Davos, stillicidio delle cliniche d’alta quota
Nel 1950 Davos contava 24 cliniche, oggi sono solo 4. Un declino che potrebbe mettere la parola fine ad un capitolo di storia delle Alpi e della medicina.
L’aria di montagna continua ad avere un effetto benefico, ma i progressi della medicina e la difficile situazione congiunturale minano la salute dei sanatori.
«La montagna incantata» non è solo il titolo di un romanzo di Thomas Mann ambientato a Davos. La montagna incantata è parte dell’immaginario collettivo. Dopo essere state per secoli inaccessibili, selvagge e pericolose, verso la fine del XVII secolo le Alpi diventano un mondo bello e tutto da scoprire.
In seguito la montagna assurge a dispensatrice di salute. Un mito riportato anche in «Heidi»: costretta a recarsi a Francoforte, la ragazzina cresciuta suoi monti si ammala, e, in modo speculare, la sua amica Clara, nata in città, abbandona la sedia a rotelle e ritrova l’uso delle gambe proprio grazie all’effetto benefico della montagna.
Lotta alla tubercolosi
Che l’aria di montagna faccia bene, è dimostrato da diversi studi e dalle testimonianze di chi ancora oggi si reca in alta quota per curare asma e allergie. Se le cliniche oggi si svuotano – affermano gli specialisti che vi lavorano – non è a causa di criteri medici, ma della difficile situazione economica e della corsa al risparmio nel settore sanitario.
A dare l’inizio alle cure ad alta quota è stato il tentativo di combattere la tubercolosi (chiamata anche tisi, dal greco phthíein “consumarsi”). «A metà del XIX secolo si è notato che la tubercolosi danneggiava i polmoni», commenta Margrit Wyder, biologa e germanista che ha curato la mostra «Le Alpi nella medicina, la medicina nelle Alpi» per il Museo di storia della medicina di Zurigo.
«La malattia è stata messa in relazione con la qualità dell’aria, anche perché delle ricerche avevano messo in luce la minore incidenza della tubercolosi nelle zone di montagna. In realtà, più che all’aria, questo era dovuto al fatto che i montanari avevano più spazio a disposizione e non vivevano gomito a gomito come la gente di città».
Davos, l’ascesa
Nel 1853, il medico tedesco Alexander Spengler, si reca a Davos, e ne fa la località pioniera delle cure in alta quota. L’esperimento di Spengler riesce – grazie soprattutto alle buone condizioni igieniche e al tipo d’alimentazione offerta dai sanatori – e i malati cominciano i loro pellegrinaggi verso la montagna.
L’apice viene raggiunto negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, con più di un milione e mezzo di pernottamenti. Nel 1954, Davos conta 24 cliniche. Tra i gestori ci sono i cantoni di pianura che vi inviano i loro malati e altri stati europei, come la Germania, proprietaria di uno dei sanatori più famosi: la clinica Valbella, descritta da Thomas Mann ne «La montagna incantata».
Davos, l’inesorabile declino
La scoperta degli antibiotici, avvenuta negli anni Quaranta del Novecento, ha contribuito in modo deciso a debellare la tubercolosi. «Da allora», commenta Margrit Wyder, «la maggior parte dei sanatori sono stati chiusi». I continui progressi della medicina, che hanno portato ai malati dei farmaci migliori e meno costosi dei soggiorni in alta quota, hanno segnato anche il destino di Davos.
Il momento di recessione è la goccia che rischia di fare traboccare il vaso. Malgrado gli sforzi della località turistica grigionese, che con le cliniche vede volatilizzarsi delle importanti ricadute economiche, solo il centro Clavadel, gestito dal canton Zurigo, non ha per il momento problemi finanziari.
Delle altre sei cliniche ancora in piedi ad inizio 2004, una ha chiuso (la clinica Valbella, tedesca), una chiuderà in marzo (la clinica dei cantoni Sciaffusa e Turgovia), una è fallita (la Alexanderhaus, tedesca) e per le altre ci sono fusioni o problemi finanziari in vista.
A Davos, così come alle altre località alpine che avevano fatto delle cure mediche il loro punto di forza, non resta che cercare di orientarsi verso altre tendenze, come i soggiorni «welness» o le forme di riabilitazione leggera, durante le quali il paziente alloggia in un albergo ed è assistito medicalmente in modo puntuale.
L’incanto è passato
L’epoca d’oro delle cliniche d’alta quota è tramontata. Ai nostalgici non resta che rileggersi «La montagna incantata», un romanzo che alla sua uscita, nel 1924, «non era piaciuto per niente alla gente di Davos», ma che oggi la località grigionese cita con orgoglio.
«Thomas Mann», racconta Margrit Wyder, «aveva già un’attitudine critica. Il suo personaggio, un giovane di Amburgo, arriva a Davos e si sente dire dai medici: “Lei è malato, resti qui”. La descrizione della vita nella clinica rivela che anche lì la gente muore, che i medici vogliono guadagnare denaro e che fanno di tutto per trattenere i pazienti il più a lungo possibile».
Ma per quanto critica, la testimonianza dell’autore tedesco è parte integrante di un pezzo di storia alpina, il cui ricordo, conclude Margrit Wyder, «si sta perdendo molto in fretta».
swissinfo, Doris Lucini
1853: Con l’arrivo del medico tedesco A. Spengler, Davos diventa il primo centro di cure in alta quota (1560.s.m.)
1924: Esce il romanzo «La montagna incantata» di T.Mann, ambientato a Davos.
1950: Davos conta un milione e mezzo di pernottamenti e 24 cliniche.
2004: 200’000 pernottamenti, 7 cliniche ad inizio anno, 4 continueranno nel 2005.
Verso la metà del XIX secolo si è convinti che la guarigione dalla tubercolosi sia favorita dai soggiorni in montagna.
Da un punto di vista medico, solo gli ammalati di tubercolosi ossea traggono effettivo giovamento dai bagni di sole e dal clima alpino. L’aria di montagna ha comunque un influsso positivo su chi soffre di asma e allergie.
A Davos le cliniche sono un fattore economico importante. La chiusura di due cliniche priverà il comune di mezzo milione di franchi d’introiti fiscali.
Toccata anche l’economia locale. Il rifornimento alimentare delle cliniche, per esempio, fa confluire 200’000 franchi nelle casse della latteria di Davos.
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