccola fabbrica.

Nel 1845 apre il primo vero birrificio in Italia, nei pressi della Dora Riparia.

Alla fine degli anni Cinquanta, ormai abbandonata l’attività di confettieri, i Bosio si lanciano nel settore tessile e aprono un cotonificio a Sant’Ambrogio, a pochi chilometri da Torino.

Nel 1885 il birrificio Bosio & Caratsch si trasferisce definitivamente in borgo San Donato.

Il nuovo stabile, di 8’000 mq, si affaccia su un grande giardino dove ogni anno viene celebrata la classica Oktoberfest.

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